"Dissertazione sull’Amore"

Ritratto di Giuseppe Maggiore

7 Febbraio 2015, 16:32 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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"DISSERTAZIONE SULL'AMORE"
("...homines ipsi sibi somnia fingunt..." - gli uomini si creano da sé i sogni - Virgilio)

 

Partiamo da una considerazione generale, "ab imis".

Cos'è una donna o cosa può essere?

Un armonico concentrato di completamento dalla cui esistenzialità non si può prescindere; una madre, una sorella, una moglie, una figlia, una compagna, un'amante (l'ho già espresso altrove)!

Una Dea!

Nel sua più ampia e comune accezione, è, o dovrebbe essere, un unicum perfetto che accorpi la prestanza della forma alla valenza della sostanza: una monade, cioè, un'entità eclettica, una panacea emblematica, presupposti pseudoaforistici che affianchino, supportino e potenzino la concezione muliebre materna coniugandola con l'afflato intrinseco della femmina intesa come elemento completativo della essenza maschile.

E quando alle attrattive fisiche si aggiungano la mitezza dello sguardo, l'amorevolezza degli atteggiamenti, l'affabilità dei modi, la disponibilità del carattere, una voce amabile e sensuale ed una costante sensibilità, allora la donna diventa eterea, sempiterno connubio fra l'umano ed il divino allo stesso tempo; unico possibile approdo per l'uomo.

Perché ci s'innamora? Mah! E chi lo sa? Vai a sceverare con matematica sintesi il vero inerente processo, evolutivo ed involutivo, la metamorfosi, la catarsi e quant'altro, che subisce la nostra mente in tale esiziale contingenza!

Vai a sondare una materia senza limiti, inconoscibile, un pozzo senza fondo!

Stiamo trattando di un tema imponderabile!

Ci si può innamorare di uno sguardo, di un particolare modo d'incedere, di una postura, di una movenza, di un sorriso, di una condivisione d'idee, di una forma, di un non so che di ancestrale, di atavico, di incerto: un coacervo iperattivo di elementi contrapposti (coincidentia oppositorum, quali: l'alba e il tramonto,  il giorno e la notte, la primavera e l'estate, il buono e il cattivo, la vita e la morte, il tutto ed il niente, ecc.) che tolgono l'imparzialità al pensiero .

Clinicamente, assumono i saggi (Freud, Fromm, Nietzsche), lo stato d'innamoramento è una condizione cerebrale patologica che coinvolge inesorabilmente tutti i nostri sensi.

Infatti, quando il particolare affettivo incontenibile fermento psicologico dal cervello trasmigra al cuore ed alle ghiandole endocrine, allora irrimediabilmente scatta il sentimento, critico stato d'animo coattivo che fà perdere la tranquillità dello spirito, il sonno, la perfetta lucidità, la cognizione del tempo e dello spazio, indirizzando tutte le facoltà vitali ad un comune denominatore, fragrante e irrazionale: il sogno, quale "specifico" liberatore di uno stato emotivo protratto!

Chaplin, alias Calvero, nel suo mirabile film "Luci della Ribalta", additando la sua fronte, dice a Terry (Claire Bloom), la sua comprimaria: "...questo è il più bel regalo che la natura ci ha dato!..."

È da lì, infatti, che viene fuori la fantasia, benefica dote che, unita alla speranza, aiuta l'animo dell'uomo nelle sue molteplici terrene vicissitudini.

Ed allora si sogna una "lei" ad occhi aperti, la si ipotizza, la si costruisce, la si crea; la si vorrebbe sempre vicino per ammirarla, stringerla fra le braccia, baciarla, carezzarla, aspirarne il profumo, viverla, goderla. Tutto il restante senso della vita perde il suo sapore, si affievolisce e scompare irrimediabilmente come in una impalpabile chiusura in dissolvenza.

Così la donna diventa il nostro rifugio, la nostra panacea, il nostro rimedio salvifico, la nostra consolazione, la nostra sublimazione, il nostro piacere, il nostro tormento, il nostro traguardo, la nostra interiore irrequietezza: una umana divinità piena di virtù e di nequizie, croce e delizia del nostro cammino.

Pertanto, quando la sua fattiva presenza non supporta il nostro incedere, facciamo di necessità virtù e col ricorso alla fantasia ce la raffiguriamo.

Ma come la si può immaginare se non nel modo più eroticamente classico, più direttamente congeniale, dettato dalla corrente immaginazione soggettiva estrapolata dall'abusato breviario maschile?

