Trame mediterranee e restauro dei tessuti antichi

Ritratto di Rosalba Gallà

23 Aprile 2014, 19:53 - Rosalba Gallà   [suoi interventi e commenti]

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TRAME MEDITERRANEE E RESTAURO DEI TESSUTI ANTICHI
di Rosalba Gallà

 

Sabato 12 aprile, alle ore 18,00, nel Museo Civico di Castelbuono - Castello comunale dei Ventimiglia, è stata inaugurata la mostra “Trame mediterranee – Costumi e gioielli dalla Fondazione Orestiadi”. Come ha scritto nel pieghevole di presentazione il Direttore del Museo delle Trame Mediterranee – Fondazione Orestiadi di Gibellina, Arch. Enzo Fiammetta, presente al momento inaugurale, “il progetto espositivo è l’approdo di anni di ricerche, incontri, dibattiti, studi e seminari promossi dal nostro Istituto, ma è tuttora un’idea guida, un’idea limite, la cui forza risiede nel suo carattere processuale, interdisciplinare, transnazionale.
Il museo ricerca nei manufatti una possibile radice comune nella produzione artistica dei popoli mediterranei, attraverso le comparazioni e il raffronto delle forme, delle tecniche e delle decorazioni.
Analizzare gli elementi comuni, più che le differenze, in un momento storico in cui sembra che l’Occidente intenda chiudersi all’apporto delle culture mediorientali o nordafricane, è un nostro modesto contributo alla loro comprensione.
L’attuale situazione dà alla nostra terra un nuovo ruolo di centralità politica e culturale, ruolo che la Sicilia ha sempre avuto e ne ha fatto luogo di accoglienza e tolleranza.
‘Trame mediterranee’ vuole riflettere sulla possibilità di una pacifica e fruttuosa convivenza tra popoli differenti, che hanno radici culturali comuni e per lunghi periodi condivise. Segni e forme ancora oggi sono identificabili nei costumi e nei gioielli in mostra oggi a Castelbuono […]
In questo difficile momento per le istituzioni culturali in Italia, in Sicilia e per la Fondazione Orestiadi, abbiamo accolto l’invito del Museo di Castelbuono ad essere presenti in questo luogo significativo della nostra storia, consapevoli che la cultura, la comprensione di essa ed i luoghi dove vengono coltivate queste istanze, come la scuola, i centri culturali, i teatri, debbano avere una loro centralità nelle politiche sociali ed economiche, ancor più in periodo di crisi. Gibellina è risorta dal terremoto attraverso l’arte. Noi non possiamo che essere portatori di questa idea”.

Mediterraneo, luogo elettivo di incontri, luogo di diffusione di conoscenze sin dall’antichità, crocevia di scambi materiali e culturali, culla delle civiltà tra le più antiche del mondo, dove le differenze sono state spesso fonte di ricchezza, altre volte di scontri, diffidenze e separazioni. Sicilia, terra collocata al centro del Mediterraneo, luogo di arrivo e di sbarco da secoli, amata da popoli stranieri che l’hanno desiderata e posseduta, poi perduta e nostalgicamente rivissuta. Terra del mito, ma anche terra del dolore, terra dell’accoglienza e dell’incontro, ma anche della separazione e dell’estraneità. Sicilia, sintesi delle civiltà delle sponde del Mediterraneo, sintesi delle loro manifestazioni artistiche, dalle più plastiche alle più immateriali, dalle architetture alle espressioni musicali e alla poesia, dalla tessitura al ricamo.

E la tessitura e il ricamo diventano metafora della vita stessa, perché i fili che si intrecciano rappresentano le relazioni umane e gli incroci esistenziali, sempre diversi, sempre nuovi, talvolta imprevedibili, come i ricami dei tessuti. Ed è ‘tessuto’ l’intreccio degli incontri dei popoli all’interno del Mediterraneo, tessuto difficile da comporre, dove trama e ordito spesso si impigliano negli egoismi e nelle chiusure, nelle diffidenze e nelle paure, ma solo quando riusciranno a dipanarsi davvero, potranno comporsi in un disegno armonioso e denso di storia.

