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Via Pasquale Culotta - 90010 - Gratteri [2]11 Maggio 2013, 01:18 - Totò Testa [1] [suoi interventi [3] e commenti [4]] |
Arrivavamo alle prime luci dell’alba, con i nostri tubi di cartone sottobraccio.
Anime emergenti da un purgatorio di notti insonni, profumati(!) di grafite ed inchiostro di china, il dorso della mano destra ustionato dalla lampada da tavolo, la lingua lappusa, De Gregori ancora nelle orecchie.
Appizzavamo un foglio sgualcito alla porta ancora chiusa dell’aula d’esami: i nostri nomi scritti sopra, o qualcosa del genere.
Alle otto arrivava Bonaviri, apriva la porta e ritirava gli statini.
Poco dopo, insieme alla commissione d’esami, entrava Pasquale, fresco come una rosa, il viso disteso e sereno perfettamente sbarbato, il suo sorriso assoluto stampato negli occhi.
Salutava con garbo, qualche battuta sdrammatizzante, poi si sedeva e chiamava i gruppi di studio all’esame.
Il rituale prevedeva che noi ci avvicinassimo al tavolo, togliessimo con solennità il tappo ai tubi di cartone e ne cavassimo i rotoli di carta lucida come ricotta da una cavagna, per poi cominciare a stendere la strisciata da un lato, esibendo i disegni.
Quei fogli raccontavano tutto di noi, tra macchie di caffè e whisky, bruciature di sigarette, spolverature zuccherine e aloni grassi di ciambelle mangiate calde nelle notti del tecnigrafo.
E su quei fogli provavamo a raccontare un progetto, farfugliando frasi infami, annaspando alla ricerca di un soggetto e di un predicato attendibili.
Poi lo vedevi mentre scansionava con lo sguardo i tuoi disegni, si sintonizzava sulla tua voce, mostrava attenzione.
E prendevi coraggio, il tono della voce diventava assertivo, fino ad esprimere certezze assolute: “L’ala sud est l’abbiamo posizionata parallelamente all’isolato preesistente per dare simmetria alla piazza!”
Un sopracciglio che si sollevava appena, una taliata che ti trafiggeva il cervello, una domanda: “Perché?”
Oggi a Gratteri si svolge un convegno sull’Abbazia di San Giorgio, ma sarà solo un pretesto per celebrare la vita e l’opera di Pasquale Culotta, che con Gratteri intrattenne un rapporto d’amore letteralmente carnale in un periodo particolarmente fecondo della sua esistenza.
Spero di essere presente, per ascoltare e ricordare, io che ebbi la fortuna di seguirlo in alcune di quelle irripetibili lezioni peripatetiche, nelle quali dava il meglio di sé, fuori, anche, dai vincoli “murari” dell’accademia, dato che di quelli intellettuali non mostrò mai di volersi curare.
Non era un accademico, Pasquale, né un cattedratico, non mi sento neanche di definirlo “professore”.
“Maestro” mi sembra il termine più appropriato per definirlo, e questo è il titolo indelebile che gli associo nel ricordo della mia esperienza di allievo.
Pasquale non è mai stato un mio punto di riferimento, né all’università, né dopo, quando per breve tempo riuscii a dare un senso al mio essere architetto, prima di arrendermi alle ragioni dello “stipendio sicuro”.
Non mi sono mai pentito di questa distanza, anche perchè non ho mai potuto (o saputo) sperimentarla sul campo, ma, con il tempo, ho cominciato a capire che, se da architetto/non architetto sono in grado, come presumo, di comprendere l’architettura, lo devo in minima parte ai miei geni, in nessuna parte agli “ex catedra” dei miei "totem", in massima parte alla contaminazione che, mio malgrado, ho subito da Lui.
Egli aveva il dono di una metrica perfetta, che si traduceva in una capacità espressiva purissima, e quello, forse ancora più grande di saper vedere e riconoscere l’Architettura anche laddove l’accademia bacchettona asseriva non potersi mai trovare, per esempio tra le pietre lichenate, i muri sdruciti, le finestre sgangherate della Gratteri degli anni ’70, ma anche tra i quartieri abusivi di Gela e, addirittura, tra le baraccopoli sorte intorno al primo tracciato della circonvallazione di Palermo.
Un po’ come un musicista puro, un orecchio assoluto, riesce a riconoscere le note emesse da un ruscello, da una porta che cigola, da un canneto agitato dal vento.
Mentre la scopriva, quella musica, Pasquale t’infettava, con i suoi gesti ampi, la sua voce musicale, la sua naturale eleganza d’affabulatore.
E appena il germe entrava in te, provocando crolli, frane, slavine tra le tue certezze, credevi di vederla anche tu, quell’Architettura nascosta, la assorbivi e provavi la sensazione di poterne comprendere fino in fondo il linguaggio, quasi come Lui, forse come Lui.
Gratteri, da oggi, ci sarà una via che porterà il nome del Maestro.
E a Cefalù, quella Cefalù che Egli vide e sognò sublime, vivendo pienamente nel suo sogno?
Neanche se ne parla!
Pasquale, quanto ci manchi!