Il Liceo “Mandralisca” di Cefalù a spasso tra gli scogli

Ritratto di Quale Cefalù

24 Dicembre 2014, 15:31 - Quale Cefalù   [suoi interventi e commenti]

Versione stampabileInvia per email

Il Liceo “Mandralisca” di Cefalù a spasso tra gli scogli. Cronaca di una lezione all’aperto.

 

Alla Scuola spetta il delicato e necessario compito di onorare e trasmettere l’eredità del passato alle nuove generazioni: delicato perché rivolto ai ragazzi la cui formazione culturale e “personale” è ancora in fieri; necessario perché la Storia possa continuare «la sua guerra illustre contro il Tempo, che seppellisce nell’oblio ciò che è trascorso» (A. Manzoni).

È in quest’ottica che è stata pensata e curata dalla prof.ssa Anna D’Arrigo, docente di Latino, Greco e Italiano presso il Liceo “Mandralisca”, una lezione all’aperto rivolta agli alunni delle classi IA e IC, una “passeggiata didattica” tra le emergenze archeologiche della scogliera che si distende tra la vecchia marina e il belvedere di Sant’Antonio.

Guida d’eccezione, nel giorno di Santa Lucia, un “giovane esploratore” di 87 anni, il dott. Rosario Ilardo, ancora vibrante di passione per la sua Città, di cui conosce bene storie antiche e recenti, autore, fra l’altro, de L’eccelsa rupe, uno studio organico, approfondito e, per molti aspetti, inedito, sulla Rocca di Cefalù, che è, al contempo, storia della Città, della Sicilia, del Mediterraneo.

    

Il percorso lungo la scogliera, che abbraccia un arco storico di oltre 2500 anni, è stato suddiviso in sette punti di osservazione. Una storia lunga alla quale ha contribuito, in modo non indifferente, la particolare morfologia di Cefalù: la sua ansa volta a Ponente, illuminata al tramonto dal caleidoscopio del caldo sole di Sicilia.

 

- I punto di osservazione: vecchia marina

Il moletto di piazza marina – come ha riferito il dott. Ilardo – fu fatto costruire dalla civica amministrazione nel 1615, per dare sicuro ricetto alle imbarcazioni dei pescatori locali. Fu trasformato, nel 1866-67, in caricatore al servizio della marineria cefaludese, molto prospera e attiva a quel tempo.

    

Dopo una rapida, ma efficace descrizione storica, architettonica, geologica e naturalistica del “monumento” simbolo di Cefalù – la Rupe – che «imprime alla Città un suggello indelebile, dandole nome e forma», è stata data lettura di alcuni passi tratti da Calembour cefalutano del prof. Antonio Franco, docente di Latino e Greco presso il Mandralisca. Così lo studente Salvatore Greco (IC):

    

«Lasciare libere le proprie sensazioni: fluttuino nel blu cangiante in arancio di un tardo giorno di settembre, si facciano calembour … è il più immediato atto d’amore di Cefalù, la cui essenza stessa è indissolubilmente legata alle forme del paesaggio, cioè alla sua collocazione geografica nel golfo fra i promontori di Kalura e Santa Lucia, alla sua intima unione con la mole maestosa e seducente della Rocca.

A quella Pietra il nucleo urbano racchiuso tra essa e il mare deve già la sua identità, il suo nome: per i navigatori fenici fu preponderante la sua natura di Kefa, “roccia”, mentre i Greci lasciarono volare la fantasia vedendo nelle caratteristiche del luogo la forma di una testa il cui corpo si adagia nel territorio; da chi osservava dal mare il profilo della Rocca nacque il nome di Kephaloidion, “aspetto di testa”, adattato in latino a Cephaloedium, in arabo a Gaflud.

Rocca e centro urbano non si possono scindere: la Mole primordiale e le mura urbiche, tante pietre, muri, strade, scale, palazzi della Città condividono un unicum geologico che, nel contesto naturale, si sostanzia delle testimonianze che, sulla Pietra e nell’urbe, documentano le loro funzioni religiose, politiche e strategiche, l’intelligente frequentazione fin dall’epoche remote, nelle diverse fasi dell’antropizzazione del territorio. […]

Su tutto sempre domina la Rocca, che dalla cima alle radici parla di storia: ‘u casteddu scruta da secoli e secoli l’orizzonte, dall’oriente, spesso nella foschia imperlato dalle isole Eolie, ai promontori d’occidente, che s’inchinano alla capitale panormita invadenza; dalle tortuose strette vie del centro alle pendici che si vanno ad ancorare alle colline risalenti verso ‘u munti’. […].

