Cefalù e le grandi opere pubbliche

Ritratto di Saro Di Paola

28 Novembre 2015, 14:15 - Saro Di Paola   [suoi interventi e commenti]

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La presentazione al pubblico del progetto della nuova fermata sotterranea di Cefalù, la qualità delle tavole grafiche e dei rendering esposti, quella delle slide proiettate e l'atmosfera complessiva, che si è respirata nella Sala delle Capriate, edulcorata dai compiacimenti e dai ringraziamenti, che gli intervenuti si sono scambiati, forse anche eccessivamente, mi hanno fatto tornare alla memoria la presentazione, che venne fatta a Cefalù, del progetto di un'altra grande opera  pubblica. 

Un'opera, certamente meno importante, ma, che, altrettanto certamente, ha lasciato un segno, non da poco, sul territorio di Cefalù.

Mi riferisco alla presentazione del progetto di "modellamento morfologico" di quella che, spacciata per ripasciamento di un tratto della costa di Fiume Carbone, altro non fu se non la più comoda delle discariche per lo smarino delle gallerie del lotto autostradale Cefalù-Castelbuno.
Una discarica, per la quale l'impresa appaltatrice del lotto autostradale avrebbe dovuto pagare e per la quale, invece, venne, addirittura, pagata.
Con danaro pubblico.

Si era alla fine del 1987.
Nel Palazzo di Città, erano in corso i lavori di ristrutturazione.
La Sala delle Capriate era inagibile.
Perciò, la presentazione di quel progetto venne fatta nella sede dell'Istituto Statale d'Arte.
Allora in via Vitaliano Brancati.
Nell'edificio Cerami.
Quello, che, per tanti anni, era stato sede della Compagnia e del Comando dei Carabinieri di Cefalù e che, oggi, è un elegante edificio per uffici e residenze.


Della presentazione di quel progetto ho, già, scritto.
Negli "articoli correlati", di cui, alla fine di questo, riporto i link.
Articoli nei quali ho cercato di ricostruire le vicende, che, alla fine degli anni ottanta, finirono per lasciare, sul territorio di Cefalù, uno dei segni più gravi, che, mai, prima ed in un solo colpo,  vi erano stati lasciati.
Il segno, che, dalle parti di Fiume Carbone, è, e resterà, sotto gli occhi di tutti.
Quello, che ha cancellato un lungo tratto della costa ad oriente di Cefalù.
Il tratto più suggestivo per chi, a Cefalù, arrivava  attraverso la strada statale.
Il tratto più suggestivo per chi guardava al mare dalle alture di Magarà, Barreca, Centova, Fiume Carbone, Sant'Ambrogio e Guarneri.

Sento, però, il bisogno di riproporla.
All'indomani della presentazione del progetto della nuova fermata ferroviaria sotterranea e della nuova tratta Ogliastrillo Castelbuono.
Può essere d'aiuto alla riflessione.
Può essere da monito per quanti, nel prossimo decennio e forse più, saranno chiamati ad amministrare la Cosa Pubblica a Cefalù. 
A quanti, perciò, avranno il dovere politico di vigilare.
Affinchè la nuova fermata metropolitana e le opere di mitigazione ambientale in tutte le aree di cantiere, che stravolgeranno vaste porzioni del territorio, non restino nei rendering che ci sono stati esibiti. 
Affinchè la nuova fermata sotterranea non diventi il più insalubre dei ghetti.
Affinchè, in estrema sintesi, la presentazione di ieri l'altro non si riveli, per Cefalù, più beffarda di quella del 1987.


La riflessione è alimentata, addirittura, dagli stessi lavori del raddoppio, che stanno per essere completati nel primo lotto Fiumetorto-Ogliastrillo.
Lavori, che sono stati, certamente meno impegnativi di quelli, appena, iniziati nel lotto Ogliastrillo-Castelbuono e che, sul territorio di Cefalù, rispetto a questi ultimi,  incideranno meno, molto meno.
Lavori, che hanno avuto l'andazzo e la durata che tutti sappiamo.

Lavori, che hanno lasciato e stanno lasciando, nel territorio interessato, i segni che abbiamo visto e che vediamo.

Al riguardo, a destare, addirittura, un campanello d'allarme sono le condizioni delle scarpate della trincea tra la galleria naturale e quella artificiale di Salaverde.

