IL PORTO DI CEFALU’, DAL 1951 AL 2010 : LE CERTEZZE DELLA RAGIONE
10 Aprile 2010, 11:25 - Saro Di Paola [suoi interventi e commenti] |
La rivisitazione dei progetti,dei finanziamenti,dei fatti,delle parole e degli aneddoti che hanno scritto la storia dei primi sessanta anni del porto di “Prissuliana” fa comprendere quante siano state le traversie che hanno tempestato la rotta che avrebbe dovuto, e tuttavia dovrebbe, portare al suo completamento ed alla sua messa in sicurezza.
Traversie da tutti i quadranti :
da quello della destinazione d’uso a quello ubicazionale e della tutela eco-ambientale,
da quello tecnico-costruttivo a quello tecnico-burocratico,
da quello tecnico-amministrativo a quello tecnico-finanziario.
Un mare,è proprio il caso di dirlo, di traversie in cui la Città deve,però, avere la capacità di pescare,almeno,alcune certezze.
Quelle che, per me, sono LE CERTEZZE DELLA RAGIONE.
Se la Città non dovesse essere, o non sarà, in grado di trovarle, tutte le vicende che, dal 1951 al 2010, ha vissuto per avere un porto, sarebbero passate, e passerebbero, in modo assolutamente vano.
Su generazioni e generazioni di cefaludesi.
Quella STORIA che io ho ripercorso nel mio scritto precedente, sarebbe, sostanzialmente, INUTILE se non dovesse essere stata d’insegnamento.
La PRIMA di tali certezze riguarda LA LOCALIZZAZIONE DEL PORTO.
La scelta della localizzazione del porto nella baia di Presidiana, per l’insorgere delle difficoltà, delle problematiche e degli ostacoli connessi alla scelta medesima, con il passare degli anni, è stata oggetto di accese dispute che, nel tempo, hanno visto delinearsi due teorie diametralmente opposte.
Una che può essere sintetizzata nel pensiero di Prospero Giardina, secondo cui, come ho già detto, “la località possedeva ogni requisito perché vi sorgesse un porto degno di questo nome”.
L’altra che ha avuto il suo più acceso sostenitore in Benedetto Morello, secondo cui, si deve “cercare un sito alternativo per allocare un porto turistico” perché, come Egli ha detto, intervenendo nell’ultimo dibattito consiliare, al quale ha partecipato
“i connotati morfologici del tratto di costa da Presidiana al promontorio della Caldura sono tali da renderlo un capolavoro della natura che non può essere stravolto e cambiato da una mega struttura portuale con la quale, non fosse altro che per il problema dell’insabbiamento, si farebbe la festa all’ambiente”
Personalmente, sono convinto che la SCELTA DI PRESIDIANA sia stata il vero PECCATO DI ORIGINE che ha condizionato, e continua a condizionare, l’intera vicenda.
Non già per le condizioni idraulico-marittime, né per quelle meteo-marine del paraggio, certamente favorevoli, ma, proprio per quelle caratteristiche fisiografiche ed ambientali dell’intorno che, come sotiene Morello, rendono quel luogo “un capolavoro della natura”.
Un peccato di origine, intendiamoci, per il quale non mi sento di esprimere alcuna condanna nei confronti del prof. Giardina del quale, pur con i miei 60 anni,ho, soltanto, il ricordo della solennità dei funerali che la Città ed il comprensorio tutto Gli tributarono.
Onestà intellettuale impone che si dica che, nel 1950, sarebbe stato impensabile proporre, per il rifugio peschereccio, la allocazione in un sito ancora più distante dalla città, di quanto, pòer i pescatori, non fosse già Prissuliana.
Ma, a prescindere dal pensiero che si possa avere sulla scelta di quel luogo,
nel 2010, la prima certezza è che la struttura, sinora, realizzata in quel luogo non potrà essere abbandonata a sé stessa, lasciata in balìa del mare o dismessa.