Questa è Cefalù, protesa sul mare infinito d’azzurro che la lega ai figli dispersi nel mondo, radicata alle Madonie, al loro duro “fittone terragno” (per violentare le parole di Antonio Castelli), che la fanno vera Sicilia e distillato di razze, di lingue, d’idee e morali; innalzata fino ai colori cangianti del cielo da una tanta spiritualità che l’impone a venerata sede e transito di solari e lunari pellegrinaggi.

La Rocca è Kefal, la testa di Cefalù: solo gustando la sua libertà si riscoprono, si affermano libere, pensanti, schiette la mente e l’anima dei cefalutani. E Cefalù è la città delle pietre e dell’anima, il tesoro dei cefalutani, un patrimonio dell’umanità».

(A. Franco, Calembour cefalutano, in R. Ilardo, L’eccelsa rupe, 2013).

 

- II punto di osservazione: slargo di Capo Granaio

    

In questo luogo – come appreso dalla spiegazione del dott. Ilardo – si ergeva sino al 1866, forte e austero, il bastione del Granaio o del Granaro, un’imponente architettura militare utilizzata, in basso come grande silos per la conservazione del frumento per la comunità cittadina, in alto come piattaforma per le bocche di fuoco lì installate per difendere la città dalla parte di Ponente. Venne, poi, demolito, assieme ad un tratto della cinta megalitica ad esso addossata, per la costruzione, con il materiale di risulta, di un caricatore a potenziamento dell’esistente moletto.

Viene data, quindi, lettura, dalle alunne Asia Macaione (IC) e Rosalia Serio (IA), di un’interessante pagina di storia tratta dal Saggio storico sulle origini, antichità e pregi della piacentissima città di Cefalù, (1837?), di don Rodrigo La Calce:

    

«Ai 13 di maggio il Protonotaro del Regno notificò i tre Bracci per unirsi a Parlamento … in Cefalù … il giorno 9 Luglio del detto anno […]

Il primo a venire a Cefalù fu il Duca di Giampilieri, Protonotaro de Regno per disporre il luogo dell’Adunanza e delle Sessioni e quanto altro era conveniente, e l’abitazione del Viceré, l’allogiamento della Truppa e quello pe’ Parlamentarj. […].

Al 3 Luglio comparvero due legni da guerra che si avvicinarono a questa rada, i quali, colle loro salve, annunciarono l’alto Personaggio che portavano, cui corrisposero i bastioni della Città, e il Castello.

Preparato era un gran ponte dalla riva all’antica Porta di Mare, adornato di velluto e di festoni; la truppa si distese in due ali nella strada della Corte; il Magistrato col Capitano e i giudici, si portarono alla marina, ove accorsero anche i Regi Ministri e Baroni ed Ecclesiastici. Verso le ore 22 discese il Viceré fra le salve de’ Reali Legni e de Forti della Città. Disbarcato, fu al piè del ponte accolto da questo Magistrato, dal Protonotaro e da’ Parlamentarj; quindi, marciando la Milizia Urbana colla Maestranza in armi, che aveva peso posto alla punta del ponte, s’incamminò il Viceré fra il Magistrato e il Capitano della Città, seguito dal nobile corteggio, e così, passando per la strada della corte in mezzo della truppa, che lo salutò nelle forme e, riunitasi, defilò appresso, al suono della banda, arrivò al preparato Palagio dove accomiatò tutti i funzionari.

Foltissimo era il popolo e grande il numero de’ forestieri venuti per la occasione, che ingombravano la Marina e la strada percorsa; pieni ne erano i balconi e i tetti, e in un giorno così festivo l’aria intronava d’allegrezza. […]

Verso la sera del dimane tutti i Parlamentarj fra i quali molti di questi Patrizj ed Ecclesiastici investiti di procura, si riunirono nella gran sala del Palagio Vescovile, dove il Viceré aprì il Parlamento con eloquentissimo discorso, col quale l’invitò alla solita contribuzione de’ donativi ordinarj e straordinarj pel Sovrano, di cui espose i bisogni, e, dopo la consueta formalità, fu l’adunanza congedata.

