Ho scoperto di essere "anche" liberista.....

ritratto di Leonardo Mento

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La solitudine di un liberista
Da Il Sole 24 ore
di Roberto Perotti 20 maggio 2011
Docente Ordinario Dipartimento di Economia Bocconi
Sono tempi duri per i liberisti. Niente illustra meglio il loro dilemma di ciò che sta avvenendo a Milano, dove sono costretti a scegliere fra uno schieramento storicamente agli antipodi della cultura liberista e un altro che occasionalmente vi si richiama ma nei fatti dimostra di esservi ugualmente estraneo.
Per un liberista è impensabile negare a qualcuno il diritto di praticare la propria religione in modo dignitoso; come tutti, un liberista ha a cuore l'ordine pubblico, ma non lo userebbe mai come scusa per sopprimere le legittime manifestazioni della libertà individuale.
Un liberista crede nella concorrenza, anche delle idee e delle culture; per questo non potrebbe mai allearsi con chi quotidianamente insulta e minaccia stranieri e diversi.
Un liberista crede nella libertà di scelta delle famiglie, ma non ha bisogno di denigrare indiscriminatamente la scuola pubblica.

Piuttosto, cerca di correggerne le tante storture con misure credibili e attuabili, invece di lanciarsi ogni due anni in improbabili riforme epocali, spesso ispirate da zeloti ideologizzati che pretendono d'insegnare due lingue a bambini di undici anni, mentre la scuola è nel caos perché il ministero si dimentica di emettere delle semplici circolari applicative e la ministra preferisce andare agli show televisivi per inneggiare al suo capo di Governo.
Per un liberista essere imprenditore significa chinare la testa e cercare di produrre e innovare: il vero imprenditore ha meglio da fare che cercare favori, sussidi, e soldi pubblici. Un liberista ha quindi poco da spartire con quegli individui, metà politici e metà imprenditori, che ronzano come api intorno alle aziende municipalizzate, alle fondazioni bancarie, alle grandi opere e a ogni occasione per fare qualche colata di cemento o organizzare qualche evento inutile, anche quando si potrebbe fare molto di più per i cittadini con molto meno.
Un liberista è spesso un personaggio grigio e prevedibile, soprattutto quando si tratta di amministrare la cosa pubblica. È molto sospettoso dei voli pindarici e delle "grandi visioni"; sa che spesso sono solo lo strumento per nascondere la mancanza di idee o di competenze per risolvere i problemi dei cittadini. Un liberista crede in un lavoro di sana, grigia ordinaria amministrazione che cerca di risolvere i problemi di tutti i giorni, anche se sono politicamente poco visibili.
Un liberista sa che le nostre città non hanno bisogno di Expo, che scatenano un esercito di parassiti, se non di delinquenti, e distolgono per anni soldi ed energie da un molto più oscuro ma più importante lavoro di risanamento dei quartieri esistenti, che riempia i buchi delle strade, tolga i graffiti dai muri e la spazzatura dalle strade, e faccia funzionare scuole e ospedali. Non hanno bisogno di Gran premi di Formula 1 o di Olimpiadi, ma di aprire e gestire le piscine perché i giovani possano praticare lo sport. Non hanno bisogno di convegni inutili, di kermesse pseudo-culturali, di nuovi musei su argomenti sempre più improbabili, ma di far funzionare i musei che già esistono e che spesso sono un imbarazzo per il nostro Paese.
Per questo un liberista è stanco di una classe dirigente che sembra ispirata a un senso di affarismo ossessivo, nel migliore dei casi ingenuo e infantile, nel peggiore interessato e indifferente al bene pubblico. Una classe dirigente per cui sembra non esistere problema che non possa essere risolto con il cemento, con qualche annuncio a effetto, con qualche privatizzazione di facciata, con qualche grande evento, o con qualche cordata d'imprenditori ben connessi.
A causa di questa infatuazione infantile per il cemento e per gli affari come panacea di ogni male, chi ci rappresenta all'estero si è trovato a lodare pubblicamente un dittatore perché ha avuto la fortuna, negata ai poveri governanti italiani, di poter costruire in pochi anni senza intralci un'intera città - con che risultati estetici e a che prezzo per i suoi sfortunati sudditi non sappiamo, e non interessa. O si è trovato a baciare la mano di un altro dittatore che ci prometteva di salvare una banca nostrana e di riservarci due commesse nel deserto.
Un liberista crede profondamente nella competenza individuale. Per questo è incredulo che ci si riempia la bocca di ricerca, scienza e tecnologia ma per motivi ideologici si possa nominare alla vice-presidenza del Consiglio nazionale delle ricerche una persona che da anni propaganda tesi che appaiono insensate ed offensive verso intere categorie di persone e la cui designazione perfino Cesare Lombroso, patrono della pseudo-scienza e dell'oscurantismo, troverebbe discutibile. Per questo un liberista non si sente rappresentato da chi, invece che promuovere l'immagine del Paese nei consessi internazionali con proposte costruttive e competenti, lo scredita raccontando barzellette osé e facendo battute sul colore della pelle degli altri governanti, ed è troppo preso da altre faccende per rendersi conto che, a torto o a ragione, nel XXI secolo questo non si può fare.

