Il razzismo è uguale a una decrescita socio-culturale

Ritratto di Angelo Sciortino

2 Settembre 2012, 14:39 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Quante volte abbiamo atteso e quante volte siamo stati convinti ch'era finalmente giunto il momento buono per cambiare? E quante volte abbiamo raccolto una incredibile delusione per l'inanità dell'attesa e per l'erronea convinzione che quello fosse il momento buono?

Tante, tantissime volte, troppe volte! Almeno dal 1963, perché fino a quella data nessuno pensava con preoccupazione al futuro, perché si poggiava su un breve e vicino passato, che aveva ridato fiducia agli Italiani sulle loro capacità. Ci credevamo destinati a grandi gesta, nonostante venissimo da una dittatura e da una sconfitta militare.

Questo avveniva in Italia, l'Italia dei De Gasperi e degli Einaudi; ma avveniva anche a Cefalù, la Cefalù di Giuseppe Giardina e dei tanti che lo collaborarono.

Cefalù, quindi, specchio dell'Italia? Cefalù un microcosmo in grado di descrivere e spiegare gli ultimi cinquant'anni della storia italiana? Credo proprio di sì!

Assetati di futuro senza averne un progetto e spinti dalla falsa convinzione che tutto fosse dovuto, la storia di Cefalù degli ultimi cinquant'anni si è sviluppata all'insegna della gallina oggi e niente domani e da un costituzionale rifiuto per la fatica e una preferenza  per la scelta del dono, che in quanto tale non è durevole come ciò che si conquista. Proprio com'è accaduto in Italia negli ultimi cinquant'anni.

Da questa ricerca del dono, pur di evitare la fatica della conquista, è nata la politica clientelare, che politica non è, anche se tale la si ritiene, con la logica conclusione del disamore per la politica vera, perché questa non la si riconosce più. Ecco allora andare avanti le Vicari, queste Berlusconi al minimo, e i Guercio, i Prodi anch'essi al minimo. Ecco alcuni falsi imprenditori uccidere, con l'assenso di questa pseudo politica e grazie alla nostra disattenzione, la gallina, lasciandoci senza uova. E tutto questo è stato fatto con il consenso di una maggioranza dei cittadini, ai quali oggi dovremmo chiedere i danni. A loro, infatti, prima ancora che a quelli che hanno amministrato, dovremmo chiederli. Ancor più dovrebbero chiederli i giovani, che la scuola non ha saputo né sa preparare per la vita e soprattutto a non essere vittime del primo demagogo, che promette doni. Perché questi giovani, se la scuola li preparasse bene, non sarebbero di vista corta, come lo sono stati i loro padri. Si è trasformata la scuola, invece, dalla costruzione di menti aperte a quella di menti chiuse e il diploma, talvolta, è sembrato non la prova di una raggiunta maturità, ma piuttosto quella di una raggiunta ottusità. Di quella che tanto piace agli ometti, che grazie a essa raccolgono suffragi per conquistare un potere, dal quale traggono sostentamento come i parassiti.

Certo, tutto questo dovrà cambiare, pena la fine della nostra società. Non, però, con una rivoluzione. La storia c'insegna che con le rivoluzioni non è la libertà che si conquista, ma una schiavitù dalle catene più strette e più forti. Si pensi, per esempio, alla Rivoluzione francese: essa ebbe come solo risultato uno stato accentrato, che agli occhi della storia appare il completamento del disegno politico di Luigi XIV; o, per restare in Sicilia, si pensi ai Vespri siciliani, che allontanarono i deboli Angioini e diedero ai Siciliani le catene più forti e più strette degli Aragonesi, divenuti poi Spagnoli.

Se non con una rivoluzione, come? Non piantando aiole e nemmeno con l'agitazione, ma dimostrando che si ha un disegno politico affidabile e capace di coinvolgere i cittadini a lottare uniti verso un domani che sia migliore dell'oggi. Impedire che questi cittadini diventino quasi razzisti, per difendere quel poco che resta del patrimonio ereditato. Quel patrimonio che i loro avi conquistarono con la pacifica fatica di ogni giorno e non invocando interventi contro i diversi, come purtroppo accade oggi su molti siti telematici e in un gruppo di face book, che si richiama al nostro Sindaco. Anzi, se si pensa per un momento che il Regno normanno divenne grande con l'aiuto degli Arabi e degli Ebrei, si capisce bene che da questa sinergia multiculturale visse per quasi due secoli una Sicilia grande, non soltanto militarmente e politicamente, ma anche culturalmente. Mi meraviglia che il Sindaco non abbia preso una posizione decisa per smentire qualsiasi sua tacita adesione a quel che viene scritto nel gruppo, che a lui si richiama. Anzi, preso dall'agitazione, istituisce un mercatino etnico e pochi giorni dopo lo vieta.

Devo concludere, sebbene l'argomento meriti ancora altre argomentazioni. Spero che proprio la nuova Amministrazione tragga da questo intervento motivi per riflettere, decidendo finalmente di lasciarsi guidare dalla volontà di cambiare intelligentemente quel che non può più essere accettato e smettendola di considerare una scaramuccia come se fosse un'epica battaglia.

 

Commenti

Attendersi da pinocchio qualcosa di diverso dal colpo di martello è impensabile. Ancor più una risposta. Ma tu continua a spiegare con parole di verità . Speriamo almeno nella fata turchina. Ciò che invece sono certo che i cani Melampo non mancheranno mai .