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Codice Penale e acqua non potabile [2]14 Marzo 2019, 14:42 - Angelo Sciortino [1] [suoi interventi [3] e commenti [4]] |
Vi sono tre articoli del Codice Penale che sarebbe opportuno che le Autorità Giudiziarie considerassero per stabilire se a Cefalù accadono cose, che ne prevedono l'applicazione.
Cod. Pen. art 437: Chiunque omette impianti, apparecchi o segnali atti a prevenire disastri o infortuni, o li rimuove o danneggia, è punito con reclusione da 6 mesi a 5 anni. Se deriva disastro o infortunio, da 3 a 10 anni.
Cod. Pen art. 438: Chiunque cagiona epidemia mediante diffusione germi patogeni è punito con ergastolo. Art 452: Chiunque commette per colpa e non dolo fatti ex art 438 è punito con reclusione da 1 a 5 anni invece di ergastolo.
Faccio alcune considerazioni.
Recentemente il TAR Palermo ha emesso una sentenza, con la quale ha considerato un atto dovuto la requisizione da parte del Sindaco del potabilizzatore, in quanto era suo diritto-dovere farlo, perché garante, quale Ufficiale del Governo, dell'igiene e della salute dei cittadini.
Soltanto pochi mesi dopo il SIAN ha effettuato analisi dell'acqua distribuita a Cefalù: Analisi del 27 agosto.pdf [5]
Queste analisi dimostrano che dopo la requisizione del potabilizzatore, questo non ha più funzionato correttamente. Tra l'altro, senza che vi sia stata una comunicazione pubblica della pericolosità dell'acqua immessa nella rete idrica. Credo che questi fatti trovino rispondenza in quanto previsto dall'articolo 437 del Codice Penale.
La presenza dei germi patogeni riscontrate dalle analisi del SIAN sull'acqua immessa in rete dimostrano, infine, che probabilmente ci troviamo di fronte alla fattispecie prevista dagli articoli 438 e 452 del Codice Penale.
I cittadini hanno diritto di essere difesi dai pericoli conseguenti a scelte amministrative sbagliate e questa difesa compete agli organi di polizia giudiziaria, che hanno il dovere di svolgere le opportune indagini per accertare se ricorrono gli estremi previsti dagli articoli del Codice Penale citati prima.
Attendo comunque la consueta querela da parte di chi si sente chiamato in causa da questo mio intervento. In fondo, excusatio non petita accusatio manifesta!