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Civiltà dell'immagine [2]5 Gennaio 2014, 16:15 - Salvatore Culotta [1] [suoi interventi [3] e commenti [4]] |
Civiltà dell’immagine
Prendo spunto da un recente servizio fotografico pubblicato su un giornale telematico locale per parlare un po’ di un argomento che, secondo me, va approfondito.
Il servizio in questione riguarda una caduta massi (per inciso : caduta annunciata) sulla via del Faro e consta di ben 50 (cinquanta) fotografie, e, stando a questa cifra, ci si aspetterebbe di vedere anche l’immagine della formica perita nel crollo. Niente di questo, bensì 50 (cinquanta) immagini pressoché identiche l’una all’altra. Dando per scontata la validità dell’intenzione di registrare e diffondere foto dell’evento, credo che non sia necessario essere un “addetto ai lavori” per chiedersi da dove possa scaturire la susseguente volontà di pubblicare 50 (cinquanta) foto ognuna contenente sostanzialmente le stesse informazioni. Perché di informazione si tratta e non di foto “artistiche” o di altro genere.
Posso capire e giustificare, ma solo in parte, l’avere scattato 50 (cinquanta) foto, ma il perché pubblicarle tutte sfugge alla mia comprensione.
Si possono fare alcune facili osservazioni: è ovvio che il loro numero è in tal modo abnorme perché il loro costo (tolta la spesa iniziale dell’apparecchio) è praticamente zero (quando si doveva comprare la pellicola, pagare sviluppo e stampa, ci si pensava bene “prima” di scattare una foto) ; in secondo luogo è evidente la mancanza del benché minimo senso critico sia da parte dell’autore che del responsabile della pubblicazione.
E se prendo ad esempio il suddetto servizio, e non me ne voglia l’autore, è solo perché è il più recente che io abbia guardato, ma ci sono stati congeneri “servizi” con 100 (cento) e più immagini (a volte addirittura sfocate o mosse) e per i quali vale ovviamente quanto già detto e quanto ancora si dirà, nessuna animosità quindi nei loro riguardi ma solo una stupefatta attenzione. Ricordo ad es. un altro “servizio” riguardante una mostra fotografica, servizio in cui in circa 50 foto venivano riprodotte le immagini esposte e c’era da chiedersi se erano sfocate le foto pubblicate o quelle esposte nella mostra, e non risulta che gli espositori abbiano diffidato l’autore del servizio per averli così diffamati.
Come ha detto qualcuno: l’accesso ha prodotto l’eccesso, e in tema di rime mi fermo qua.
E’ stato calcolato che esistono attualmente fotocamere e fotofonini (se così si chiamano) in numero di circa 6 miliardi, e che si scattano circa 2 miliardi di foto al giorno. Non avendo più sotto gli occhi la quantità “fisica” delle immagini prodotte non ci si può rendere ben conto che ad ogni ora che passa (sempre da calcoli discretamente attendibili) entrano in hard disk, server, internet etc. miliardi di immagini ogni ora. E questa sterminata congerie riempie l’ambiente virtuale e ci resta per l’eternità.
Unitamente a riflessioni sulla quantità si dovrebbe parlare un po’ più approfonditamente di qualità: discorso più complesso, da lasciare a chi ne ha competenza e ben sa che l’aver appreso una tecnica non è sufficiente per produrre una buona immagine; qui e ora ci si può accontentare di accennare ad una cosa marginale, ma non troppo, riguardante non la qualità dell’immagine che viene pubblicata ma degli aggettivi che la accompagnano. Non è inusuale che foto del tutto banali vengano presentate come “bellissime” “splendide” “magnifiche” “eccezionali”, con ciò mirando più o meno consapevolmente a influenzare il giudizio di chi guarda. Naturalmente ci si chiede quali aggettivi si potranno poi usare per foto di Adams, Roiter, Haas, Sellerio, Doisneau, Stock etc. etc.
Naturalmente, come altrove già detto, questi incauti, acritici e superficiali giudizi di opere banali non riguardano solo i più che ridondanti servizi fotografici, ma anche altri generi di eventi.
E’ forse giusto che chiunque oggi abbia la possibilità di fare quante e quali fotografie vuole, ma ce ne sia perlomeno risparmiata la loro invadente e irritante sciorinatura.