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Incontro Spinoza-Lapunzina [2]29 Giugno 2013, 18:42 - Angelo Sciortino [1] [suoi interventi [3] e commenti [4]] |
Un giorno un certo Baruch Spinoza incontrò un tale Rosario Lapunzina e furono scintille.
I due, infatti, non potevano essere più diversi di quanto lo erano e apparivano. Il primo aveva idee tutte proprie e non conformiste sull'etica e sulla religione; l'altro, invece, conformista lo era oltre ogni dire e le sue idee, quando superavano il difficile ostacolo dell'espressione, sembravano ricopiate da un manuale scolastico.
Il primo era un panteista – credeva, cioè, che l'intero universo fosse Dio stesso. Non ammetteva, quindi, che a questo Dio potessero chiedersi miracoli, perché ciò sarebbe equivalso a chiedere di trasgredire le leggi, che Egli stesso aveva dato, perché l'universo – quindi Egli stesso – funzionasse correttamente; il secondo, invece, vive come in attesa di un miracolo, che salvi Cefalù dal dissesto finanziario, dall'oppressione della burocrazia e dai suoi stessi errori.
“Bentrovato, signor Sindaco. E' così che ti chiamano, vero?” disse Spinoza, entrando nella grande stanza, dove il Sindaco sedeva alla scrivania circondato da uno stuolo di giovani donne e con accanto un giovane dall'aria d'intellettuale simile a quella dei giovin signori, che dopo il pranzo volavano senza penne e senza ali, per salire in alto più leggeri.
Il Sindaco, alla vista di quell'uomo emaciato e vestito di nero, sentì come un brivido alla schiena.
“Sì, sono il Sindaco. E tu chi sei?” chiese il Sindaco.
“Sono un filosofo pluridecorato: mi hanno, infatti, scomunicato gli Ebrei, i Cattolici, i Luterani, i Calvinisti e persino gli Anglicani. Sono venuto a trovarti su richiesta di alcuni miei amici di Cefalù, hai capito bene, amici di Cefalù, che vorrebbero che io t'instillassi un po' di ragione. Anzi, che ti spiegassi il mio “Trattato teologico-politico”, perché tu imparassi a non commettere gli stessi errori, che ormai contraddistinguono gli ultimi anni della tua storia politica.” rispose Spinoza e poi continuò, dopo aver guardato compassionevolmente il viso del giovin signore:
“Ti ho visto più volte, sai, mentre, ricoperto di una fascia tricolore, presenzi persino alla cottura della salsiccia e subito dopo ti rechi in una chiesa o dietro a una processione religiosa. Ti ho visto anche quando, di fronte alla Cattedrale, provavi a ballare, ma riuscivi soltanto ad “annacarti”. Ti confesso che mi hai fatto sorridere. E questo, credimi, non è stato facile per nessuno, nemmeno per i teologi. Te ne sono grato e per questa gratitudine voglio aiutarti, se lo vuoi, in modo d'accontentare i miei amici.”
“Non ti capisco” disse il Sindaco.
“Neanch'io” aggiunse il giovin signore.
“Ne prendo atto e mi convinco dell'inutilità della fatica, che i miei amici mi hanno richiesto. Non abbiatevela, se distintamente vi saluto e me ne vado, lasciandovi ai vostri “annacamenti”.
Dopo essersi inchinato ossequente, girò i tacchi e sparì oltre la porta, dalla quale era entrato.