Ai 7, poi, verso la stessa ora e così ne’ i due giorni susseguenti, si unirono i tre Bracci, presieduti come accennammo, nelle rispettive camere assegnate per le rispettive Sessioni, in questo Seminario, e, discussi gli affari proposti, nel terzo giorno tutto fu conchiuso analogamente. Si nominarono i Deputati del Regno e si proposero le Grazie da impetrarsi, le quali furono […] due: una di concedersi al Magistrato Urbano il titolo e prerogative di Senato, e l’altra di accordarsi la facoltà di costruirsi un ricovero securo pe’ naviganti, come era stata accordata nel 1611 dal Re Filippo III, con apprestarsi dal Re i Forzati, giacché per le spese vi contribuirebbero il Vescovo sui frutti della Mensa, il Magistrato, e i Cittadini marinari […].

Nel 1775 il Re accordò le grazie implorate dal Parlamento, ma con qualche variazione in alcuna. Accordò a questa Città che il suo Magistrato godesse le preminenze di Senato, di cui s’investì al 6 Febbraio 1776. Pel ricovero, però, in questa Marina si riserbò di risolvere il conveniente dopo che sarebbe inteso delle spese bisognevoli e de’ mezzi di occorrervi, i quali non dovessero gravitare sui poveri, né sul Patrimonio civico e dopo che avrebbe conosciuto la contribuzione del Vescovo. […]».

 

- III punto di osservazione: area delle “invasioni barbariche”

Prima di giungere in prossimità del bastione di Capo Marchiafava, la sosta è stata l’occasione propizia per discutere del progetto di restauro delle mura megalitiche e di trasformazione della scogliera in “parco degli scogli”.

Dopo le puntuali note storico-architettoniche del dott. Ilardo sulla cinta megalitica della città, sulla sua specificità (poligonale, megalitico-poligonale, ciclopico-megalitica), sui criteri e sulle modalità di costruzione, nonché sul periodo di realizzazione, si è proceduto a leggere un passo dell’arch. Tania Culotta tratto da Architetture al limite. Il parco delle mura megalitiche di Cefalù, 2010. La lettura è dello studente Stefano Mileo (IC):

    

«Il progetto di restauro delle mura megalitiche trova i suoi prodromi nella redazione del Piano Particolareggiato del centro storico, che Pasquale Culotta e Bibi Leone redigono nel 1974, e che […], pur se eseguito per stralci e attraverso un lungo arco temporale (dal 1987 al 2004 e dal 2005 al 2008), muove da una completa organicità, che pone il percorso come elemento ordinatore che si estende all’intero ambiente naturale della scogliera, recuperandolo nella molteplicità di visioni e di pari autonome e dettagliate che compongono il paesaggio. […].

Attraverso i percorsi pedonali connessi agli accessi urbani di Porta Pescara, di Capo Granaio, del Bastione, della Postierla, di Porta Giudecca e di Capo Sant’Antonio, la scogliera si integra al tessuto urbano trasformandosi in “Parco degli scogli”, interamente percorribile dalla marina a Presidiana, includendo i due porti come fattori urbani nella sequenza della soste suggestive.

Gli interventi tutti di piccola entità punteggiano lo svolgersi delle mura e consistono in piccoli belvedere-terrazze, panche, slarghi, marciapiedi, percorsi di pietra, ringhiere, alberi che si aprono verso le grandi superfici della parete scoscesa della Rocca, della scura scogliera e del mare.

Le situazioni funzionali divengono il pretesto per connettere il suolo, gli spazi urbani e la geografia dei luoghi, ed offrono spunti per dar luogo a nuove geometrie … “punti, linee, superfici … costitutive l’architettura del paesaggio”.

Le operazioni effettuate sono state non invasive, si è eseguito un piano di bonifica della vegetazione infestante e di liberazione dalle superfetazioni. Successivamente si è proceduto al consolidamento murario delle mura megalitiche e alla creazione del sistema dei percorsi.»

Una soluzione architettonica, dunque, perfettamente integrata nell’ambiente naturale, che persegue il duplice scopo di consentire al visitatore di apprezzare, da vicino, le emergenze archeologiche lungo tutto il percorso pedonale e, al contempo, di godere della scoperta e della suggestione degli scorci naturalistici, della bellezza e della piacevolezza del bene-paesaggio, che è un valore universale.

Proprio il tema del paesaggio, che è elemento centrale del progetto, rischia di essere compromesso, se non vanificato, dalla invasiva insistenza su quel luogo di una serie di soppalchi, terrazze e pontili ad uso ristorazione, realizzati in tubi d‟acciaio con rivestimento in legno, strutture precarie addossate alle pareti degli esercizi pubblici se non, addirittura, innalzate nel bel mezzo della scogliera e del sentiero pedonale, che, periodicamente, fanno brutta mostra di sé, gettando scompiglio tra l’inerme e pacifico “popolo degli scogli”.