SAREBBE IRRAZIONALE!
La struttura medesima, perciò, deve essere messa in sicurezza, completata e resa funzionale.
Prima del suo completamento, infatti, non si può pensare ad una ubicazione diversa per un porto più grande, di cui pure, nei decenni a venire, Cefalù potrebbe avere bisogno per soddisfare la richiesta di ormeggi nel settore diportistico.
La salvaguardia di quel tanto che ancora resta delle valenze naturali e paesaggistiche di quel non consente di realizzare un mega porto : impone un completamento che, al massimo, possa soddisfare le esigenze attuali.
Una struttura che riesca a garantire l’ormeggio in sicurezza ad un massimo di circa 600 tra imbarcazioni e natanti da pesca e da diporto.
Tanti, all’incirca, ne ho enumerati, lo scorso anno,in piena stagione estiva, ormeggiati disordinatamente e nei vari modi possibili, all’interno dell’intero bacino tra la diga foranea e la scogliera della Calura.
Per il futuro, quanti verranno dopo di noi potranno, o potrebbero, guardare alla zona del cosiddetto ripascimento di Fiume Carbone.
Ma quella sarà un’ALTRA STORIA.
La SECONDA di quelle che ho definito le certezze della ragione attiene al processo di interramento, o di INSABBIAMENTO che lo si voglia chiamare, dei fondali.
“L’arenile al fondo della baia di Presidiana, a memoria d’uomo non si era mai allargato di un solo palmo” così sostiene Prospero Giardina in uno dei Suoi articoli sul porto.
Così dicono, quanti hanno la memoria di quel luogo prima che venisse realizzata la diga foranea.
L’alterazione delle correnti provocata dalle opere portuali già realizzate ed, a mio giudizio,anche, gli effetti della diminuzione del flusso di acqua dolce dalla omonima sorgente,hanno, negli ultimi anni, reso evidente, anche ad occhio nudo, il progredire inesorabile dell’insabbiamento di quelli che erano i fondali dell’intera baia.
La realizzazione delle opere di completamento, quali che saranno,
renderà ancora più grave, un processo che ha già reso necessario un primo intervento di dragaggio,i cui effetti risultano, già, inesorabilmente,vanificati.
Giocoforza, quindi, interventi di dragaggio dei fondali dovranno essere eseguiti, con cadenza periodica,avendo ben chiare le idee sulle modalità di smaltimento della sabbia,indipendentemente, dal grado di inquinamento, che dovesse essere riscontrato nella stessa.
Un grado di inquinamento, più o meno presunto, per il quale l’ultimo intervento di dragaggio è rimasto incagliato in dispute burocratiche, che i fatti hanno dimostrato essere, soltanto, pastoie.
Pastoie burocratiche, rese emblematiche dalla montagna di sabbia che, inquinata come dicevano fosse,per circa due anni ha fatto da pista per ciclocross a Presidiana senza avere arrecato alcun danno alla salute di quanti ne sono venuti a contatto.
Una montagna di sabbia che poi, dovunque e comunque sia stata smaltita, non risulta abbia provocato alcun danno igienico-sanitario all’ambiente.
Al riguardo, a mio giudizio, la sabbia, più o meno inquinata che possa essere, prelevata dal mare dovrà essere restituita al mare.
Le spiagge di Cefalù, da quella del lungomare a quella di S. Ambrogio,hanno bisogno di quella sabbia perché di anno in anno, al contrario di quanto avviene a Presidiana, si riducono a vista d’occhio e, perciò, devono essere, esse sì,periodicamente ripasciute.
Un intervento di DISSABBIAMENTO, peraltro,dovrebbe essere eseguito CON SOMMA URGENZA.
DOMANI!
Renderebbe fruibile per gli ormeggi un consistente specchio acqueo consentendo, quantomeno, di fare fronte ad uno dei disagi provocati dalla ordinanza, e cioè, l’ impossibilità di ormeggiare in due delle sei vasche delimitate dal martello centrale.
