Perché voterò NO al prossimo referendum

Ritratto di Angelo Sciortino

14 Settembre 2020, 14:43 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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L'approvazione del testo finale della Costituzione quasi all’unanimità fu un miracolo laico, tra tante passioni e ideologie, una contro l’altra. Ci furono 458 voti favorevoli e 62 voti contrari. Rispetto ai tempi bizantini di oggi, i lavori erano stati rapidissimi, pur dovendo affrontare scelte fondamentali e questioni molto complesse: appena 1 anno e mezzo.

Fu subito chiaro, anche agli occhi di osservatori stranieri che avevano seguito i lavori e studiato il testo – come notò il vecchio Ruini, presidente della ristretta Commissione dei 75 che aveva preparato il progetto presentato all’Aula – che si trattava forse della migliore tra tutte le Carte costituzionali, nonostante – disse – difetti, lacune, esuberanze e incertezze. Apparve uno scandalo, p.es., che i Comunisti approvassero la proposta dei Cattolici di recepire il Concordato nell’art.7.
Ma si era compiuto un doppio miracolo: mettere d’accordo in un tempo breve un quadro istituzionale tipicamente liberale (separazione rigorosa e bilanciamento sapiente dei Poteri, grande spazio a garanzie, diritti di libertà e alla loro realizzazione pratica, attivazione e corresponsabilità dei cittadini singoli, indipendenza della Magistratura ecc.) le visioni stataliste, comunitarie, solidaristiche, tipiche delle due Chiese (cattolica e marxista), che unite avevano la stragrande maggioranza nel Paese, con la visione liberale, individualistica, attivistica e fondata sulla cultura e responsabilità personale, già allora ormai minoritaria dopo la crisi del Liberalismo nel primo 900, ma che aveva un prestigio anche tra gli avversari molto più vasto dei suoi voti, se un Togliatti si alzava per andare ad ascoltare Croce da vicino (don Benedetto odiava il microfono).
Un terzo miracolo, davvero laico, fu il peso delle idee liberali, molto più rilevante dei loro numeri tra i Costituenti. E fu la salvezza dell’Italia, perché tutti e tre i maggiori partiti eletti alla Costituente nel 1946 erano totalmente estranei alla tradizione liberale del Risorgimento. E forse se ne rendevano conto, chissà, forse pativano un complesso d’inferiorità. (Democrazia cristiana, 207 deputati e 35 per cento dei voti; Partito socialista, 115 deputati e 20,7 per cento; Partito comunista, 104 deputati e 18,9 per cento dei voti). Fatto sta che i tre partiti minori, di ispirazione liberale, sia pure molto diversi tra loro, non furono affatto emarginati, anzi ebbero un prestigio e un peso tale da contare nell’Assemblea molto più dei loro voti (Unione democratica nazionale, 41 rappresentanti e 6,8 per cento; Partito repubblicano, 23 deputati e 4,4 per cento; Partito d’Azione, 7 deputati e 1,5 per cento).

Quei tre “miracoli”, l’accordo armonioso tra avversari, il tempo breve per l’accordo e la redazione del testo, e il rispetto unanime per le idee liberali sulla struttura dello Stato e le garanzie dei cittadini, oggi sarebbero forse impossibili. Ecco perché oggi non bisogna riformare la Costituzione: risulterebbe inevitabilmente sbilanciata, faziosa, mal fatta, subito deperibile.

Ma a ben vedere, non erano miracoli caduti dal cielo, condizioni casuali. Erano i frutti della grande cultura e dei grandi ideali della classe politica e dirigente d’allora, formatasi nella dura selezione dell’opposizione al Regime fascista. Nelle persone meno istruite, la scuola era stata almeno la strenua lotta contro la Dittatura, la tanta passione per la libertà, il patrimonio delle tante idee radicate e motivate, che allora una qualsiasi persona – liberale, cattolica o comunista che fosse – doveva avere per essere considerata “per bene” ed essere presentata candidata a rappresentare il Paese. Altro che oggi, quando ai cittadini elettori si presentano i peggiori. Con la motivazione – ovviamente non detta – che, essendo della loro stessa pasta, si spera che piacciano di più agli ignoranti senza idee e senza ideali che votano.

Il Testo costituzionale, poi, è bellissimo anche come lingua italiana (rivisto alla fine da Concetto Marchesi, comunista, grande filologo e latinista): ogni parola è chiarissima e semanticamente pregnante, neanche una può essere tolta senza compromettere l’intero articolo (a differenza dei testi legislativi attuali: prolissi-ridondanti-equivoci-burocratici, scorretti).

Insomma, anche per me è una bellissima Costituzione. Che infatti piacque, nonostante che si votasse con molta passione su testi preparatori e su ogni articolo, anche ai valenti grandi Liberali dell’Assemblea, tra cui Einaudi e Croce, e al grande giurista azionista Piero Calamandrei, gente colta e aperta, e nient’affatto ottusamente conservatrice o beghina come certi sedicenti pseudo-liberali e laicisti di oggi (in realtà o conservatori o, molto peggio, senza idee proprie, e quindi senza passione, capaci di tutto).

La Carta Costituzionale fu poi firmata il 27 dicembre da quel galantuomo liberale che era il capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, amato e rispettato da tutti, avversari compresi. Personalmente monarchico, fu un Presidente impeccabile che separò nettamente il suo ruolo dalle proprie convinzioni. E lo stesso si deve dire per il primo Presidente regolare, Einaudi.
Altri uomini, altri tempi, d’accordo; ma non è che nel frattempo i valori umani siano cambiati: ce ne fossero oggi! (dico io). Ma mi rispondo subito: gente così oggi non sarebbe presentata candidata dai Partiti, e se presentata per errore non sarebbe eletta. Perché oggi abbiamo in Italia una democrazia di massa, falsa, solo formale, in realtà solo oligarchica, non disinteressata, che non insegna al Popolo, che non mostra esempi, impersonata da gente arrivista, insieme ignorante, poco intelligente e furba, solo attratta dalla scalata sociale, dal Potere, perfino nei casi rari in cui non è attratta dal denaro.