Nuova stazione o nuovo disastro?

Ritratto di Angelo Sciortino

12 Novembre 2015, 22:08 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Sulla nuova stazione ferroviaria di Cefalù si è aperto un dibattito, purtroppo tardivo, visto che della sua costruzione sono stati approvati i progetti esecutivi da tutti gli Organi competenti. Ormai non può apportarsi alcun cambiamento, non correndo il rischio che l'opera non si faccia più per scadenza dei termini.

Eppure, sembra che vi sia ancora chi interviene, non considerando che già il progetto della stazione a Ogliastrillo è stato da tempo abbandonato in favore dell'attuale. Dobbiamo allora accettare che il nostro Paese venga sventrato, magari coperto dei detriti prodotti dallo scavo della galleria e per qualche anno calpestato da camion adibiti al loro trasporto? Dobbiamo accettare in silenzio o delle chiacchiere da svolgere in incontri in cui non ci è data parola?

Niente di tutto questo, se saremo capaci di ragionare con logica; se saremo capaci di dare alle nostre richieste la giusta misura. E la giusta misura è quella di chiedere quelle opere di compensazione, che sono necessarie a ridurre l'impatto di una simile opera sul territorio, ma anche nella società e nell'economia.

Le opere di compensazioni, un tempo marginali – andando oltre la tradizione delle compensazioni nelle espropriazioni, nelle pratiche forestali ed in genere nell’estimo agrario –, sono oggi divenute centrali nella realizzazione delle opere pubbliche e non solo. Infatti anche quelle private vengono sempre più gravate del loro costo, in specie quando queste opere sono prossime a quelle di «interesse generale». E come tali, appunto, oggetto di discussione con il «pubblico» oltre che con le pubbliche amministrazioni.

In particolare nel comparto delle opere pubbliche e della loro interazione con l’ambiente. E sempre più anche nelle operazioni di trasformazione urbana. In questi casi si tratta di «compensazione redistributiva». Vale a dire che se è anche l’intorno dell’area nella quale viene operato l’intervento -, a esempio, di trasformazione urbana «pesante» -, ad avvantaggiarsene, l’intervento è considerato positivo e quindi accettato. Non solo sul piano amministrativo, ma anche e soprattutto su quello sociale.
Lo sviluppo dell’applicazione delle opere di compensazione si è avuto infatti per impulso della valutazione ambientale di progetti di opere (VIA) e di piani e programmi (VAS), di settore o territoriali – urbanistici o a valenza territoriale – urbanistica, nonché delle altre procedure di valutazione ambientale: valutazione integrata (AIA) e d’incidenza (VINCA).

Bisogna considerare che, data la difficoltà di misurare il danno ambientale per la sua insita ambiguità, da tempo si tiene conto che la compensazione non è più una misura di accompagnamento, ma un vero e proprio costo aggiuntivo, che il decisore proponente dell’opera pubblica paga al territorio interessato.

Detto tutto questo, mi sembra che la sola richiesta ragionevole da fare sia appunto quella di esigere una adeguata compensazione, che riduca al minimo i costi di varia natura per il Paese e per il suo territorio.

E qui si pone il problema vero: chi dovrà chiedere la compensazione, se non l'Amministrazione? Essa sola dovrebbe essere in grado di valutare e scegliere le più opportune compensazioni. Ma è in grado di farlo, priva com'è di un vero piano urbanistico, di un piano per il litorale e persino di un piano per lo sviluppo culturale del Paese?

Vedremo che cosa accadrà nel prossimo incontro, in cui saranno presentate le tavole del progetto.