Scorci cefaludesi

Ritratto di Pino Lo Presti

14 Giugno 2013, 19:41 - Pino Lo Presti   [suoi interventi e commenti]

Versione stampabileInvia per email

Commenti

Steno Vazzana – Cefalù fuori le mura

"Per questo orientamento del paese nel suo insieme e dei suoi monumenti più grandi in particolare l'ora classica della bellezza di Cefalù è l'ultima parte del giorno. Chi la voglia godere in tutto il suo splendore la contempli nel pomeriggio da Santa Lucia o dal lungomare: quanto più il sole si china sul mare, quanto più la luce va facendosi mor­bida e calda, tanto più penetra gli spazi della città e della sua montagna. E, come se si liquefacesse nell'impasto di ter­ra e di acque, si diffonde dappertutto in una tonalità pacata. La luce del mattino non ha a Cefalù questo splendore, per­ché non illumina il volto ma le spalle della città. Nelle prime ore, quando il paese appare tutto raccolto nell'ombra del monte che si allunga fino al mare, le linee e i colori si perdono nello sfumato; aria e acqua si fondono alle sue spalle e ai suoi piedi in un'unica luce chiara tutta riflessa all'esterno. Della città vedi solo il profilo elegante e sottile, una lama oscura sul mare, l'impennarsi delle due guglie del duomo, la rocca cilestrina contornata di dorature come in un'ecclisse. Man mano che il sole aggira la montagna e il paese esce fuori dall'ombra, lo sfumato si condensa in masse sempre più concrete, le case prendono forma, si staccano una dall'altra individuandosi nell'insieme pur sempre com­patto, si dispongono in piani e in profondità. Più tardi, quando il sole è passato a ponente e la città dispone tutte le sue fronti in direzione della luce che la penetra, emerge l'evidenza dei colori, l'intrico dell'abitato si chiarisce anche nelle sue linee più sottili. È questo il momento più comple­to della bellezza di Cefalù. La vicenda delle ore ripete ogni giorno questa conquista che del paese fa la luce districan­dolo dall'ombra e trasportandolo attraverso la gradualità delle sue variazioni dall'opacità e dalla freddezza cristallina dei mattini alla maturità dei vesperi. E la ripete in ogni sta­gione, perché anche il cielo coperto e le mareggiate inver­nali filtrano e rifrangono la luce d'occidente, sempre ugual­mente opportuna alla bellezza del paesaggio, sia che si illan­guidisca nelle gradazioni del grigio, sia che si accenda di appassionati riflessi violacei.

Ebbene, in questa luce non si specchia solo la bellezza panoramica di Cefalù, da godere da lontano, ma anche quel­la delle sue strade dissodate da essa fino in fondo, dei parti­colari penetrati e rilevati, che sono da godere da vicino. La facciata del duomo innanzi tutto. Chi siede nella piazza al­l'ombra, nell'ora che la luce solare scivola dai tetti sul sa­grato e investe, lasciandosi assorbire, i vasti specchi lisci dei torrioni, passa da parte a parte per le bifore, dettaglia le ghiere del loggiato, si istalla sotto il portico di Ambrogio da Como a riscolpire la finezza deturpata del portale, chi guarda a quell'ora la facciata del duomo, trova nella luce d'occi­dente una guida attenta a illustrare quel che poteva sfug­gire; chi rapporta il giallo dei conci di tufo indorato dal sole col grigio denso e sanguigno della montagna che le fa da sfondo alle spalle, apprende che la luce è qui veramente pittrice. La luce occidentale solamente. Quant'è vero che quella mattutina che veste d'ombra le case, la fronte del duomo, che stende un vapore tenue sui tetti che sbiadiscono, è povera dell'astuzia che denuda la bellezza. Ma la luce occidentale, filtrata di tutti gli umori del giorno, ha sapore di maturità, di sapienza, di pienezza di vita; essa intona i colori, sottilizza le linee, evidenzia le masse, tutto individua e definisce, sa trarre dall'insieme e dal particolare, come un grande maestro, la voce più alta. È questa perciò la luce in cui Cefalù esprime il suo momento di perfezione."