Affascinante l’atmosfera che si respira all’interno di quelle che furono le scuderie del Castello dei Ventimiglia di Castelbuono, dove gli abiti e i gioielli palpitano della vita di tutte le sponde del Mediterraneo.

 

Come hanno scritto il Presidente e il Direttore del Museo Civico di Castelbuono, rispettivamente la Prof.ssa Mariella Bonomo e la Dott.ssa Francesca Cicero, presenti all’inaugurazione, “è un onore per il Museo Civico di Castelbuono ospitare la mostra sulle Trame mediterranee della prestigiosa Fondazione Orestiadi di Gibellina. L’intento delle due istituzioni è quello di collaborare ad iniziative culturali comuni, al fine di far emergere l’importante patrimonio custodito da entrambe, per valorizzare la storia e la tradizione della migliore Sicilia.
Castelbuono con questa mostra, ed il Museo Civico in particolare, divengono centro vitale della preziosa collezione di abiti e gioielli di proprietà della Fondazione Orestiadi che nel tempo ha operato nella conservazione e nella valorizzazione della comune storia dei popoli mediterranei.
Siamo consapevoli che il ruolo delle istituzioni oggi più che mai, nella crisi di valori che stiamo attraversando, sia quello di tracciare e rinvigorire la strada della rinascita culturale della nostra Sicilia.
Questo evento è esempio della necessità della creazione di una rete tra le istituzioni culturali siciliane, per divulgare le ricchezze che abbiamo l’onore di conservare”.

Questo si legge nella Home del sito della “Fondazione Orestiadi”:

“In Sicilia, ponte dell’Europa verso l’Africa, sono viventi e visibili le tracce intatte del suo lontano passato che è comune a tutti i popoli del Mediterraneo. Le analogie tra i segni e le forme riscontrabili nel patrimonio artistico mediterraneo rivelano l’esistenza della comune matrice culturale che si è intessuta sin dalla preistoria attraverso le migrazioni delle popolazioni provenienti dal Medio Oriente, la Grecia e dall’Africa.
A Gibellina, in provincia di Trapani, in quella parte della Sicilia che si protende verso il Maghreb, la Fondazione Orestiadi esplora e ricrea tali tracce e analogie nel suo Museo delle Trame Mediterranee dove le ceramiche, i gioielli, i tessuti e i costumi mostrano i legami esistenti tra le culture dei popoli del mare”.

Arti antiche quelle della tessitura e del ricamo, che nel bacino del Mediterraneo si sono espresse, e continuano ad esprimersi, con una molteplicità di tecniche e con una complessa simbologia decorativa che altro non sono che la testimonianza  delle contaminazioni nate negli empori e nelle colonie, nel corso di costanti commerci e di secolari migrazioni.

In questo contesto di tradizioni millenarie, è nata una collaborazione tra il “Museo delle Trame Mediterranee” della “Fondazione Orestiadi” di Gibellina e il Liceo Artistico “Diego Bianca Amato” di Cefalù. Questa Fondazione, nel 2010, ha affidato al Liceo Artistico di Cefalù il restauro di un abito da cerimonia proveniente dalla  Tunisia, risalente al periodo compreso tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, realizzato in velluto e decorato con ricami in filati metallici: si tratta di un abito da sposa, uno di quelli indossati durante la lunga cerimonia tradizionale, dalla durata di sette giorni e sette notti.