La TERZA certezza, attiene alla difficoltà se non all’IMPOSSIBILITA’ di accedere ad un FINANZIAMENTO PUBBLICO per realizzare per intero le opere di completamento del porto.
Infatti, il raffronto tra gli importi dei progetti di completamento e di messa in sicurezza che, sino al 2010, sono stati redatti e cioè, i 35 miliardi di vecchie lire previsti dal progetto Migliardi nel 1985, i 60 miliardi di vecchie lire previsti dal progetto dell’Ufficio del Genio Civile OO.MM. nel 1987 e i 10 milioni di euro previsti dal progetto Spina del 2003, con gli importi dei finanziamenti a stillicidio dal 1951 ad oggi, è sin troppo eloquente per non fare ritenere utopica la possibilità di erogazione di un unico finanziamento pubblico.
Soprattutto in tempi di vacche magre come quelli attuali.
E ciò, anche, a prescindere dall’inserimento di tali opere nei PRUSST.
Ciò perché, la sperimentazione di quelle metodologie amministrative previste dal Legislatore nazionale con l’istituzione dei PRUSST, proprio, per rendere più spedita l’attivazione dei finanziamenti nazionali e comunitari in molti Comuni, e pure a Cefalù, è, ormai, diventata palestra di scontri pseudo politici, o meglio di battaglie partitiche, e di controversie politico-giudiziarie, ancor più paralizzanti delle vecchie metodologie che, proprio con i PRUSST, il Legislatore avrebbe voluto, e vorrebbe, rimuovere e soppiantare.
Battaglie e controversie il più delle volte condotte nel segno di quell’ambientalismo di maniera che, finisce col fare una sola vittima illustre :
proprio quell’ambiente che tutti, almeno, a parole vorremmo difendere.
Le vie che, quindi nel 2010, si possono perseguire, sono due :
quella della finanza di progetto intrapresa dal sindaco Vicari con il progetto Spina o quella di un ridimensionamento del progetto di completamento.
Un ridimensionamento che lo limiti alle opere di messa in sicurezza di un bacino portuale più esteso, soltanto di poco, rispetto a quello attuale.
Ieri, dall’alto della via del faro, ho a lungo osservato quanto nella baia è stato realizzato.
Pur non avendo competenza alcuna nel settore della ingegneria portuale sono pervenuto al convincimento che una soluzione in tal senso possa essere, anche, trovata.
Una soluzione che, per non interferire e non nuocere rispetto alla fruizione paesaggistica della scogliera di punta Calura e con i suoi “isolotti”, non può, però, che lasciare scoperte a greco le vasche lato est del martello centrale.
Tale soluzione sarebbe, certamente, idonea e sufficiente a garantire, tutto l’anno, la sicurezza delle imbarcazioni e dei natanti da pesca.
Però, altrettanto certamente, non lo sarebbe, per quelle imbarcazioni e per quei natanti da diporto che, nella stagione estiva, non trovando posto all’interno del bacino portuale sicuro, sarebbero costrette ad ormeggiare nelle tre vasche orientali del martello centrale.
Tale soluzione comporterebbe, ovviamente, lo studio e la elaborazione di un nuovo progetto.
La QUARTA di quelle certezze che ho definito della ragione attiene alla GESTIONE del porto dopo le opere di completamento.
Al riguardo, per capire quale debba essere la rotta da seguire, dobbiamo saper dare la giusta risposta a tante domande.
È razionale pensare che, ultimati i lavori, il porto possa essere lasciato all’arbitrio di chicchésia, come avviene attualmente ?
È razionale accettare la logica che il porto essendo di tutti continui ad essere di nessuno ?
È razionale accettare che, impunemente, si continuino a distruggere le torrette per acqua e luce, i punti di illuminazione e quant’altro viene realizzato con pubblico danaro e che si continui a spendere altro danaro pubblico per rimediare agli atti di vandalismo o di incuria?