    

Ferme e accorate, al riguardo, le parole ammonitrici del dott. Ilardo, che appaiono pienamente condivisibili: si tratta di «segni di imbarbarimento che sono sotto gli occhi di tutti; segni di atopía, di indifferenza verso la storia culturale e materiale di luoghi e paesaggi costretti a piegarsi alla perversa logica di un mercato, che non esita a spingersi oltre ogni ragionevole limite, che colonizza nuovi spazi, che si insinua nella mentalità comune, diseducando le coscienze; cattivi segni destinati a finire sotto lo sguardo attonito di frotte di turisti portatori di una civiltà altra, attenta al bello, rispettosa dell’ambiente, riguardosa del bene-paesaggio come valore superiore da salvaguardare e rivalutare; segni tristi che sviliscono la bontà di un progetto e la memoria del suo stesso ideatore; segni desolanti che suggellano il trionfo di tò aischròn su tò kalón, della sconcezza sulla “grande bellezza”».

    

 

- IV punto di osservazione: bastione di Capo Marchiafava

    

Riferisce il dott. Ilardo, che sarebbe stato riedificato su un’antica costruzione a spese della Città e con il concorso del vescovo Pietro Corsetto, pari ad un quinto del costo totale, nel 1642. Lavori di manutenzione furono eseguiti nel 1729 e nel 1746.

L’ultimo risolutivo intervento di restauro risale a circa 25 anni addietro, su progetto degli architetti Pasquale Culotta e Bibi Leone, con finanziamento della Regione Siciliana. Sul bastione erano alloggiate diverse bocche da fuoco a difesa della Città, sul fronte a mare di Settentrione.

 

- V punto di osservazione: area della Postierla

Proseguendo oltre, il dott. Ilardo richiama l’attenzione sulla particolare conformazione ciclopica della cinta megalitica, caratteristica più o meno visibile a seconda della portata degli interventi di manutenzione eseguiti dai proprietari delle abitazioni costruite – a far tempo dalla fine del XVII secolo – sulla parte basamentale della cinta muraria.

    

Viene, poi, raggiunta l’area della Postierla: si tratta di un piccolo varco aperto nella cinta megalitica, per consentire agli abitanti di attingere l’acqua potabile dalla sottostante sorgiva, delimitato da due grossi massi laterali che fungono da stipiti, su cui poggiavano due monoliti di copertura dei quali uno è andato perduto.

 

- VI punto di osservazione: area delle tacche sotto la Porta Giudeca

Continuando la passeggiata, si giunge al punto in cui termina la cinta megalitica ed inizia quella bizantina realizzata con pietra rotta, malta di calce e coccio pesto. È questo il tratto a monte del quale si apriva la porta Giudeca, all’altezza dei cortili Morsicato e Grippaldi (a tal proposito, il dott. Ilardo precisa che le porte della città, aperte lungo la cinta urbica, non sono state quattro, come comunemente si ritiene, ma cinque se non sei: infatti, oltre alle porte Terra, Ossuna, Pescara e Giudeca, esistevano altre due porte: la porta Sant’Antonio, che si apriva sempre lato Levante, più innanzi della porta Giudeca, all’altezza della chiesa di Sant’Antonio, quando i Bizantini decisero di prolungare la cinta muraria; e la porta “per dove si va al castello sul Monte” o “porta dei Cosentini”, all’altezza della via Salita Saraceni e della via G. Misuraca, alle falde della Rocca, che consentiva agli abitanti di raggiungere in sicurezza la sommità della Rupe).

    

Proprio in questa parte della scogliera è possibile intravedere una serie considerevole di tacche, che stanno ad indicare l’esistenza, nei tempi passati, di una grossa cava per l’estrazione della pietra.

 

- VII punto di osservazione: belvedere di Sant’Antonio

Il percorso si conclude all’altezza della chiesa di Sant’Antonio, laddove la cinta bizantina, a cominciare dalla scogliera, inizia a piegare verso sud, raggiunge ed oltrepassa la chiesetta eretta dal vescovo Antonio Faraone nel 1566 (dove vi era la porta di Sant’Antonio), e, dopo un breve tratto in direzione est, si dirigeva verso sud sino a saldarsi alla parete della Rupe.