Viso ovale. Occhi a mandorla, verdi, bistrati. Sguardo accattivante, malizioso, coinvolgente. Motile la bocca, modellata per i baci; pronunciate le labbra, invitanti, succose, truccate d'un rosso carico. Sciolti i capelli, fluenti sulle spalle nude, di colore scuro o biondo che siano. Seno tornito, prorompente, svettante; fianchi nutriti, flessuosi.
Due orecchini pendenti, alla gitana, le ornino i lobi delle orecchie. Un sottile nastro di velluto blu, al quale sia appeso un medaglione, le circondi il collo. Inguainata in una veste di tessuto elasticizzato nero, corta, merlettata agli orli, che la copra appena e che lasci quasi scoperti i seni. Gambe tornite ed interamente fasciate dal nylon delle calze scure, lunghe, autoreggenti. Nere pure le scarpe, semiaperte, trattenute sul dorso da una linguetta di pelle e con tacchi a spillo.
L'espressione, pudica, velata da un candore sognante.

Victor Hugò asseriva che la donna nuda è donna armata; Balzac propendé, invece, per la donna discinta, in quanto più conturbante. Lautrec e Seurat, sfegatati pittori feticisti, nei loro quadri la drappeggiarono con frange e con merletti.

C'è tutta una letteratura che ne esalta la figura (Ciullo d'Alcamo, Cecco Angiolieri, Petrarca insegnano!). Ognuno, insomma, l'ha vista, ritenuta e descritta a suo modo, secondo la propria indole, la propria capacità ed il proprio grado di passione.

Angelo e Demonio, Madonna e Circe, Maddalena e Betsabea, Laura e Beatrice. Venere! Creata per la perdizione dell'uomo, come sancisce Alessandro Dumas (padre).

Innamorarsi di una simile ipotetica creatura è facile, difficile è distaccarsene. È impossibile non rimanerne toccati per l'avvenenza, per la grazia, per la sua simulata attrattiva; capziose, uniche, doti che la spingono verso una irreversibile schiacciante vittoria.

Lei, bella e formosa, venatrix hominum, quale scattante gazzella nel periodo degli amori irretisce ed eccita, attrae e sconvolge, prostra e innalza, trafigge e rincuora; ispira grandissima voglia di annullarsi nel bacio, di immergersi nell'abbraccio, di affogare nell'effluvio che promana dai suoi seni, mentre morbida e invitante, vogliosa e pregna di malizia, con sguardo civettuolo, ammantata della sua prosperosa femminilità ti sconvolge e ti incita a possederla.

Le passioni sono improvvise, come i tornadi; non si può prevederle, né trattenerle, né regolarle, né governarle; è solo la maturità che potrebbe moderarle.

Non ci si può coricare la sera senza pensarla, non ci si può svegliare la notte senza che la sua immagine non rimbalzi nei nostri pensieri, non ci si può alzare al mattino senza ammirarla con gli occhi  della mente, del cuore e dei sensi.

"Il sogno" di Damiano Errico

 

Il suo essere diventa un'ossessione nella misura in cui ci si conceda o ci si mostri irraggiungibile.

Fissarla nella memoria è come per un assetato vedere una fontana d'acqua pura al di là di un non sorpassabile ostacolo e non potervi accedere per dissetarsi.

Il supplizio di Tantalo!

Desiderarla e non averla genera una malinconia indicibile, una acerrima prostrazione, una pena senza fine.

Inesauribile e senza termine sarebbe scrivere un romanzo su di lei, sui suoi molteplici modi di essere, di porsi, di manifestarsi, di apparire.

La passione è infinita perché lei è l'infinito cosmico racchiuso in un friabile elegiaco involucro.

Come si fà a resistere alla sempiterna impellente voglia di lei?!

Cos'è, dunque, l'amore se non il desiderio sessuale camuffato da poesia?

Jules De Gaultier, nel suo testo "Il bovarismo", parla del Genio della Specie, della presa in giro che la natura ordisce ai danni dell'uomo, camuffando il desiderio (unico prodromo che genera la vita) col sentimento, al fine della perpetuazione dell'umano terrestre travaglio, condito dalla religione e sorretto dalla speranza.

 

(n.b.: ...col freddo che fà, porca miseria, ho pur ben diritto di trattare argomenti tropicali! No?!!!.....)

 

Cefalù, Febbraio 2015.                                                                                                                                Giuseppe Maggiore