Palme d'Italia, la resa al punteruolo rosso

ritratto di Gianfranco D Anna

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Forse dovremmo fare come gli Iatmul, gli aborigeni della Papua Nuova Guinea, che il punteruolo rosso se lo mangiano arrosto. Pare che sappia di pancetta affumicata. Qui, nell’Occidente, le fauci le spalanca lui, divorando le palme a velocità supersonica e con ritmi di riproduzione che fanno impallidire i conigli. La pianta, in tre-quattro mesi, è silenziosamente spacciata. E loro, i coleotteri arrivati dai Tropici, passati in Medio Oriente e da lì in Italia attraverso l’Egitto, da una coppia producono 5 milioni di individui in sole cinque generazioni. Numeri da pestilenza, da ecatombe, da apocalisse.

Quasi 30mila piante abbattute in Italia, più del doppio malate, centinaia di migliaia a rischio, con la possibilità di estinzione della specie «canariensis», la vittima prediletta. Il ministero delle Politiche agricole ha appena emanato un decreto di lotta obbligatoria che fissa paletti per lo smaltimento e i controlli, ma che di fatto certifica la resa. Per due ragioni. Primo, perché nei territori in cui l’infestazione sia apparsa da più di tre anni il punteruolo viene considerato endemico, e non si muove più un dito per arginarlo. E in questa situazione si trova tutta la Sicilia ( ndr - Cefalù si trova nelle Aree Cuscinetto - vedi mappa della Sicilia allegata all’articolo “Un Piano per fermare il punteruolo rosso”- http://www.qualecefalu.it/lac/node/3746), ampie fette di Campania, Calabria, Lazio, Liguria, Abruzzo, Molise. Secondo: perché non c’è un euro a disposizione per l’abbattimento e la triturazione delle piante malate, che lasciate a morire sono più pericolose del cadavere di un appestato.

Tutto è lasciato alla responsabilità di Regioni e Comuni, che gridano alla luna per essere stati lasciati soli. O, nel caso di appezzamenti e condomini privati, alla buona volontà dei proprietari, costretti a sborsare da 1.300 a 1.500 euro per sbarazzarsi delle carcasse. Così il decreto ha l’aspetto di una bandiera bianca. Mentre nel Paese si moltiplicano convegni scientifici, proteste degli amministratori locali, comitati spontanei, requiem su esemplari storici.

A Roma è condannata a morte una delle cinque piante di piazza di Spagna, venti sono state tagliate a Villa Celimontana, 39 sono i monconi in via della Musica all’Eur. Chiome agonizzanti anche a Colle Oppio, a Villa Torlonia, al Testaccio, a Centocelle, a Montesacro, non più una palma al Pigneto né a Ostia. Sul sito del Servizio sanitario nazionale la stima dei territori «di contenimento» (ormai considerati perduti e ceduti al nemico) dà i brividi di un bollettino di guerra.

In Sicilia, dove nel 2005 è partita l’epidemia che è poi risalita lungo lo Stivale con il parassita volante, i numeri sono da strage: 14 mila palme abbattute, il litorale di Mondello sfregiato, scomparsi a Palermo i monumenti verdi davanti a Palazzo dei Normanni e al teatro Politeama. E non c’è angolo dove le ex regine dello skyline non rivelino chiome secche e schiacciate, sintomo della malattia irreversibile. A Lampedusa le 500 palme sono diventate poche decine, a Pantelleria Giorgio Armani ha assoldato un esercito di giardinieri per salvare le sue.

Già, perché il coleottero è un killer spietato, e i suoi delitti sono perfetti: si intrufola nella palma attraverso un taglio, ne succhia la linfa e si rinserra nel tronco dove si dà un gran da fare per riprodursi. Trecento uova a botta, che si trasformano in tre giorni in larve capaci di scavare tunnel micidiali. Dopo neanche un mese sono adulti. Quando la palma manifesta di essere in difficoltà, quasi sempre è già spacciata. Palermo, con l’équipe di ricerca guidata dall’entomologo dell’Università Stefano Colazza, è diventata centro di studio di eccellenza nel Mediterraneo e ha registrato l’ultimo degli allarmi: satollo di canariensis, il punteruolo sta imparando ad apprezzare anche le altre specie finora immuni. Tutto si è provato per combatterlo: endoterapia con l’iniezione di farmaci, prodotti chimici, introduzione di vermi ghiotti di larve, immissione di microrganismi (i nematodi) che sono parassiti del parassita. Perfino sexy-trappole a base di feromoni per attrarre le femmine. Ma ci sono cascate in poche, preferendo più intime attenzioni nelle palme-alcova. Il punteruolo cresce, si moltiplica e inghiotte una bella fetta di paesaggio italiano.

Fonte: www3.lastampa.it/ - 29/03/2011 - Articolo di Laura Anello

ritratto di Saro Di Paola

GRAZIE,

Gianfranco per i contributi che, sinora, hai dato sulla questione PUNTERUOLO-PALME e per il "bentornato" che mi hai rivolto.

Da cittadini,"in tanto abbiamo il diritto di chiedere alla Città, in quanto, alla Città, abbiamo il dovere di dare".
Quel che possiamo.
Ovviamente.