L'Archeoclub e il restauro della Pala del Laparo

Ritratto di Angelo Sciortino

31 Luglio 2012, 11:52 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Non sempre le ciambelle riescono con il buco e quella di ieri sera alla Terrazza del Mandralisca è stata una ciambella senza buco.

Purtroppo, perché l'argomento meritava di più, molto di più. Si trattava, infatti, della presentazione del restauro della pala, opera del caltavuturese Laparo, posta sull'altare della cappella della villa Bordonaro a Settefrati e rappresentante santa Felicita e i suoi sette figli, anch'essi santi. Una cappella ormai quasi diruta, che meriterebbe più attenzione da parte del Comune, che per lascito ne è divenuto il proprietario pochi anni fa.

Si è trattato – ecco la prima assurdità – della presentazione di un quadro restaurato, che non era presente, se non in fotografia! Ciò senza togliere nulla a coloro che lo hanno restaurato, applicandosi con passione e con capacità professionale, come si è potuto evincere dall'intervento di una di esse, Antonella Tumminello. E proprio per gratitudine nei loro confronti, il quadro restaurato doveva essere presente.

Poi tante, troppe improvvisazioni, in alcuni interventi. Si va dall'affermazione che la contrada Settefrati prende il nome dalla presenza del quadro a villa Bordonaro – dimentichi che il toponimo è già usato nel '500, mentre il quadro è del 1702! - al duplice giudizio estetico, che ha fatto descrivere a qualcuno il quadro come confuso per le troppe figure rappresentate e perché santa Felicita è posta troppo in basso, come a sminuirne l'importanza. E da questa errata considerazione si è dedotta quasi un'opera di plagio del Laparo, facendogli trovare ispirazione nei dipinti sui sette Fratelli Maccabei, di biblica memoria.

Questo è stato troppo. Non si può capire questo quadro, se non si risale alla riorganizzazione bollandista dei martirologi cristiani, che spesso erano frutto delle leggende popolari, come nel caso di Felicita e dei suoi sette figli. Per questa ragione i bollandisti, dopo accurate ricerche, che avevano dimostrato l'episodio del martirio di Felicita come invenzione leggendaria, avevano tolto, fra gli altri, il culto di questa santa e dei suoi figli. Fu Cesare Baronio a ridargli, nel 1689, ciò che i bollandisti gli avevano tolto. Quel Baronio del Martirologio romano, che divenne l'ispirazione scientifica dei Cappuccini, che con una bolla papale avevano ricevuto il convento di Gibilmanna, tolto alla potestà del Priore della chiesa di Cefalù. Furono questi Frati Cappuccini a diffondere nelle Madonie il culto di Felicita e il canonico di Caltavuturo Laparo fu certamente influenzato da questa versione del culto.

Sulla santa posta in basso, come a voler sottolineare la sua minore importanza, può dirsi soltanto una cosa: una corretta prospettiva la pone così in evidenza, che l'occhio si posa subito sulla sua figura e soltanto dopo risale al resto del quadro. Ancor più, com'è stato sottolineato nell'intervento del professore Signorini, quando il quadro sarà collocato sull'altare e la nostra visione si svolgerà dal basso verso l'alto. Se le cose stanno così, non si può credere a una ispirazione dei biblici Maccabei, dove non ha posto né Felicita né qualunque altra donna.

Per concludere. Un'opera meritoria, questo recupero del quadro, che non è un capolavoro, ma è sicuramente un gran bel quadro. Un recupero e un quadro, che meritavano parole più alte e descrizioni più corrette, sia sotto il profilo storico che sotto il profilo estetico.


le foto sono dell'11 luglio 2012

Commenti

Al di là delle tue osservazioni, nella serata mi sembra siano emerse alcune cose che vanno sottolineate :

- L'indiscutibile validità dell'operazione nel suo complesso e dei modi in cui è stata condotta;

- L'impeccabilità delle tecniche di restauro adottate e della loro narrazione ;

- La forte, e da me condivisa, affermazione che il "Museo" di Cefalù è il "Museo Mandralisca". Costituiscono ormai, a ragione, un consolidato e indissolubile binomio.

