24 giugno 1561, San Giovanni, il tragico epilogo dell’episcopato di Francesco Aragona

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24 Giugno 2013, 08:54 - Sandro Varzi   [suoi interventi e commenti]

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24 giugno 1561, San Giovanni, il tragico epilogo dell’episcopato di Francesco Aragona, nipote di re Ferdinando e Vescovo di Cefalù.
di Sandro Varzi
 

Francesco (1) (1525 - + 1561) 

Francesco D'Aragona nasce a Taranto nel 1486 da Francesco duca di Sant'Angelo (16 dic.1461-26 ott.1486) figlio di Ferdinando I (Ferrante) (1423 - 1494) re di Napoli.
Al battesimo gli venne dato lo stesso nome del padre, morto giovanissimo pochi mesi prima della sua nascita a soli 25 anni, nonché il titolo di duca di Sant'Angelo.
Il piccolo Francesco crebbe in seno alla corte reale sotto le cure amorevoli di sua zia, la regina Isabella, moglie di re Federico I, fratello di suo padre, e ai suoi cugini Ferdinando, Giulia, Isabella. Trattato alla pari dei figli del re, partecipò a tutte le cerimonie ufficiali tanto che un cronista dell’epoca, narrando l’ingresso della regina Isabella a Napoli il 15 ottobre 1497, ce ne parla descrivendolo anche per il suo prezioso abbigliamento.
L’anno successivo lo si ritrova per l’ultima volta nella cronaca dell’arrivo a Napoli di re Federico che, dopo avere debellato i Sanseverino ribelli ed essere guarito da una grave malattia che lasciò temere della sua vita, partito con quattro galee da Torre del Greco, sbarcò al Molo grande di Napoli dove venne  ricevuto dal suo primogenito Ferdinando duca di Calabria, ancora giovinetto e da suo nipote il piccolo Francesco D’Aragona duca di Sant’Angelo, nonché dagli ambasciatori di Spagna, di Venezia, di Milano, dalla nobiltà e dal popolo napoletano. (2)
Da questo momento in poi si ha un buio totale sulla giovinezza e sulla maturazione di Francesco sino a quando, all’età di 39 anni, venne eletto vescovo di Cefalù dall'Imperatore Carlo V con lettera data in Madrid il 25 febbraio 1525 e in seguito confermato da papa Clemente VII (Giulio di Giuliano de' Medici) (1523-1534)  il 7 giugno dello stesso anno.

Lo stemma di Mons. Aragona

Durante l'episcopato D'Aragona, che si presenterà lungo, travagliato e molto discusso, nel 1546, per opera dello stesso vescovo e con accordo con la confraternita della SS. Annunziata e li Jurati della città venne fondato l'Ospedale Civico di Cefalù.
I Capitoli dell'Ospedale furono approvati con provvedimento dell'1 marzo 1547 e la nomina dei deputati fu assegnata alla Confraternita dell'Annunziata, al Comune ed al vescovo, mentre il governo interno fu affidato ai Frati Cappuccini di Gibilmanna. (3)
Essendo il vescovo Francesco molto apprezzato dall'imperatore Carlo V fu proposto dal medesimo, con lettera del 22 dicembre del 1550, affinché intervenisse al Concilio di Trento (1545-1563) e con rescritto pontificio papa Giulio III (Giovanni Maria dè Ciocchi del Monte)(1550-1555) accordò al vescovo D'Aragona di prendere parte al Concilio Tridentino.
Il vescovo Francesco prenderà parte, sicuramente, alle importanti sessioni XIII e XIV dell'ottobre e del novembre 1551. (4)
Tornato in sede, dopo aver preso parte a quel Concilio, proibì ai canonici regolari di S. Agostino, che officiavano la Cattedrale, di continuare ad usare l'ufficio gallicano obbligandoli a recitare il Breviario Romano.
E' proprio durante l’episcopato durato per ben 36 anni e restando sino ad oggi il più lungo periodo di reggenza di un vescovo cefaludense, che la Chiesa di Cefalù sprofondò in un totale abbandono sia materiale che spirituale.
Si hanno notizie di parecchie visite regie che a partire dal 1534 proseguiranno nel 1542, 1552, 1557, 1577 proprio per controllare l’operato tanto discusso del vescovo Francesco, accusato di dilapidare i beni della Chiesa, di concubinaggio e di vita immorale, tanto che più volte gli fu chiesto di rimettere al pontefice le sue dimissioni o di accettare un collaboratore, cosa che lui rifiutò con fermezza.
Grande nemico dell’Aragona fu il vicerè Giovanni de Vega che durante il periodo di reggenza (1547 - 1557) procedette con polso fermo, inflessibile e sprezzante. