La riforma costituzionale e il referendum

Ritratto di Angelo Sciortino

23 Ottobre 2016, 18:05 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Federica Mogherini, Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza dal 1º novembre 2014, oggi ha scritto una lettera al Corriere della Sera, pubblicata al seguente link: (http://www.corriere.it/cultura/16_ottobre_23/si-riforme-far-nascere-nuovo-2f8367be-986f-11e6-bb29-05e9e8a16c68.shtml).

L'incipit della lettera - scriveva Antonio Gramsci che la crisi è il momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. - dà, già da solo, lo spessore della nostra donna politica, che rappresenta l'Italia in Europa e nel Mondo. Ma non voglio infierire, sottolineando che, fra le tante cose dette da Gramsci, questa è la meno felice, perché sbagliata a stretto rigor di logica. Il “nuovo”, infatti, non nasce “al momento in cui il vecchio muore”, perché è il nuovo che uccide il vecchio nel momento in cui nasce e si afferma. Si tratta di uno scambio della causa con l'effetto, definito nella logica metonimia.

Analizzo, quindi, le argomentazioni della nostra donna politica, tese a dimostrare la valenza della riforma costituzionale, sottoposta al referendum del prossimo 4 dicembre.

La prima di queste argomentazioni è infelice tanto quanto quella di Gramsci. Per preservare i valori riportati nella prima parte della Costituzione, noi dovremmo accettare di “cambiare quella parte, e soltanto quella parte, della Costituzione che delinea il funzionamento delle istituzioni”. Cambiare come? Se dovessimo cambiare, inserendo nella Costituzione il testo della legge sottoposta a referendum, noi stravolgeremmo la brevità e la correttezza stilistica, che la caratterizzano. Ciò a prescindere dalla necessità di cambiarla, per “far nascere il nuovo”, che non è quello al quale alludono Gramsci e la stessa Mogherini, che se ne fa portatrice. Il nuovo c'è quasi a ogni generazione. Non per nulla Jefferson affermava che “ogni generazione dovrebbe avere la sua Costituzione”. Quando egli affermava questo principio, però, pensava a come era nata la Costituzione americana e non a come se ne sarebbe improvvisata la riforma “alla Renzi”; pensava all'italiano al quale fu chiesto il consiglio per stilarla; l'italiano, che non era Renzi, ma il Filangieri autore di quel capolavoro che è la “Scienza della legislazione” e dal quale ricevette non pochi consigli.

Il bello arriva quasi sul finire: “Molti — a cominciare dal Presidente emerito Giorgio Napolitano — hanno spiegato punto per punto i meriti di questa riforma, di una procedura più rapida per le nuove leggi, di un diverso rapporto tra Stato e Regioni. Da ex deputata, sono convinta che un parlamento più efficiente sia un parlamento più forte.” Qualcuno dovrebbe spiegare che l'efficienza di un Parlamento non si misura dalle leggi, che esso approva, ma dalla sua capacità di controllare il Governo e di farsi portatore delle istanze dei cittadini, imponendogliele. Le leggi non applicate o malamente applicate sono soltanto le grida di manzoniana memoria, che non fermavano i bravi di don Rodrigo, così come oggi non fermano la corruzione, pur mettendo i cittadini disperati nelle mani degli azzeccagarbugli della burocrazia.

L'unica riforma oggi accettabile sarebbe quella di ridurre a un terzo i parlamentari, il numero delle Regioni, di ridare autonomia effettiva ai comuni.

Il resto sono chiacchiere.