Assassinii a Cefalù

Ritratto di Angelo Sciortino

2 Giugno 2016, 15:48 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Dall'arabo ḥaššāšīn è nato nella lingua italiana il termine assassino. Nel XIII secolo, infatti, gli ḥaššāšīn erano i sicari, ai quali il Vecchio della Montagna faceva fumare l'hashish, perché eseguissero la loro sanguinaria missione senza paure e tentennamenti.

Ai nostri giorni abbiamo ancora l'hashish, comunemente conosciuto come droga, ma dobbiamo ammettere che abbiamo altre droghe, che annebbiano il cervello degli uomini e ne fanno i sicari contro la libertà, la cultura, la loro stessa dignità e contro il futuro dei loro stessi figli.

Questo tipo di droghe è noto fin dai Romani, ai quali si deve la definizione di panem et circenses per definire l'abitudine di acquistare autorità, offrendo cibo alle pance e passatempi al popolo. Con il tempo nacquero altre droghe, fra le quali la religione, che Marx definì l'oppio dei popoli, intendendo con ciò che l'abitudine al credere per fede e non per ragionamento finiva con il rendere i cittadini sudditi acritici e quindi impotenti.

Oggi queste due droghe si combinano fra loro, fino a creare un'unica nuova droga, che ha l'effetto di addormentare le coscienze, mentre la mente e la ragione vengono addormentate con le chiacchiere. È questa una sinergia di droghe, della quale si servono sempre più frequentemente gli uomini politici odierni. Dei vantaggi derivanti loro dall'assuefazione dei cittadini a queste droghe essi sono consapevoli, ma non avendo essi stessi cultura e morale, se ne servono per il loro personale tornaconto.

Una simile situazione un tempo era comune soltanto relativamente al rapporto tra i cittadini e i loro rappresentanti in Parlamento; oggi, invece, è comune anche nel caso degli amministratori locali, come i sindaci e i loro sostenitori sanno bene. Si è perso, infatti, il contatto diretto fra l'amministratore locale e i cittadini. Appena eletto, egli si rinchiude nel cosiddetto Palazzo Comunale e da questo momento le notizie della sua attività diventano sempre più rare e quelle che trapelano raramente sono comprensibili o veritiere, sia perché comunicate nella interpretazione fuorviante e mistificante del detentore del potere e sia perché l'espressione usata è più ermetica di quella di Ermete Trismegisto.

Tutto ciò è possibile grazie all'uso delle chiacchiere, la nuova droga che il nuovo Vecchio della Montagna distribuisce, quasi sempre impunito, all'opinione pubblica, quindi ai cittadini, specie a quelli che sono stati suoi elettori e a quelli che per disposizione caratteriale sono proclivi alla sudditanza.

Aspettiamo la scadenza del mandato elettorale? È una soluzione, che richiede però, per funzionare, l'impegno di coloro, che non hanno la disposizione caratteriale alla sudditanza, a iniettare l'antidoto per eccellenza contro la droga delle chiacchiere: la critica. Un impegno duro, certamente, ma nei secoli dimostratosi l'unico in grado di rendere efficiente la democrazia e di difendere la libertà dei cittadini. Non per nulla il primo divieto posto dai dittatori è stato sempre quello di vietare le libera espressione delle opinioni e delle critiche.

Per verificare quanto questa situazione è vicina a noi, non occorre fare gran fatica. Si pensi alle numerose querele dell'Amministrazione contro chi esprime critiche o al sarcasmo con cui si pensa di demolirne le ragioni o, infine, alle accuse rivolte non agli argomenti, ma agli argomentatori. Argomentatori, che il nuovo Vecchio della Montagna si rifiuta d'incontrare alla radio o alle sue conferenze, preferendo i suoi spettacolari soliloqui, che si riducono a veri e propri discorsi da imbonitori. Questo era, nel vecchio Regolamento di Polizia, ciò che il suo articolo 113 vietava.

Lo vietava e lo puniva, perché esso era una vera forma di assassinio della libertà, della democrazia e della dignità umana. Dobbiamo ancora lasciare impuniti tali assassinii?