                                                                   
Se dovessero restare tali, avremmo ti che preoccuparci.
Tutti.
Se, poi, le opere di mitigazione ambientale, laddove saranno indispensabili nel lotto appena iniziato, dovessero avere la stessa qualità, avremmo di che vergognarci.
Tutti. 
Avremmo di che pentirci per non avere evitato, anzi per avere inseguito e osannato, quella, che potrebbe rivelarsi la peggiore delle scelte progettuali, che si sarebbe potuta adottare per il raddoppio e la nuova fermata ferroviaria.

A cose fatte.
Purtroppo.
Altro che compiacerci per l'opportunità di sviluppo, che l'uno e l'altra metteranno a disposizione del territorio tutto.
Per metterla a disposizione di quanti lo abiteranno. 
Nei decenni a venire.
Nel prossimo secolo.

Saro Di Paola, 28 novembre 2015

Di seguito la pagina di storia nefasta, che sento il bisogno di riproporre.
I più non la conoscono.

LA TRATTA AUTOSTRADALE CEFALU' CASTELBUONO, LA DISCARICA DEI MATERIALI SMARINATI ED IL RIPASCIMENTO DI FIUME CARBONE


Nel 1984, dopo che vennero aggiudicati gli appalti per la realizzazione del tronco autostradale Cefalù-Castelbuono, per Cefalù fu emergenza.
Era, infatti, di un milione di metri cubi circa il volume dei materiali, che, smarinati per lo scavo delle gallerie in territorio di Cefalù, dovevano essere conferiti a discarica.

Le imprese aggiudicatarie chiesero al Comune di Cefalù di localizzare le discariche all’interno del suo territorio.
La questione venne ampiamente dibattuta dal Consiglio comunale, che nella seduta del 19 aprile del 1985, a maggioranza, adottò la delibera n° 105 con la quale indicò nell’area alla foce del torrente Carbone un luogo nel quale si sarebbe potuta conferire una parte, seppure minima, del materiale di risulta.
Come, liberamente e ben oltre la linea naturale della battigia, nel ventennio precedente, in quell'area erano state riversate le terre di risulta degli scavi per l’imposta delle fondazioni e dei piani interrati degli edifici della prima espansione edilizia di Cefalù.
Terre che, da quel luogo, le mareggiate inghiottivano.
Sistematicamente.
Man mano che, in quel luogo, venivano riversate.
Per disperderne i residui solidi sulla costa cefaludese di levante.
A ripascimento delle spiaggie e dei fondali.

L’Assessorato Regionale al Territorio ed all’Ambiente non condivise l’indicazione del Consiglio comunale.
Sua sponte e di concerto con il Genio Civile Opere Marittime, elaborò e finanziò un progetto dell'importo di 7 miliardi e 300 milioni di vecchie lire finalizzandolo alla difesa ed al ripascimento della fascia litoranea ad occidente della Foce del torrente Carbone.
Fascia che aveva mantenuto la fisicità che Madre Natura le aveva dato e che, nei secoli, era rimasta pressochè intonsa.
Fatta eccezione per la sede stradale della settentrionale sicula, che l'Uomo le aveva sovrapposto e per le opere, sporadiche e puntuali, con le quali l'Uomo, nei decenni precedenti, l'aveva presidiata dalle mareggiate.

Il progetto altro non era se non una diga a forma di trapezio con il perimetro a mare della lunghezza complessiva di 900 metri circa.
La diga prevista in grossi massi di pietra calcarea avrebbe avuto la funzione di mantellata di chiusura e di protezione di uno specchio acqueo di 50.000 mq circa nel quale sarebbero stati riversati 600 mila metri cubi circa dei materiali provenienti dallo scavo delle gallerie.

Tratta da: Il Corriere delle Madonie – Anno XXIV – N. 4.5 – Aprile-Maggio 1987

Fu l’inizio dello scempio di “Fiume Carbone”.
L’Assessorato, di fatto, con proprio decreto tramutò l’emergenza discarica in affare “ripascimento”.
Affare per l’impresa che, poi, si aggiudicò l’appalto dell’opera idraulico-marittima.
Affare per le imprese che si erano aggiudicato l’appalto dei lavori autostradali.
Piuttosto che pagare per conferire il materiale nelle discariche, vennero pagate.
Profumatamente.
Viva l’Italia!

“Il CORRIERE DELLE MADONIE”, nel numero di aprile-maggio del 1987, cominciò ad occuparsi della vicenda.