ritratto di Giusi Farinella

Liberisti immaginari

Liberisti immaginari

Scritto da Davide Giacalone

Per i liberisti l’Italia non è mai stato un Paese facile e accogliente.
Piuttosto propenso al corporativismo, all’assistenzialismo e al “sociale” (che non si sa cosa voglia dire, ma punta dritto al portafoglio). Le cose si complicano ulteriormente, però, se anche Roberto Perotti si mette a far confusione, al solo scopo di attirare un applauso facile.

Con un accorato articolo, pubblicato sulla prima pagina del confindustriale Sole 24 Ore (neanche il capitalismo italiano è un gran esempio di liberismo, semmai protezionista e scroccone), il professore lamenta il dramma del liberista meneghino, costretto a scegliere “fra uno schieramento storicamente agli antipodi della cultura liberista e un altro che occasionalmente vi si richiama ma nei fatti dimostra di esservi ugualmente estraneo”.
Il primo sarebbe quello di Giuliano Pisapia, il secondo quello di Letizia Moratti.
O, in generale, questa sinistra e questa destra.
Non è un gran godere, ne convengo, ma il dilemma è posto in modo irrazionale, giacché solo i fondamentalisti scelgono fra il bene e il male, laddove le persone ragionevoli s’acconciano a orientarsi fra il meglio e il peggio.
E anche a seguir Perotti, mi pare ci sia poco da tentennare.
Più oltre le cose peggiorano, anche perché Perotti, scartati gli “antipodi”, quindi questa sinistra (ingeneroso, qui difesi il bersanismo liberalizzatore, in terra d’infedeli), si scaglia contro la destra facendo una maledetta confusione fra “liberismo” (che ha a che vedere con le libertà economiche) e il “liberalismo” (che ha a che vedere con le libertà politiche e culturali).
Non contento di aver sbeffeggiato le distinzioni crociane, procede confondendo liberalismo, laicità e tolleranza.
Un bel frullato, insomma.

“Un liberista crede nella concorrenza, anche delle idee e delle culture; per questo non potrebbe mai allearsi con chi quotidianamente insulta e minaccia stranieri e diversi”.
Ma, insomma, la concorrenza di mercato, la laicità dello Stato e la tolleranza religiosa non sono assimilabili e confondibili.
Più che un liberista quello è uno che ha una discreta insalata in testa.
In ogni caso, suppongo che i nemici siano quanti, ad esempio i leghisti, si scagliano contro l’immigrazione.
Solo che un economista, qual è Perotti, dovrebbe essere aduso all’osservazione della realtà, non delle fanfaluche, e dovrebbe essersi accorto che, in Italia, non ci sono né persecuzioni né cacciate di massa.
Semmai il contrario: non si riesce a cacciare nessuno.
E avrà notato che, da qualche tempo, il ministro degli interni è leghista, impegnatosi, da ultimo, a sostenere che i profughi vanno accolti.
Come dice il diritto internazionale. Fare confusione fra immigrati e clandestini è un modo per solleticare il razzismo, che in Italia è presente meno che in altri Paesi europei, ma che rimane un odioso ripiegarsi nelle paure.
Voler far prevalere la propaganda dozzinale sul concreto esercizio politico e governativo va bene per un comizietto vernacolare, ma sfigura sulla penna di un esimio cattedratico.