- In ultimo c'è stato più che un accenno, da parte del Sindaco, alla possibilità di un restauro del Castello Bordonaro e alla sua destinazione d'uso  ( sulla quale spero si possa aprire un dibattito, e della quale si è occupato di recente Pino Lo Presti con un suo intervento )

Non ho messo in discussione né la validità del restauro, né l'impeccabilità delle tecniche adottate, né, infine, l'induscutibile valore del Museo Mandralisca.

Ho soltanto criticato alcuni interventi, che volevano essere storici e persino estetici, ma o non lo erano o erano sbagliati, almeno a parer mio.

Per quel che riguarda gli accenni del Sindaco alla possibilità di restauro di Castello Bordonaro, dici bene: si tratta di un accenno. Sul quale, però, mi sembra difficile che si possa aprire un dibattito.

Grazie per l'attenzione, che è particolarmente gradita, quando viene da una persona che si stima.

Il dibattito, se guardi bene, me lo auguro per la destinazione d'uso, non per il restauro ( forse sono stato poco chiaro). Quanto al resto ho solo "aggiunto" alcune cose secondo me meritevoli di sottolineatura.

In effetti la tela restaurata è stata ed è tuttora visibile. Alla fine della presentazione del restauro è stato possibile visitarla, e il pubblico intervenuto, numerosissimo, ha potuto osservare nei dettagli il restauro effettuato, sia sulla tela, sia sul telaio e sulla cornice, sul fronte e sul retro.

Ovviamente la tela, per ragioni di cautela e sicurezza, non è stata esposta sulle terrazza del Mandralisca, sede della presentazione, ma nella sala conferenze al piano terra; oltretutto bisogna considerare  che le sue dimensioni notevoli (m. 2,49 x 1,67 compresa la pesante cornice) ne rendono laboriosa la movimentazione.

Per quanto riguarda i contenuti degli interventi, io sono un profano della materia, ma - oltre alla impressionante padronanza e competenza mostrata dalla giovane Antonella Tumminello - mi sembra che dall'insieme degli altri interventi sia emersa una lettura del dipinto già sufficiente per l'avvio di una ricerca approfondita sull'autore e sui temi del suo operare.

Resta intanto come dato di fatto che un'opera d'arte certamente significativa di un momento culturale rilevante della nostra terra è stata individuata, restaurata e resa fruibile al pubblico, e ciò per iniziativa di un'associazione di volontariato e con il coinvolgimento e il contributo di un gran numero di cittadini sensibili.

Condivido, e l'ho detto nel mio intervento, il giudizio su Antonella Tumminello. Condivido pure il plauso all'impegno dell'associazione Archeoclub, tant'è che ho detto che questo impegno meritava interventi più alti. Quel che non condivido è quando affermi: "mi sembra che dall'insieme degli altri interventi sia emersa una lettura del dipinto già sufficiente per l'avvio di una ricerca approfondita sull'autore e sui temi del suo operare." Se in alcuni di questi interventi s'incorre in quegli errori storici e di estetica, che ho sottolineato nel mio intervento, quale valore avranno per avviare una ricerca approfondita sull'Autore?

Gent. Sig. Sciortino,

non è mia abitudine replicare alle critiche, soprattutto a quelle poco costruttive come quella sua, ma siccome qui mi si attacca nella mia professionalità, probabilmente per un ascolto distratto del mio intervento, ho deciso di interrompere questa mia consuetudine, anche per non far passare come verità le sue di inesattezze. A proposito io sono quel “qualcuno” di cui non si degna neanche di citare il nome, dottorando di ricerca in storia dell’arte presso l’università di Padova e non storico improvvisato o per diletto.