In occasione dell’inaugurazione della mostra “Trame mediterranee” a Castelbuono, è avvenuta la riconsegna dell’abito, a restauro ultimato, alla Fondazione Orestiadi. Perché proprio a Castelbuono? Lo spiega la responsabile del progetto di restauro, prof.ssa Mimma Mazzola: “Avremmo potuto consegnare l’abito restaurato direttamente a Gibellina, ma abbiamo voluto approfittare di un evento importante, che si svolge nel territorio madonita, per dare alla consegna il risalto che merita”. Presenti alla cerimonia una rappresentanza di tutte le componenti della scuola, docenti, alunni e personale amministrativo. La dirigente, prof.ssa Giuseppina Battaglia, ha fatto giungere il suo saluto e la sua viva soddisfazione per la conclusione del progetto, perché, “sempre attento alle esigenze artistico-culturali del territorio e, in questo caso, ad un ambito che collega diverse sponde del bacino del Mediterraneo, il Liceo artistico ha messo in campo le sue risorse umane e materiali per portare a compimento l’incarico ricevuto, facendone proficua occasione di attività didattica”,  esprimendo i ringraziamenti nei confronti di tutti coloro che si sono spesi per la riuscita del progetto e in particolar modo  della Fondazione Orestiadi – Museo delle Trame Mediterranee, “per averci considerato partner adeguati per una così importante attività”.

La prof.ssa Mazzola ha lavorato al restauro dell’abito con il gruppo di progetto composto dalle proff. Salvina Pria, Hana Stepkova e Assunta Gulino e dall’assistente tecnico Maria Salamone. Si è avvalsa della generosa disponibilità della dott.ssa Roberta Civiletto, per la consulenza scientifica. Ecco uno stralcio di quanto la dott.ssa Civiletto ha scritto in riferimento all’abito oggetto del restauro:

“Tra i costumi che maggiormente esprimono la cultura decorativa e la ricca tradizione popolare tunisina c’è l’abito nuziale femminile.
L’attenzione posta sui tessuti, i capi d’abbigliamento, gli accessori e le decorazioni che impreziosiscono ogni componente del costume, rivela non soltanto l’importantissimo ruolo ricoperto dalla sposa nel lungo e articolato rito nuziale, ma, essendo spesso tali manufatti il risultato del suo abile lavoro manuale, la festa diviene l’occasione per esibire le straordinarie capacità  della giovane nell’arte del ricamo e del confezionamento sartoriale. L’antica usanza prevede che i vestiti della sposa siano molteplici e di varia foggia e che i numerosi capi vengano indossati gli uni sugli altri o l’uno dopo l’altro, durante i sette giorni delle cerimonie nuziali, e un tempo erano destinati a vestire la donna per diversi anni. Dopo le prime tappe del rito, dedicate alla purificazione e all’abbellimento della fanciulla, il cuore della cerimonia è costituito dal gesto dello svelarsi, chiamato jalua, che corrisponde al momento della presentazione della giovane allo sposo ma anche a tutte le donne invitate che così possono apprezzare il suo splendore. In alcune città della Tunisia la ragazza indossa anche sette tuniche, poi tolte una alla volta, per farle ammirare agli invitati durante la festa che si svolge prima della sua partenza dalla casa paterna. La sposa attende lo sposo nel cortile dell’abitazione paterna, seduta su un alto seggio, proprio come una regina, vestita con il costume del matrimonio – in alcuni casi si tratta dell’ultima tunica rimasta dopo lo svelamento, che coincide con la veste più bella - truccata e ricoperta di monili, con l’hennè rossa sulle mani, solitamente protette da guanti riccamente ornati con filati metallici. Ripetutamente copre e scopre il viso con le mani tatuate, come gesto simbolico di addio verso la casa paterna e verso la sua giovinezza (AA.VV. Les costumes traddizionels feminins de tunisie, Tunisi, Maison Tunisienne de l’Edition,1988;   AA.VV. Noces tissées. Noces brodées, parures et costumes féminins de Tunisie. Tunisi, Editions Joel Cuénot, 1995). […] L’abito oggetto dell’intervento di restauro [è] una raro esemplare di jebba, in forma di caftano, databile tra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo, proveniente da Amamet. Il sontuoso capo vestimentario viene indossato nel 7° giorno di matrimonio - talvolta chiamato anche “giorno della cintura” - che coincide con la terza tappa della cerimonia nuziale, dopo la quale la giovane sposa sarà integrata nella famiglia, e mostra il fasto e la ricchezza di questa precisa fase del rito. La lunga veste, priva di colletto, aperta sul davanti e dotata di larghe maniche a tre quarti con orlo sagomato, è realizzata in velluto di seta unito, tagliato, a un corpo, di colore viola. Lungo tutto il perimetro compare un largo gallone a telaio di seta gialla e oro lamellare, con motivi floreali, nastro sinuoso e mano di Fatma, mentre il bordo delle maniche è listato da un spessa passamaneria in forma di treccia cordonata e in corrispondenza dell’apertura vi sono dodici alamari dorati. Un arioso ricamo in cordonetto dorato si sviluppa sulle mostre anteriori, sulle maniche e sul dorso, disegnando, a punto steso, grandi composizioni simmetriche e speculari, dove compaiono tralci sinuosi e girali vegetali da cui originano trifogli ed infiorescenze, fra i quali si dispongono  pesci,  pavoncelli, elementi a pigna e il tema della mano di Fatma”.