È razionale che si continuino ad abbandonare in ogni dove carcasse di barche da diporto e non, di api a tre ruote, di frigoriferi ?
È razionale che si continuino a depositare, dove viene più comodo, pneumatici usati, sfabbricidi, oli usati, spezzoni di cime, traverse ferroviarie e quant’ altro, quasi che l’area portuale sia la più illegale delle discariche ?
È razionale che si continui ad usare la banchina di riva come il più comodo dei campings ?
È razionale che i campers continuino a svuotare i vasi chimici nelle canale per la raccolta delle acque piovane ?
È razionale continuare a pensare, come qualcuno ancora pensa, che prima di operare qualsiasi scelta progettuale, operativa e realizzativa,
si possa o si debba costituire, un “ENTE PORTO DI PRESIDIANA”?
CERTAMENTE NO!
Ed allora, la quarta certezza, a mio giudizio, è che l’intera area portuale dovrà essere gestita unitariamente, custodita, resa accogliente e preclusa agli atti di vandalismo di qualsiasi natura.
Il porto ed il suo intorno dovranno essere il biglietto da visita della nostra Città, per quanti vi giungeranno dal mare.
Una gestione unitaria che, però, GARANTISCA LA PROSECUZIONE DELLE PROPRIE ATTIVITA’ a quei CITTADINI che,nello specchio acqueo e nella banchina di riva di Prissuliana, dopo avere ottenuto dal Demanio le necessarie concessioni, hanno investito danaro per offrire, come ormai da anni offrono, quei servizi che sono indispensabili per la pesca e per il diportismo nautico.
Quei servizi senza i quali, ormai da anni, il “PORTO” di Cefalù, proprio perché sarebbe stato DI TUTTI sarebbe stato DI NESSUNO, più di quanto non lo sia stato e non lo sia.
L’ULTIMA di quelle che, prima, ho definito le certezze della ragione, a mio giudizio, è che IL TEMPO DELLE PAROLE è abbondantemente SCADUTO.
E, mi si consenta, anche quello delle sedute consiliari al porto.
Per il porto di Presidiana È DA TEMPO SCOCCATA L’ORA DEI FATTI !
Di fronte alla certezza-necessità di dovere completare il porto, trincerarsi in difese ambientalistiche ad oltranza di un luogo che nessuno vuole offendere più di quanto non sia già stato offeso,è una falsa difesa, è una difesa demagogica di quello stesso luogo.
Una difesa che serve, soltanto, ad alimentare la diatriba delle parole per non fare e per non far fare nulla.
E non facendo nulla si finirebbe per decretare il definitivo stravolgimento di quel luogo.
Quello stravolgimento che l’inesorabile avanzamento dell’arenile lascia prefigurare come il più realistico degli scenari possibili :
un arenile irreale esteso sino alla punta della Calura,
un arenile irreale da cui le opere portuali già realizzate e gli stessi scogli emergeranno come spettri, altrettanto irreali.
Certo, non è uno scenario a breve termine, ma non è, neanche, uno scenario che richiederà tempi geologici.
Non è uno scenario catastrofico.
E’ uno scenario realistico.
Uno scenario che, per un bacino portuale, non sarebbe, affatto, nuovo.
La storia racconta di precedenti eclatanti.
Uno per tutti.
Il porto di LEPTIS MAGNA, la fiorentissima città commerciale dell’Africa settentrionale, di cui il porto segnò l’ascesa e la fine.
Agli inizi del terzo secolo dopo Cristo, dopo che Settimio Severo fece eseguire i lavori di ampliamento e di ammodernamento di quel porto,
il bacino portuale si insabbiò inesorabilmente, rendendo inutili tutti i tentativi che vennero esperiti per evitarlo, tra cui, addirittura, quello di deviare il corso del wadi Libda, il fiume che sfociava proprio all’interno di quel bacino portuale.
Saro Di Paola, 10 aprile 2010
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