Se la prende con chi denigra la scuola pubblica.
Sarebbe come sostenere che lui, il professor Perotti, con il suo libro “L’università truccata”, ha voluto denigrare i nostri atenei e la nostra accademia.
Invece è un bel libro, che ha pari dignità culturale di quanti denunciano le carenze culturali e le omologazioni luogocomuniste della nostra scuola pubblica.
Perché lui può dirlo e altri no?
I nostri studenti figurano in coda ai risultati dei test Pisa.
Il ministro dell’istruzione ha fatto una battaglia per imporre i test Invalsi, in modo da potere valutare e comparare, aprendo la strada alla meritocrazia, anche per le cattedre.
Troppo poco? Condivido.
Si può fare meglio e di più? Sempre.
Ma se Perotti s’unisce alle lamentazioni corporative non porta il suo contributo alla promozione delle scuole pubbliche, ma alla conservazione della loro costosa e umiliante inefficienza.

Un vero imprenditore liberista, scrive il professore, si dedica al mercato e non passa la giornata ad inciuciarsi i politici per avere finanziamenti.
Giustissimo: più certezza del diritto, più libertà nel mercato del lavoro e dei capitali, più facilità d’intrapresa, meno tasse, meno finanziamenti, meno vincoli. Accidenti se è così!
Si rivolga al collega che insegna storia economica e si faccia spiegare perché questi benedetti spiriti animali sono stati ingabbiati.
Poi dia un occhio alla spesa pubblica, che supera la metà del pil.
Il nostro è un mercato per metà statalista.
Se provi a intaccarlo ti si scatenano contro i sindacati operai e imprenditoriali, ti danno non del “liberista” (che manco ne conoscono il significato), ma del criminale. Così come considerano criminale chi sfugge alla regola e diventa ricco nel mercato. Uno sforzino è coglie al volo di che e chi sto parlando.
Ma non lo nomino, altrimenti al liberista affaticato vengono le palpitazioni.

Perché, poi, un liberista dovrebbe essere contrario all’Expo? Questo è masochismo.
Il farlo a Milano è stato un grande successo.
Si tratta di non trasformarlo in un immondo decesso.
Ma farlo è bene, porta quattrini, offre una vetrina alle imprese ed è un’occasione per la città.
Professore, infine, ci spiega perché “un liberista è spesso un personaggio grigio e prevedibile”? da noi è un rivoluzionario, uno che crede il singolo abbia capacità superiori alla collettività, che punta sulla qualità delle idee anziché sulla quantità degli interessi.
Ce ne vorrebbero tanti e ce ne sono pochi.
Alcuni, che credono d’esserlo, sono anche in stato confusionale.

ritratto di Leonardo Mento

"Alcuni, che credono d'esserlo, sono in stato confusionale"...

ma anche: alcuni che credono di non esserlo potrebbero essere in stato confusionale o non in buona fede. Ma questo poco importa, tutte le posizioni, non condizionati da interessi privati, vanno rispettate. Dopo aver letto l'articolo del prof. Perotti gli ho inviato la seguente e-mail.

Gentile Professore,
La ringrazio per il suo articolo "La solitudine di un liberista" pubblicato oggi su "Il Sole 24 ore". Ho scoperto di essere " anche" liberista ed anche in buona compagnia. Nondimeno il liberista a cui Lei fa riferimento credo siano tutte le persone "perbene" che "si comportano onestamente, rispettando le leggi e la morale comune". Cordialmente Leonardo Mento

Sono sicuro che liberista o non liberista una persona "perbene", a prescindere dalla collocazione politica, è colui che si comporta onestamente, rispettando le leggi e la morale comune.

E' stata mia cura conoscere meglio i due articolisti Perotti e Giacolone, attraverso la loro breve biografia che ho trovato su Wikipedia, per escludere eventuali interessi privati o di parte:

Roberto Perotti (Roma, 7 aprile 1961) è un economista italiano, professore ordinario di Economia Politica presso l'Università Bocconi di Milano.