      

Il Corriere delle Madonie – Anno XXIV – N. 4.5 – Aprile-Maggio 1987 – Pag. 1 e 2
(cliccare sulle pagine del giornale per ingrandirle)

Stava montando la protesta degli ambientalisti e della politica cittadina (ahimè io c’ero).
Però, come vedremo, era già troppo tardi!

I lavori di realizzazione del trapezio per il ripascimento della costa erano iniziati da alcune settimane.
La protesta cominciava a montare e, come si legge alla pagina 2 de “Il Corriere delle Madonie” che ho già riproposto (https://www.qualecefalu.it/node/2867), il 24 aprile 1987, il Consiglio comunale di Cefalù, alla unanimità votò un ordine del giorno con il quale
impegnava
“il Sindaco e l’Amministrazione attiva a prendere tutte le iniziative nei confronti delle Autorità competenti per ottenere, intanto, la immediata sospensione dei lavori richiedendo agli organi competenti la redazione di un esauriente studio di Valutazione di Impatto Ambientale, a sollecitare del Ministero dell’Ambiente, del Commissario regionale per la proposta del Parco delle Madonie, dell’Assessorato regionale ai Beni culturali ed ambientali ad intervenire nell’ambito delle proprie competenze”.

Il voto del Consiglio arrivò dopo la mozione, che il giorno prima, su proposta della Lega Ambiente, era stata approvata dall’Assemblea cittadina che si era tenuta nei locali del Circolo Unione e fu in assoluta sintonia con questa mozione, il cui testo si può leggere in quella stessa pagina del periodico cefaludese.

L’Assessorato regionale al Territorio non fu sordo alla protesta e sospese i lavori.

Giusto il tempo, però, di affidare, alla associazione ambientalistica “Quadrato Verde”, l’incarico del progetto di “modellamento morfologico” del ripascimento-discarica e di approvare, in data 3 settembre 1987, la variante al trapezio.
In uno alla perizia suppletiva, per l’importo di un altro miliardo di lire circa, che la variante medesima richiese.

La variante venne presentata alla Città di Cefalù, presso la sede dell’Istituto d’Arte, allora in via Vitaliano Brancati.
In quella che era stata la sede della Compagnia e del Comando dei Carabinieri di Cefalù e che, oggi, è un elegante edificio.

Quella variante modificò la spezzata a forma di trapezio in una linea con curve ad ampio raggio, che riproponeva, avanzato sul mare, l’andamento sinuoso del tratto di costa che avrebbe finito per cancellare.

La nuova linea della diga aveva uno sviluppo di 1.450 metri circa, quasi doppio rispetto a quello del trapezio.
La superficie dello specchio di mare che includeva era di 70.000 metri quadrati circa.

Maggiore di 20.000 metri quadrati rispetto alla superficie acquea del primo progetto.

I grafici del progetto, redatti magistralmente dagli ambientalisti di “Quadrato Verde” senza i mezzi ed i programmi di grafica che la tecnologia, dopo, avrebbe messo a disposizione dei tecnici, erano di quelli che lasciavano a bocca aperta.
L’ammirazione per i grafici fece smarrire la vera essenza della questione ambientale.
La protesta per il trapezio si placò.
Quasi d’incanto.

Magnifici viali alberati e aree di belvedere puntato in tutte le direzioni lasciarono immaginare che l’area del ripascimento sarebbe divenuta un magnifico “parco” attrezzato, da cui straordinario sarebbe stato il godimento del mare.

Quel progetto fu fumo negli occhi.
Di tutti.
Me compreso.

Di quel progetto conservo, ancora nitida nella mia memoria, la qualità dei grafici con i quali i progettisti rappresentarono il papavero cornuto:

e la varietà, più elegante, più alta e snella, del finocchio di mare:

Quelle immagini, insieme a quelle di tantissime altre essenze erbacee ed arboree tipiche delle coste del Mediterraneo, fecero da specchietto per le allodole.

Per tutti.
Me compreso.
Nei grafici del progetto di “Quadrato Verde”, il luogo della discarica spacciata per ripascimento, era rappresentato come paradiso sulla Terra.
Anzi, sul mare di Fiume Carbone.

I lavori del “ripascimento” rimodellato morfologicamente ripresero.
Con immediatezza ed alacremente.

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ed, inoltre,