Nessuno ha mai detto che contrada Settefrati prende nome dal quadro del Laparo, anzi io ho detto esattamente il contrario, cioè che probabilmente è stato l’autore del quadro ad aver dato grande risalto al martirio dei sette fratelli stimolato dal toponimo già in uso.

Anche spostando il quadro più in alto i rapporti interni dell’opera non cambiano, il centro resta sempre il centro, semmai il diverso punto di vista ha potuto influenzare alcuni aspetti dello scorcio prospettico e non la composizione. In più basterebbe avere una minima conoscenza dell’arredo di un altare settecentesco per sapere che proprio davanti alla figura della santa si venivano a trovare ben sei candelabri e un Crocifisso al centro, altro che “una corretta prospettiva la pone così in evidenza, che l'occhio si posa subito sulla sua figura e soltanto dopo risale al resto del quadro”.

A mettere in relazione la vicenda di santa Felicita con l’episodio biblico dei Maccabei non sono io ma già sant’Agostino e d’altronde basta leggere il passo biblico (a proposito le consiglio di farlo perché insieme ai sette fratelli viene uccisa anche la madre, che mi sembra una donna, lo trova in 2 Macc 7, 1-41) per vedere le strette affinità fra i due episodi. Guardi poi che i dipinti che ho fatto vedere non rappresentano il martirio dei Maccabei ma quello dei figli di Felicita, solo che alcuni pittori sono caduti nell’errore, seguendo alcune fonti postume, di rappresentare i martiri secondo il racconto biblico e non secondo la Passio della santa, e mi sembra di avere pure sottolineato come il Laparo non sia caduto in questo errore ma abbia rappresentato i martiri nel modo esatto.

Io rimango semplicemente sbalordito dall’apprendere che Cesare Baronio che scrive il suo martirologio fra il 1586 e il 1589, non nel 1689, abbia corretto un’ingiustizia commessa dai bollandisti che pubblicano i primi due volumi degli Acta Sanctorum nel 1643. E questo basterebbe… ma mi preme sottolineare che proprio Cesare Baronio nelle poche righe che dedica ai sette fratelli martiri (il 10 luglio) e a santa Felicita (il 23 novembre) recupera proprio la Passio del V secolo di cui ho letto alcuni stralci. È stato meglio allora prendere in considerazione questo testo fondamentale, a cui fra l’altro il Laparo si riferisce esplicitamente, o le scarne parole che scrive il Baronio (che conosco benissimo come buona parte dei testi degli Acta Sanctorum perché sono uno studioso proprio di iconografia e iconologia)?

L’affermazione che il culto di Santa Felicita sia stato diffuso nelle Madonie dai Cappuccini, tramite il testo del Baronio, bisognerebbe supportarla citando le fonti visto che attualmente non mi risulta in nessuna chiesa cappuccina delle Madonie un altare o una raffigurazione della santa, e comunque questo non vale sicuramente per la nostra chiesa, fondata insieme al castello da Antonino Lo Duca, fratellastro di quello più famoso (cfr. Nico Marino), il quale è morto nel 1568, ben 20 anni prima del testo del Baronio.

Per quanto attiene alle altre questioni non penso lei abbia le competenze specifiche per poterne discutere, ma se volesse io sono disponibile. Volevo però correggerle altri due errori: don Vincenzo Laparo non poteva essere canonico perché a Caltavuturo non c’è nessun Capitolo e nessuna cattedrale; l’altro, ben più grave, è che  quando i Cappuccini si insediarono a Gibilmanna nel 1535 fondarono soltanto il loro convento ma non ottennero il priorato della chiesa che rimase, e rimane, sotto la giurisdizione della diocesi. Questo grave errore dimostra che lei non sa che priori di Gibilmanna sono stati personalità del calibro di Antonio Lo Duca, quello famoso, Francesco Lo Duca, fratello di Giacomo, e Vincenzo Greco, che dotò la chiesa di numerose reliquie.

