Del Piano Regolatore non si sente più parlare

Ritratto di Giovanni La Barbera

20 Novembre 2018, 13:27 - Giovanni La Barbera   [suoi interventi e commenti]

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Per Cefalù sarebbe il primo Piano Regolatore, si perché nessuno, sapendo un po' di pianificazione urbanistica e territoriale, si sarà mai illuso che quello che aveva deciso, da circa 50 anni, l'uso e l'organizzazione del nostro territorio, possa essere definito tale.

Si sa che un Piano in quanto progetto risponde ad una ben definita domanda, sia di abitazioni, sia di aree per attività produttive, determinando un insieme di infrastrutture a supporto.

Il Piano, quindi, determina la capacità di rispondere, in un arco temporale delineato, ai fabbisogni di una Comunità. Allora parla, ad esempio, di capacità residenziale teorica, dandone, di essa, una dimensione numericamente definita, e rapportando ad essa i relativi servizi, secondo standard definiti dalla legge.

Se un Piano non contiene almeno questo, e l'edificazione risulta illimitata nel tempo e nello spazio, e le infrastrutture a sostegno delle attività della Comunità non si legano con il programma realistico, allora il piano non dirige alcun processo di sviluppo o di riordino razionale; non mette in valore le sue potenzialità e, non essendo in grado di svolgere la sua funzione strumentale a sostegno di una qualche politica, finisce con l'essere un inutile, quanto arbitrario, modo di governare il territorio.

Cosi era il Programma di fabbricazione ormai abolito, da anni, da tutte le legislazioni regionali d'Italia.

Piano o meglio non Piano, lo è divenuto quando la politica delle spartizioni si è determinata, togliendo di mano al gruppo dei progettisti la sintesi a cui erano pervenuti, assumendo decisioni che ne hanno alterato gli equilibri.

E sì, perché Samonà Doglio avevano compreso che l'oggetto complesso sul quale avevano esercitato la loro cultura, si giocava proprio sui delicati equilibri, che trattavano gli aspetti qualitativi e quantitativi delle scelte sul futuro di Cefalù.

Certo, va ricordato e riconosciuto, che un grande merito del coinvolgimento di questi studiosi e professionisti di fama nazionale , nella Cefalù di quei tempi, è da attribuire alla politica di allora.

Ma forse quella politica, più della consapevolezza del valore di uno strumento di pianificazione e di programmazione, fu trascinata dall'entusiasmo dei giovani laureati e da giovani studenti che ne avevano intuito la necessità, in una realtà che stava compulsivamente iniziando a trasformare il territorio e l'ambiente urbano.

Comunque anche se il Piano fu redatto da importanti e riconosciuti studiosi e professionisti, scontava una tecnica redazionale improntata da una cultura un po' demiurgica ( il pianificatore si sentiva un po' divino e, in quanto tale, incapace di contrapporsi e frenare la forza della cruda concreta realtà sociale indirizzata verso l'appropriazione della rendita, cioè di un valore non prodotto dal lavoro umano.

Allora, il Piano era inteso professionalmente alla stregua di un prodotto anche poetico, nascente dallo spirito, dalla intuizione libera.

Non era ancora maturata la certezza che la pianificazione è e deve essere il luogo del conflitto culturale, della contrapposizione delle visioni su come si diventa cittadini in una città vista per “l'altro” dunque per tutti.

Basta scorrere la relazione del Piano, tesa a sviluppare nel concreto il concetto della figurazione, per averne conto. Questo approccio alle problematiche urbane e alle prefigurazione dei fenomeni evolutivi dell'assetto del sistema città -Comunità - territorio, ai delicati segni e significati del paesaggio e della storia locale, fini col passare in secondo ordine, lasciando il campo alla politica delle irresponsabilità. Samona e Doglio ripudiarono quel Piano e decisero di non firmarlo e ancora oggi non si sa chi può averlo legittimamente firmato.

Per inciso. Questo non è mai stato un problema, perché tanto la Regione approva tutto, ed il suo stile non è cambiato neppure ora. Non sappiamo neppure meravigliarci, tanto,oggi, non è cambiato molto. Questa Regione non svolge, in questa materia, i suoi compiti istituzionali o statutari, ed è sufficiente constatare come abbandona i comuni inerti, come il nostro, che da quasi 30 anni ha i vincoli sui terreni destinati ai servizi pubblici scaduti.

Ed ora, si va avanti con le occasionali, quanto dubbie, scelte di localizzazione di edilizia sociale nelle zone agricole, col non capire l'utilità della localizzazione, a Ogliastrillo, della nuova stazione, per le feconde interazioni spaziali che avrebbe portato con se, oppure col non considerare la perduta occasione di abbracciare unanimemente il progetto del CNR sul Polo Oncologico, che prometteva terapia, ricerca scientifica e applicazioni da vendere.

Quest'ultimo avrebbe generato processi economici cumulativi tanto da costituire “l'innovazione”, vero e proprio motore di un progresso che avrebbe generato anche effetti tangibili sul sistema delle città madonite, che gravitano su Cefalù.

Ma ora che dire di una città in stagnazione. Andiamo avanti senza una guida e senza uno strumento di Pianificazione che guidi razionalmente nelle scelte?