    

I motivi – precisa il dott. Ilardo – per cui gli strateghi bizantini prolungarono la cinta muraria verso Levante, rendendo necessaria la costruzione della nuova porta di Sant’Antonio, vanno ricercati nella necessità di approvvigionare la Rupe di acqua potabile attraverso un percorso – la cosiddetta “strada dell’acqua” – che si snodava all’interno della cinta urbica, permettendo agli assediati di raggiungere in sicurezza la sottostante sorgente di Sant‟Antonio che, un tempo, sgorgava fresca e abbondante proprio sulla scogliera, sotto la chiesa.

A questo punto, essendo in prossimità della baia di Presidiana, l’alunno Giuseppe Castiglia (IA) dà lettura di un passo tratto dal recente libro del dott. Ilardo, L’eccelsa rupe (2013):

    

«Un’antica e suggestiva leggenda narra che sulla rocca, laddove sorge l’edificio megalitico, dimorasse Diana, da alcuni identificata con la celebre divinità olimpica (l’Artemide greca), dea della luna, della notte, delle sorgenti, dei monti, dei boschi, “portatrice di luce in seno alle tenebre […] parimenti venerata dai cacciatori e dai pescatori sotto il nome di Dictinna (da diktus: rete)”; da altri, invece, riconosciuta come la figlia di un re o di un castellano. Ma questo poco importa. Certo è che “tutta Cefalù giurava di averla vista svolazzare leggera tra i roccioni, scendere aerea verso il mare in quell’angolo orientale della città ove l’immenso corso dell’acqua corrente dal monte si bacia con le onde dell’azzurro mare”.

I naviganti, appreso di una fanciulla dalle ineffabili grazie, attendevano speranzosi di poterla scorgere al bagno, così come era accaduto ad altri marinai più fortunati che giuravano di averla vista. Era tale la beltà che ammantava quella nobile creatura che alcuni di loro non resistettero al desiderio di averla. Quando la luna catturò il sole e la volta si imperlò di stelle, Diana come era sua abitudine, discese dalla rupe per ristorarsi con un bagno fresco e purificatore: in un balzo, quei bramosi marinai le furono addosso e la rapirono. Gli abitanti di Cefalù, “per provare meglio la leggenda del rapimento”, amano chiamare quel luogo Presidiana, ossia presa di Diana. Molto probabilmente si tratta di una “forzatura linguistica”, che rivela, tuttavia, il particolare fervore, anzi la profonda venerazione che gli antichi abitatori di Cefalù nutrivano verso la sacralità e la magica bellezza di quel luogo.

Una cosa è certa, comunque: se oggi Diana potesse ridiscendere ai piedi della rupe, difficilmente sarebbe disposta a bagnarsi nelle acque di una baia che la mano dell’uomo ha reso, via facendo, irriconoscibile, mischiando le fresche acque che copiose sgorgavano dal ventre materno della rupe, con un fiume di torbido cemento. Colata di cemento che qualcuno, oggi, ostinatamente, vuole continuare ad ingrossare, sortendo il solo angosciane effetto di vedere svanire, come un miraggio, l’incanto di questo arcano e numinoso scorcio di costa, estrema propaggine di una roccia che ha avuto il privilegio di essere accarezzata dal mito.».

L’esperimento della “lezione all’aperto” lungo il suggestivo percorso pedonale che si insinua nella scogliera di Cefalù, ci pare abbia centrato le sue finalità, perché è stato, al tempo stesso, istruttivo ed educativo: abbiamo appreso notizie storiche e architettoniche su Cefalù di cui ignoravamo l’esistenza, riscoprendo, altresì, il valore del paesaggio di cui occorre prendere coscienza perché conforto per l’anima e respiro per la nostra interiorità.

In alcuni tratti, purtroppo, il percorso è offeso dall’abbandono di rifiuti vari e dallo sconsiderato impianto di alcune strutture che stridono con l’austera e arcana bellezza dei luoghi, impedendo di godere appieno della vista del panorama.

Il “parco degli scogli” potrebbe essere una risorsa ulteriore per Cefalù, sotto diversi aspetti (storico, culturale, turistico, economico, sociale), a condizione che venga meglio valorizzato, curato e rispettato. È un dovere che, prima ancora che alle pubbliche istituzioni, attiene ad ogni cittadino chiamato ad un maggior senso di responsabilità e amor patrio. È un cambiamento culturale che si impone come necessario, se si vuole davvero cambiare in meglio la nostra società. Sarebbe, questo, il più bel regalo di Natale per Cefalù.

                                                                               Gli alunni della IA e della IC