Mi dispiace di aver tediato lei e gli altri lettori, ma mi dispiace di più che si sia tentato, spero fallendo, di distrarre l’attenzione da un recupero straordinario per le metodologie, le competenze e le forze messe in campo.

PS: Se critiche mi devono essere rivolte, e io sono bene accetto a riceverle, che almeno siano fatte con cognizione e competenza.

Una prima risposta: io non  ho attribuito a lei l'affermazione che la contrada Settefrati derivasse il suo nome dal quadro, ma ad altro intervento.

Sulla data relativa al Baronio, si è trattato soltanto di un errore di battitura, e me ne scuso con lei e, soprattutto, con chi mi ha letto prima.

Non l'ho definito "storico improvvisato" e quindi mi sembra superflua la sua precisazione.

Io non ho detto che lei ha messo in relazione dell'episodio biblico con quello di santa Felicita, ma che lei ha affermato che il Laparo si era anche ispirato a questo episodio biblico.

Sulla vicenda di Gibilmanna non ho detto che i Cappuccini ottennero il priorato, ma che il Convento cessò di essere un priorato in forza di questa cessione con Bolla papale.

Sul canonicato del Laparo potrebbe essere vero che Caltavuturo non poteva averne, ma nulla vieta che canonico lo fosse, se lo si cita talvolta come tale.

Sulla diffusione del culto nelle Madonie sarebbe opportuno che si procedesse a ricerche più approfondite e non ci si accontentasse dell'assenza nelle chiese madonite di altari o di raffigurazioni della Santa.

Infine, per non tediarla con la mia abissale incompetenza, che significa che la chiesetta fu fondata da Antonino Lo Duca, morto nel 1568, ben vent'anni prima del Baronio, se il quadro fu aggiunto nel 1702, un secolo dopo il Baronio?

Cordialmente, Angelo Sciortino

Dunque lei è a conoscenza di altri documenti che riguardano Vincenzo Laparo? Perchè in quelli che conosco io, e sono soltanto i due di cui ho reso conto l'altra sera, viene denominato soltanto come sacerdote di Caltavuturo e nella stessa firma del quadro egli si appella Don e non Can.

Come supponevo, inoltre, non può fornirmi fonti sulle sue affermazioni sul culto della santa a Cefalù perchè i cappuccini con tutta questa storia non c'entrano proprio niente, come non c'entra niente il Baronio e meno che mai i Bollandisti. La presenza del culto di una santa prettamente romana si deve invece ricercare negli stretti rapporti che nel corso del Cinquecento si erano istaurati fra alcuni personaggi cefaludesi, i Del Duca in primis, proprio con Roma. Nel 1702 la chiesa di santa Felicita viene semplicemente ricostruita su quella precedente cinquecentesca e in quella occasione viene commissionata anche la nuova pala d'altare, che ripeto segue pedissequamente la Passio originale della santa e non le vicende dei Maccabei.

Sulle altre cose non commento: basta rileggere il suo post!

Ho incontrato il Laparo alcuni anni fa, quando, per aiutare una giovane iscritta all'Università di Roma nella sua tesi sul culto mariano in Sicilia nel '600, con particolare riferimento a Gibilmanna, ho dovuto fare ricerche presso la biblioteca di Gibilmanna, del Convento Cappuccini di Castelbuono e presso quello di Messina. In queste ricerche mi sono imbattuto sia sul culto di santa Felicita sia sul nome di Laparo. Allora la questione non poteva che interessarmi che come curiosità. Me ne sono ricordato l'altra sera e l'ho scritto, tutto qua.

Nella speranza di essere smentito, come è facile con chi si affida a ricordi di anni, sarebbe opportuno cercare in Amico e Statella, Storia della Sicilia dal 1556...Comunque non credo che l'argomento meriti altra attenzione.

