Materia e Forma

Ritratto di Giuseppe Maggiore

16 Marzo 2014, 16:59 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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“MATERIA e FORMA”
(“Horae subsicivae” / ritagli di tempo. La scultorea poetica di Roberto Giacchino)

di  Giuseppe Maggiore

 

Volti scarni, espressivi, provati, pregni di pathos alcuni, soffusi di serafica placidezza altri, gruppi aggrovigliati in dinamiche dimensioni dove figure umane, esclusivamente umane, essenze lignee stilizzate, pregne di vita e di sentimento, protese nel movimento, momenti di felice ispirazione creativa che rifuggono dall’accademia, vengono alla luce come per caso affiorando dai contorcimenti del legno, d’ulivo principalmente, dai suoi anfratti, dalle sue volute, dai fatiscenti ghirigori della sua materiale essenza con una spontaneità non calcolata ma estemporanea, degna, secondo me e raffrontandola alla cultura pittorica, del primo Masaccio.

Forme e misure spontanee, si, ma trattate con acume, passione e competenza.

Valgano per tutte alcune eloquenti figure che introducono alla creatività dell’artista: quella femminile, che in un momento di abbandono, il capo e le spalle riversi all’indietro, protende il seno con apprezzabile languida movenza; e la donna, il viso soffuso di palpabile ansia, che attende dal mare il ritorno di un congiunto, effigiata nella scultura dal titolo “l’attesa al molo”; e, ancora, l’altra immagine, la madre, che con incontenibile tenerezza cova con lo sguardo, il viso reclinato su di lei, la creatura che in completo abbandono giace fra le sue braccia addormentata, nel complesso scultoreo intitolato, appunto, “maternità”; e la scultura “Dafne”, che mostra una donna seduta, nuda, ma d’una nudità innocente, il capo piegato in avanti e la destra che pudicamente copre il suo seno, quasi assopita, dimentica di sé, in atteggiamento eminentemente elegiaco; e il gruppo “la famiglia” (padre, madre e figlio), plastico trio pudicamente raccolto in una limitata dimensione (quasi una nicchia) che sembra difendere la propria intimità col calore dell’affetto che promana dall’unità dell’assieme; e poi il “Cristo”, ripetutamente proposto in vari atteggiamenti.

L'attesa al molo

Maternità

Dafne

La famiglia

Il Cristo

Resurrezione


Immagini tratte dal catalogo della mostra personale "La Natura: Radice dell'Arte"
tenutasi al Palazzo Mandralisca di Cefalù dal 5 aprile al 12 maggio 2012

 

Per non citare, infine, le numerose efficaci composizioni lignee che evidenziano il o i “Carabinieri”, quali insostituibili e strenui baluardi della legalità.

La Legge

Unità d'Italia

E’, certamente, la materia, nel suo multiforme proporsi, che fornisce lo spunto all’autore; la stessa particolare forma rinvenuta in natura già suggerisce all’artista il migliore utilizzo di sé e dà contezza, seppure in modo puramente embrionale, della figura che dalla massa informe verrà fuori ad opera ultimata.

Ma sono soltanto il senso artistico del creatore, la sua perspicacia e la sua spiritualità che fra mille soluzioni possibili scelgono quella più conforme al proprio gusto, alla propria sensibilità ed al proprio carattere.

E così, gli occhi slabbrati o socchiusi dei personaggi, la dimensione fisionomica delle guance ora stirate al sorriso ora gravate da un’intima accettata sofferenza, l’atteggiamento compunto e riservato di alcune coinvolgenti sembianze, di alcuni contorti profili, il loro apparentemente timido mostrarsi ed offrirsi all’aliena fruizione, la composizione armonica, infine, di particolari complessi statuari dove l’essere umano estratto dalla informe materia  sopporta gravosi pesi contornati da particolari figure, da originali grovigli, quasi a voler significare l’immane sforzo, indicibile, dell’uomo, proteso nella infaticabile lotta contro le avversità, contro le difficoltà del quotidiano iter, con i quali ostacoli egli deve inesorabilmente confrontarsi nell’arco della sua grama esistenza (“fiato di vento”), dalla nascita alla morte, sforzandosi di superarli e di farsi vessare da essi il meno possibile, tutto, tutto depone a favore di una indubbia personalità artistica che amorevolmente ma con estrema determinazione trae le sue creature più dall’anima che dalla caduca materia, scavata con passione e dedizione, quasi esse sofferte formulazioni,  profonde, fossero sue stesse figlie, frutto della propria linfa vitale e facenti parte della propria più intima essenza.

E così anche il “Cristo”, nello spasimo dell’agonìa, ma volutamente senza il supporto della carismatica croce, le Cui braccia allungate in disarmonico gesto e le dita ripiegate dànno il senso della immane sofferenza subìta; e così anche il busto “Pietro” , l’effigie del padre, intagliato in un tronco di sorbo, realizzato con una tecnica raffinata secondo i dogmi di un classicismo più intuìto che assimilato, più congenito che studiato.

Cristo

Pietro

Infatti l’autore è un autodidatta. Egli non ha frequentato scuole d’arte, né ha seguito tendenze o manierismi propri della cultura scultoria e né soggiace a collaterali correnti di pensiero, né fagocita dottrine; anzi, gli studi di ragioneria intrapresi e conclusi risultano nettamente agli antipodi dell’itinerario artistico che l’ha pervaso e che nei ritagli di tempo (“horae subsicivae”, appunto, il sottotitolo) del suo lavoro ordinario porta avanti e persegue con inscalfibile trasporto.