Dopo essersi laureato in discipline economiche e sociali presso l'Università Bocconi, nel settembre 1987 con una tesi su "Teoria dei giochi e debito pubblico", ha conseguito un dottorato di ricerca in economia presso l'Mit (Massachusetts Institute of Technology) negli USA nel maggio 1991, avendo come relatori Rudi Dornbusch, Olivier Blanchard ed Alberto Alesina.

Successivamente ha conseguito un post-dottorato alla Harvard e ha svolto attività di ricerca presso le università di Tel Aviv (Israele) e Columbia (New York City, USA). Ha lavorato anche come consulente per diverse organizzazioni internazionali quali la Inter-American Development Bank, la Banca Centrale Europea, la Banca d'Italia e la World Bank. É successivamente tornato in Italia per insegnare prima a Firenze, presso lo European University Institute e successivamente all'Università Bocconi di Milano.

Alla Bocconi, dal novembre 2006 al novembre 2008 è stato direttore del centro di ricerca IGIER.

Nel 2008 ha pubblicato per Einaudi il libro "L'università truccata", volume che mette luce sul degrado del sistema accademico italiano.

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Davide Giacalone Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Davide Giacalone (Livorno, 24 maggio 1959) è un politico, giornalista e scrittore italiano.

Biografia Nato da una famiglia marsalese, dal 1979 ha collaborato con Vincenzo Muccioli insieme al quale scrive, anni dopo, La mia battaglia contro la droga, l'emarginazione e l'egoismo Dal 1980 al 1986 è stato segretario nazionale della Federazione Giovanile Repubblicana e dirigente del PRI, dal 1981 al 1982 è stato Capo della Segreteria del Presidente del Consiglio dei ministri, Giovanni Spadolini. Dal 1987 al 1991 è stato consigliere del Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni Oscar Mammì.

È stato consigliere d’amministrazione e membro del comitato esecutivo delle società Sip, Italcable e Telespazio.

Coinvolto in Tangentopoli con l'accusa di avere smistato tangenti per il Partito Repubblicano Italiano,[1] fu arrestato e confessò di avere ricevuto denaro da Giuseppe Parrella, direttore dell'azienda di Stato per i servizi telefonici, e di averle consegnate a Giorgio Medri, chiamando in causa anche Oscar Mammì e Giorgio La Malfa.[2] Nel 2001 fu prosciolto per prescrizione.[3]. E' stato consulente della Fininvest.

Pubblicista dal 1985, è direttore de La Ragione e di Smoking, ed editorialista de L'Opinione. Attualmente è una delle firme di Libero e collabora con l'emittente radiofonica nazionale RTL 102.5 dove ogni mattina, da lunedì a sabato, alle 7:10 circa durante la rassegna stampa contenuta nel programma Non stop news, commenta una notizia apparsa sulle prime pagine dei quotidiani nazionali. Da questa esperienza è nato il libro Diario Civile, edito nel 2005. Scrive inoltre articoli pubblicati sul suo sito www.davidegiacalone.it.

Nel gennaio 2010 il consiglio dei ministri lo nomina presidente di DigitPA, nuova denominazione del "Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione"

ritratto di Leonardo Mento

Ma soprattutto....

persone per bene.....

ritratto di Giuseppe Fajlla

liberisti...

Allora abbiamo:liberisti immaginari,liberisti in stato confusionale e liberisti... con la coda di paglia

ritratto di Leonardo Mento

Riconfermo.....

l'importante è che siano persone "perbene"; forse la coda di paglia l'hanno i sostenitori dei Sedara......