Per quel che riguarda lo stato di conservazione, la prof.ssa Mazzola scrive: “l’abito mostrava in generale uno stato di conservazione mediocre caratterizzato da diverse tipologie di degrado. La sua originaria morfologia appariva leggermente alterata dalla presenza di  sgualciture e pieghe nette, soprattutto nella zona delle spalle. Uno spesso strato di polvere rendeva grigia e opaca l’intera superficie tessile contribuendo ad inaridire le fibre del velluto, che al tatto apparivano secche e rigide. Il vello del velluto si presentava, inoltre,  appiattito e diradato in varie zone, soprattutto quelle in corrispondenza delle spalle, delle ascelle e nelle cuciture di confezionamento, dove comparivano piccole lisature dell’armatura di fondo in raso di seta nero. Un diffuso fenomeno di ossidazione interessava i filati metallici del largo gallone e dei filati del ricamo. Questi, in alcune aree, apparivano parzialmente staccati dalla base, indeboliti e in parte mancanti. Prima di effettuare l’intervento di restauro sono stati eseguiti test e campionature per valutare il livello di degrado delle fibre naturali, al fine di stabilire un quadro più preciso delle problematiche relative ai procedimenti di pulitura compatibili con il manufatto e sufficientemente efficaci a rimuovere lo sporco non combinato chimicamente”. Si è passati così alla fase vera e propria di restauro.

 

 

Mi sembra doveroso ricordare il gruppo di allievi che hanno partecipato al lavoro di restauro: Roberta Argento, Rosa Barranco, Marta Biondo, Concetta Citati, Denise Colombo, Maria Teresa D’Amico, Jessica D’Avola, Vanessa Lazzazzara, Francesca Oddo, Laura Panzica, Giovanni Palmeri, Noemi Valenziano, Xu Yan Yan, Concetta Messina, Federica Culotta.

La mostra (all’interno della quale è esposto l’abito restaurato) è visitabile fino al 17 maggio 2014.

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Intervento correlato:

Restaurato un abito da cerimonia tunisino dal Liceo Artistico di Cefalù - Rosalba Gallà - 10 aprile 2014 (http://www.qualecefalu.it/node/10396)

Commenti

Iniziativa ricca di molte valenze culturali e politiche.

Apparentemente "una piccola cosa" ma "grande" nella consapevolezza del ruolo della nostra Sicilia nel Mediterraneo in cui si immerge.

Un altro momenro che ci rende orgogliosi del nostro Liceo Artistico "D. Bianca Amato"

Se anche noi avessimo una Sala espositiva, degna, come quella di Castelbuono!