Roberto Giacchino nasce all’arte, secondo quanto m’è dato di apprendere, alla giovane età di appena quattordici anni; data, questa, dei suoi primi tentativi nel dissossare la materia (legno, pietra, marmo) e nel cavarne forme, figure, espressioni e, quindi, caratteri, sentimenti, sensazioni, emozioni.

Comincia ad intaccare il legno traendone volti anonimi ma pervasi da un attonito alone di severità, di rassegnazione e di serenità, anche.

Giacchino è quello che in letteratura si potrebbe benissimo definire un drammaturgo: egli considera maggiormente interessante il concetto dello sforzo umano e, quindi, della sofferenza nella esplicazione del dovere, più che quello della facile gioia non guadagnata col sudore della fronte e con l’impegno costantemente profuso; perché in fondo la vita è un calvario camuffato che fà proprio del dolore il motore trainante per la crescita individuale.

La sua filosofia esistenziale, che indubbiamente traspare dalle sue pregevoli emanazioni artistiche, così come in ogni autore, artista o meno artista che sia, trae spunto da una determinazione intensamente vissuta, ambìta e concettuale, rivolta all’accettazione del quotidiano con tutti i suoi problemi, i suoi dolori, i suoi fastidi, le sue soddisfazioni e quant’altro.

Fortemente motivato nell’ordinaria occupazione lavorativa, primaria, nel suo tempo libero trasfonde per hobby la stessa foga nel campo della scultura; attività, quest’ultima, che completa la sua personalità di uomo, di cittadino e di artista.

Alcune delle sue opere, realizzate su pietra o marmi sfregiati, acquisiscono un  sapore di reperti archeologici venuti fuori in occasione di scavi; veri e propri pezzi da museo ai quali, sono certo, il tempo tributerà il debito consenso.

Né le sculture dell’autore escludono il senso del sacro; anzi, spesso, ad esso si richiamano alcuni volti scavati in radici di ulivo, nei quali si rivela ben visibile l’immagine cristologica. In essi, inoltre, la staticità del pathos è infranta dal dinamismo delle linee ondulate e sferzanti che sembrano indirizzare ad una concezione culturale pseudo barocca.

Così nelle opere realizzate la materia grezza par prendere fiato e si vivifica ingenerando emozioni non effimere.

Ma Giacchino non si limita soltanto alle sculture di richiamo; laboriosamente costruisce anche oggetti di uso comune e di provata utilità: portaceneri, tagliacarte, bastoni, ecc.;

         

La disciplina impostasi (che gli viene forse dal fatto di essere un convinto militare e che egli impiega in tutte le emanazioni del suo ingegno) e che fà sì ch’egli indulga con perseveranza e abnegazione anche nel campo della scultura è la ferrea regola che condizione tutta la sua intera produzione.

Ad essa, che presuppone ancestrali matrici nobilissime oggi dallo Stesso lodevolmente perpetuate, egli ha proficuamente offerto le proprie migliori qualità: la profonda sensibilità, il gusto sopraffino e la incrollabile determinazione.

Specifico dell’arte, secondo i più accreditati pareri e come è universalmente risaputo, è indiscutibilmente quello di esternare il senso più riposto dei propri sentimenti mediati dalla ispirazione, dalla intelligenza e dal carattere dell’autore.

Sic et simpliciter!

         

Breve nota esplicativa:

(Questo saggio, o pseudo tale, da me composto il 25 Ottobre del 2005, non pubblicato ma consegnato “brevi manu” a Roberto Giacchino, trae origine da una mostra collettiva di pittura e scultura espletata proprio in quel periodo presso l’Ottagono di Santa Caterina in Cefalù, alla quale lo Stesso partecipò esponendo, credo per la prima volta in forma pubblica, le proprie opere. A tale evento io per puro caso mi trovai ad essere presente invitato dal mio caro amico ed ex compagno di scuola, Dr. Rosario Provenza, il quale, conoscente del Giacchino, mi pregò, senza ancora io averne visualizzato le opere, di illustrarle in un articolo, naturalmente andando a visionarle. Più per fare una cortesia all’Amico che per altro, dunque, e presupponendo trattarsi di qualche autorucolo alla prima esperienza, per l’amicizia con Saro da aiutare, io convenni con lui  al Santa Caterina. E qui, osservando le sculture di Giacchino e estremamente meravigliato in positivo, le mie anteriori supposizioni infarcite di preconcetti subirono una netta catarsi, istantaneamente, di colpo: dall’intenzione di imposta “compiacenza” trasmigrarono nella più aperta ammirazione. Mi trovai, in sostanza, in presenza di un Artista puro, con la “A” maiuscola, degno di ogni considerazione, al quale solo la scrittura di uno “Sgarbi”, e non la mia, potrebbe rendere il giusto merito.
Da lì, il mio apprezzamento per l’artista non è più mutato ma si è , anzi, ulteriormente via via ingrandito.
Oggi ripropongo l’articolo, in parte opportunamente rimaneggiato, più che convinto della sua attuale validità).

 

Cefalù, Marzo 2014                                                                                                                                                                  Giuseppe Maggiore

Commenti

A Roberto Giacchino sembrò una mia esagerazione, quando gli dissi che se a qualcuno dovevo paragonarlo, questo qualcuno non poteva che essere Michelangelo, perché le loro arti, mutatis mutandis, si somigliavano nel vedere all'interno della materia le figure che poi tiravano fuori con le loro immagini: l'uno dal marmo, l'altro dal legno.

Ha fatto bene Pippo Maggiore a ripresentarcelo. Roberto Giacchino è un carabiniere, ma soprattutto è un artista capace d'intuizioni e non soltanto di abilità tecnica. E' un uomo del quale è bello dire: lo conosco!