ritratto di Giuseppe Fajlla

Le devo una precisazione

Gentile Signor Mento,non c'è alcun dubbio che i Sedara, inserendosi tra le maglie del potere per badare ai fatti propri, purtroppo abbiano fatto buona parte della storia d'Italia a partire dall'aborto della guerra per L'Unità.
Il mio breve commento era riferito ai due articoli giornalistici pubblicati da lei e dal signor Farinella in cui un economista, che sicuramente non proviene dai centri sociali, cerca di suggerire a chi si ritiene un liberista che, forse, il sistema italiano ha qualche lacuna. Infatti molti imprenditori si sono crogiolati nelle garanzie, annullando il tanto decantato "rischio d'impresa" e ponendosi sotto l'ombrello protettivo del governo. Certo approfittando di finanziamenti, riconversioni,leggi sull'imprenditoria giovanile per i loro figli, allargamenti delle attività riservate a chi di amici potenti non manca. Poi urlano contro i lavoratori "garantiti" (ormai delle sole mutande che portano addosso) e i pensionati che hanno maturato in una intera vita di lavoro qualche diritto!
I Pensieri del giornalista da lei citato indicano un liberista onesto in cui, giustamente, anche lei si è riconosciuto e lo potrebbero tante persone per bene, come lei ha rimarcato.
La"coda di paglia" è del Giacalone (per quanto l'articolo è chiaro e chiarificatore) e di quanti, cortigiani, predicano il liberismo e razzolano nella complicità evasoriale e nella disonestà.
Mi permetto di citare anche io una strofa di Guccini, per concludere..."coraggio liberisti buttate giù le carte tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese in questo benedetto assurdo bel Paese".
cordiali saluti.

ritratto di Leonardo Mento

Anchio le debbo una precisazione....

Caro sig. Fajlla,normalmente quando non mi rivolgo direttamente alla persona che ha postato l'articolo, è per lasciare ed allargare alla riflessione di chi ci legge, ogni eventuale commento o manifestare la propria posizione. Non mi sembra che le Sue e le mie posizioni divergano e pertanto non lasciamo che siano i Sedara a prevalere. Certo il rapporto ISTAT presentato ieri, non lascia molto da sperare ma questo è un paese che è sempre riuscito con il famoso "stellone" , ha superare le crisi che si sono succedute; certo a pagare sono stati i "soliti noti"; c'è chi dal 94 ad oggi ha triplicato il proprio patrimonio e chi ..........Con simpatia Leonardo Mento

ritratto di Giusi Farinella

il liberista selvaggio .... Fini

La proposta futurista contiene anche spunti interessanti e di enorme impatto liberista
Si va dal rilancio del patto generazionale, che implica un innalzamento dell'età pensionabile, all'abolizione dell'esame di abilitazione per l'esercizio delle professioni, all'abolizione dei minimi tariffari professionali.

Quello che colpisce è la assoluta sproporzione tra la portata dirompente delle proposte futuriste e l'esiguità della forza politica di Fini, che per sopravvivere è costretto ad inseguire alleanza tattiche o addirittura strategiche con chiunque e con qualunque contenuto.

E allora ve lo immaginate uno scenario nel quale, abbattuto Berlusconi, durante le trattative per la formazione di un governo di salute pubblica il Presidente Fini porta sul tavolo (con PD, IDV, UDC, SEL, e parti sociali, Cgil in testa) la proposta di abolire l'articolo 18, innalzare l'età pensionabile, liberalizzare le professioni?

ritratto di Leonardo Mento

E perchè no!............

IO SONO SEMPRE PER LA RIDUZIONE DEL DANNO OVVERO: non applicare l'articolo 18 ai nuovi assunti e a tutti quelli che oggi hanno un trattamento contrattuale da precario e che ricevono una retribuzione da precari in tutte le loro forme, a CONDIZIONE di riconoscere le retribuzioni previste dal contratto collettivo di lavoro di categoria, riconoscendo inoltre anche forme di garanzia/tutela ovvero la possibilità nel tempo, di avere un rapporto stabile in caso contrario, riconoscere una maggiore retribuzione. Francamente le divisioni sindacali non aiutano. Innalzare l'età pensionabile riconoscendo una "pensione" maggiore di quella che oggi è prevista dando la possibilità a chi vuole andare via prima, un decurtamento X della pensione spettante. Liberalizzare le professioni. In Italia sono state applicate le varie forme di precariato senza adeguare il sociale e non solo, alle nuove realtà, ciò ha creato una contrazione nei consumi interni, vorrei ricordare che mio figlio da precario, ha dovuto richiede la mia garanzia per aprire un conto in banca o accedere al credito. La Germania ed altri paesi, che non prevedono il precariato come da noi (un precario, in quanto tale, viene retribuito meglio di un lavorate con contratto a tempo indeterminato), non hanno risentito come da noi della crisi economica, i consumi interni hanno tenuto. Sono sempre stato a favore di chi crea lavoro purchè vi sia un rapporto di reciproco vantaggio/utilità, sia da parte del datore di lavoro che del lavoratore.