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Architetti per una città migliore. [2]20 Dicembre 2012, 11:12 - Angelo Sciortino [1] [suoi interventi [3] e commenti [4]] |
“Ad una leggera giornata da questa rocca si trova Cefalù, situata sul mare. Si tratta di una fortezza dotata di tutte le prerogative della città, con mercati, terme e mulini; questi si trovano sistemati proprio nell'interno presso cascate di acqua che, dolce e fresca, serve anche per il fabbisogno degli abitanti. Cefalù si eleva su rocce contigue al mare, è provvista di un bel porto - meta di imbarcazioni provenienti da ogni parte - ed ha una popolazione considerevole. Alla fortezza sovrasta una rocca dalla cima di un erto monte pressoché impossibile a scalare per le difficoltà dell’ascesa”.
Questa breve descrizione fa parte del cosiddetto Libro di Ruggero, scritto dal suo geografo arabo Idrisi, al quale si deve non soltanto un atlante – famoso in tutto il Medioevo e studiato secoli dopo dallo stesso Cristoforo Colombo – ma anche una puntuale descrizione della Sicilia, accompagnata da carte geografiche e topografiche e da riferimenti alla sua flora (fu anche un botanico) e alla sua fauna.
Idrisi, già famoso per le descrizioni del Mondo Mediterraneo e oltre, che aveva percorso nei suoi lunghi e numerosi viaggi, nel 1138 fu chiamato da Ruggero II alla sua Corte, per affidargli quella che potremmo definire un'attività urbanistica ante litteram. Un'attività che egli svolse tanto bene, che i suoi scritti raggiunsero persino l'Inghilterra del tempo e vi furono studiati con notevole impegno. Non per nulla, quando Roma contava appena 80.000 abitanti e poco meno Parigi e Londra, Palermo ne contava oltre duecentomila. Palermo aveva soppiantato Roma ed era la città più importante d'Europa, sia per cultura e sia per bellezze monumentali. E da meno non erano le altre città di Sicilia, che proprio Ruggero provvedeva a rendere migliori. Il suo esempio fu seguito dai suoi eredi, finché il popolo siciliano non scelse, complice la Chiesa, prima la dominazione angioina e poi quella aragonese.
La Sicilia, così, non ebbe più i suoi Idrisi, ma gli uffici urbanistici, che furono e sono affidati a uomini di ben altra tempra e di ben altra intelligenza. Ne è un esempio la Cefalù dei giorni nostri, dai cui uffici urbanistici non promanano i giudizi e i consigli chiari come quelli di Idrisi, ma le disperate lotte fra conformità e compatibilità, fra sentenze e norme, fra drastiche decisioni e sopravvenute indecisioni. Lotte che frenano ogni attività o che, quando la consentono, sembrano dettare uno sviluppo più caotico della Città. Si tratta di una malattia lunga decenni e per questa ragione diventata cronica, che oggi sembra destinata alla morte del malato, perché la si sta curando con dosi massicce di farmaci, altrimenti detti, dall'etimologia greca, veleni. E i veleni uccidono.
Se un compito deve imporsi l'attuale Amministrazione, tra un bilancio e una sua correzione, vi è quello di dare al Paese una strategia di crescita urbanistica, che provveda allo sviluppo del territorio e non tralasci nel contempo il rispetto della tradizione tramandataci dai Normanni, che con Ruggero II ci hanno indicato quale è la strada da percorrere.
E poiché temo che oggi sembra che il dissesto finanziario si sia, come un tumore, metastatizzato anche alla cultura e alla ragione nell'attuale Amministrazione, spero ardentemente, per il futuro di Cefalù, che gli architetti si sveglino dal loro sonno e pensino finalmente, prima ancora che a progettare costruzioni, a scegliere tale strategia urbanistica e chiedere un confronto con l'Amministrazione, al fine d'imporgliela. Siano Idrisi o il Leonardo dei Navigli o Le Corbusier, siano chi vogliono, ma siano gli architetti per una Cefalù migliore.