Lettera aperta a Sua eccellenza mons. Giuseppe Marciante

Ritratto di Giuseppe Riggio

24 Ottobre 2019, 15:12 - Giuseppe Riggio   [suoi interventi e commenti]

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Lettera aperta a Sua eccellenza mons. Giuseppe Marciante

Vostra Eccellenza che mi sta in cagnesco
Per que’ pochi scherzucci di dozzina,
E mi gabella per anti-tedesco
Perché metto le birbe alla berlina.

 

Sono proprio le ‘birbe’ che Le fanno il cattivo servizio di non informarLa della distonia crescente con la comunità diocesana, mentre fanno passare me per ‘anti-tedesco’ (nemico della Chiesa diocesana, seminatore di discordia, irriverente…) al punto da ricorrere addirittura alle ritorsioni, che maldestramente fanno cadere sui miei amici! Spero vivamente che non avvenga la stessa cosa nei confronti dei miei amici Sacerdoti. È il tipico atteggiamento ‘mafiosetto’ di chi non potendo infierire nei confronti di quelli che considera rivali cerca di fare terra bruciata intorno a loro nel tentativo di rinforzare il proprio potere al fine di costruirsi il monumento. C’è un bellissimo epigramma di Prevert che lascio alla interpretazione di chi legge: ‘Era andato dal sarto marmista per farsi prendere le misure per la posterità’.

Tutto nasce, Eccellenza, da quello che io Le scrivevo per conoscenza nell’ormai lontano 4 Aprile di quest’anno. Di quella lettera, per il momento, rendo pubblico solo uno stralcio avendo il sospetto che non gliel’abbiano fatta leggere:

“A Mons. Marciante, mio vescovo, che legge in copia, chiedo il coraggio del ruolo apostolico: la nostra diocesi è più piccola della zona di Roma ove fu vescovo vicario del Santo Padre. Non deleghi a nessuno il potere decisionale relativo al munus pastorale; non permetta che il rapporto con i fedeli venga filtrato dalla volontà del segretario; tratti personalmente i rapporti con i presbiteri anziani con il necessario tatto che non sempre è presente in rampanti rottamatori che prima o poi lo condurranno a sbattere; nomini parroci e non amministratori parrocchiali facilmente amovibili e ricattabili; non crei  illusioni di facile imprenditorialità e cerchi soprattutto di conoscere la realtà socio-economica, culturale e religiosa della nostra Chiesa, per rispettarla e amarla; detti Lui le linee di un piano pastorale avulso dalle mode culturali delle Conferenze episcopali ma basato sull’esistenza della ecclesìa (i Sacramenti e le Virtù teologali).

Sono convinto che se quella lettera fosse arrivata sul suo tavolo, ben altro sarebbe stato l’atteggiamento del Pastore: anziché arroccarsi in un insignificante silenzio, sarebbe uscito a cercare la ‘pecorella smarrita’… proprio per coerenza con la missionarietà della Chiesa, ma anche perché ‘questa pecorella’ tanto smarrita non dovrebbe essere  se gli ultimi tre vescovi, che l’hanno preceduta e con i quali si poteva parlare, le hanno prestato piena fiducia affidandole compiti pastorali e culturali, permettendole persino di tornare occasionalmente ad annunciare la Parola e insegnare la dottrina.

Si ha l’impressione, invece, che Lei sia circondato da un cerchio magico che La tiene quasi sotto tutela, continuando a difendere posizioni di comando nella logica aberrante del ‘chi non è con me è contro di me’ e del ‘questo è dei nostri’, sempre nel nome di nostro Signore; insinuando che io sia la longa manus di un suggeritore occulto che  non si espone in prima persona, senza rendersi conto che ciò pensando e dicendo striscia terra terra e non riesce a guardare chi vola alto come le aquile; suggerendole o plaudendo, anche solo per non dispiacerLe, all’uso di una infelice metafora a Lascari per spiegare la nomina dell’amministratore parrocchiale: quella del fidanzato per un anno. È stato sciupato il legame sponsale sacramentale, analogico a  quello del Vescovo con la sua diocesi, in un rapporto  finto per natura e per situazione: per natura, perché nella fattispecie la scelta è unilaterale, per situazione perché un fidanzamento raramente è trasparente, essendo viziato dalla preoccupazione di piacersi; arrampicandosi, infine, sugli specchi per spiegare alla comunità parrocchiale di Isnello, momentaneamente non interessata, quello che non si descrive: il progetto che motivi non tanto gli spostamenti quanto il declassamento delle funzioni. Di fatto quella lettera, che sembra scritta col copia e incolla e vanta la certezza di migliori futuri risultati, non spiega niente! Tutto il costrutto è totalmente privo di logica formale! Ma soprattutto manca di ‘visione’, manca il progetto che motivi provvedimenti tanto importanti, dando l’impressione d’improvvisazione, come di chi non sapendo se e quale macchina acquistare, intanto compra il portachiave!