Certo sarebbe il caso che reagissi diversamente al suo livore di accademico offeso, ma credo più opportuno dedicarmi a più edificanti riflessioni, visto che i miei dubbi non possono smuovere la granitica convinzione di essere in possesso di verità e non di semplici opinioni, come secoli di sapienza hanno insegnato.

Comunque, sempre cordialmente, Angelo Sciortino.

Adesso sì che parliamo la stessa lingua!

Le chiedo scusa se le sono apparso arrogante, ma le sue riflessioni nei miei confronti non sono state da meno. Chi mi conosce sa che non mi offendo facilmente e anzi sono ben lieto di essere smentito quando le controdeduzioni sono supportate da prove o anche da argomentazioni più convincenti delle mie.

La notizia che ci da è interessantissima e meriterebbe un approfondimento, penso che non solo io ma nessun altro sia a conoscenza di questa inedita notizia. Se magari potesse darmi dei riferimenti più precisi visto che ormai mi sono dedicato all'argomento, anche se ripeto io non sono uno studioso nè di pittura nè di Settecento, e questa mia premessa avrebbe dovuto risparmiarmi almeno parte delle sue critiche.

Però una cosa ci tengo a dire, quando mi accingo ad analizzare un'opera da un punto di vista storico, iconografico, iconologico e stilistico penso di possedere gli strumenti per andare oltre alla lettura personale, e poi se tutti e se gli storici dell'arte presenti alla serata concordavamo sui giudizi e sulle derivazioni dell'opera penso che qualcosa voglia dire.

Io rimango disponibile anche ad incontrarla per chiarirci meglio e per approfondire le sue rivelazioni.

Non volevo offenderla e quel qualcuno l'ho usato proprio per non dare ai lettori un riferimento preciso a lei. Non le suoni, perciò, un offensivo disconoscimento del suo impegno di studioso. In ogni caso, anch'io le chiedo scusa se inconsapevolmente l'ho offeso.

Per quanto riguarda la ricerca, stasera stessa chiederò una copia della tesi della quale ho parlato. In essa, infatti, sono contenuti, in nota, tutti i riferimenti alle fonti consultate. Le confesso che i miei impegni del momento non mi consentono di ripetere le ricerche e pertanto ho dovuto scegliere questa soluzione. Sarà mia premura, quando la riceverò, di farle avere la tesi.

Credo, anche in assenza di queste fonti, che non si può parlare dell'influenza del Baronio in Sicilia, se non si tiene conto dello scontro tra il re Filippo III e il Papato. In quella occasione il Baronio nei libri XI e XII dei suoi Annali ecclesiastici prese posizione contro il Re, negando persino la veridicità della Legazia Apostolica concessa dal Papa a Ruggero. Per questa ragione la lettura dei due libri fu vietata in Sicilia da un decreto reale, controfirmato dal cardinale Doria di Palermo.

Quindi un momento particolarmente difficile. Sorge spontanea la curiosità di sapere come si schierò il Bordonaro fra i due regnant in lite. Specialmente dopo che Cefalù aveva dovuto accettare come vescovo il catanese Nicolò Stizia nel 1593 (?), nominato da Filippo II. Un momento difficile da decifrare, anche confortati da fonti documentali, che, anche se provano fatti, difficilmente ci danno la possibilità di ricostruire le intenzioni vere degli uomini e se le loro azioni sono state dettate dalla loro debolezza o dalla loro forza di carattere. E lo stesso vale per gli artisti. Chi voleva ingraziarsi il Laparo o il suo committente?

Comunque mi fermo, perché le mie sarebbero soltanto ipotesi e, anche se meritano approfondimenti e prove, in questa sede trattarne annoierebbe i lettori.

Le farò avere, con la mail da lei fornita al blog, il mio indirizzo email e il mio numero di cellulare, per fissare un incontro per i primi di settembre e in quell'occasione spero di essere in possesso della tesi e di consegnargliela personalmente.

Con ancora più cordialità, Angelo Sciortino