Nella parte finale della lettera, quella rivolta a don Marcello Franco, che da parroco di Isnello diventa amministratore della Parrocchia Sant’Antonino Martire di Castelbuono, l’affido della parrocchia avviene ‘nella prospettiva di avviare un processo per l’istituzione del Coetus Presbyterorum, in conformità alla normativa vigente. Si tratta di più presbiteri che riceveranno in solido l’affidamento di più Parrocchie, avendo cìascuno le facoltà di parroco, e uno di essi il titolo di Moderatore. È l’avvio di un processo che sarà accompagnato e condiviso dalle Comunità interessate che, pur conservando la loro identità giuridica, confluiranno in una pastorale unitaria’.   

Se si vuole fare riferimento al Decreto conciliare Presbyterorum ordinis, che dopo sessant’anni resta ancora attuale anche se non applicato, anzi volutamente ignorato fino a Papa Francesco, non si può scambiare una diversa organizzazione pastorale e disciplinare del Clero, causata dalla carenza di sacerdoti, con l’istituzione del coetus presbyterorum, già esistente. Alla base del Decreto conciliare si pone un cambiamento culturale di grande spessore, che avrebbe avuto bisogno di questi sessant’anni per affermarsi, consistente nel nuovo modo di concepire la Chiesa (collegialità e missionarietà), nel quale le due potestates del presbitero (cultuale e pastorale, che si affermano  fin dall’inizio del II Millennio e vengono sancite dal concilio di Trento, delle quali solo quella cultuale si faceva risalire all’ordinazione sacramentale, mentre quella pastorale nasceva dalla delega vescovile), diventano i tre munera o funzioni o servizi (istruire, santificare e governare) che hanno un’unica origine nell’ordinazione sacramentale. Il modello assunto prima per i vescovi e quindi per i presbiteri (LG 28 e PO 4-6) consente di pensare e realizzare in modo assolutamente diverso la sinodalità, soprattutto per provvedimenti che toccano il nervo della vita delle comunità parrocchiali e degli stessi presbiteri.

Io non oso immaginare che in futuro solo i grossi centri godranno della presenza fisica continuativa del sacerdote, mentre i piccoli centri ‘dovranno fare domanda in carta bollata’ per avere un colloquio spirituale, la visita degli ammalati, il sacramento dell’unzione, l’attenzione e la cura delle famiglie e dei giovani… tutto quanto dà contenuto ad un Piano pastorale, che non ha bisogno di sforzi letterari che nessuno legge.  

Per chiudere, una domanda e un’ulteriore riflessione: su quali conoscenze geografiche, urbanistiche, antropiche, culturali e religiose si basa il progetto che ancora non conosciamo?

I grandi vescovi del passato che si sono trovati a reggere la diocesi di Cefalù in periodi di transizione e cambiamenti (Preconio - Gonzaga - Castelli - Vanni - Sansoni - Pulvirenti e Cagnoni) lasciarono traccia del loro operato perché conoscevano la loro Chiesa e la amarono.

 

Cefalù 23 ottobre 2019

                                                                Giuseppe Riggio

Commenti

Caro Pino,

ho letto più volte questa tua lettera aperta aperta al Vescovo. Più leggevo e più provavo dentro di me tristezza. Non perché essa fosse piuttosto dura, quanto perché da essa ricavavo una consolazione al mio agnosticismo, che mi dà il grande vantaggio di non sentire il peso di simili comportamenti.

Accade, però, che io non sia sazio del mio agnosticismo, che quantomeno mi rende solo fino alla sofferenza e non mi dà neppure la speranza di trovare il giorno della mia dipartita terrena un mondo migliore di questo o quantomeno un'altra vita. Per questa ragione nella mia lunga vita sempre quaesivi, ma purtroppo fino a oggi devo dire che non inveni. La tua intelligenza e la tua sensibilità mi fanno sperare che tu comprenda quanto dolore c'è in me per quel non inveni. Devo dirti che le tue osservazioni mi fanno fortemente dubitare che proprio nella Istituzione, che secondo il comandamento del suo fondatore dovrebbe aiutarmi a trovare la strada della ricerca, non posso contare. "Pecorella smarrita ero e pecorella smarrita" sarò costretto a restare. Speriamo che gli errori da te mirabilmente descritti non causino lo smarrimento di altre pecorelle!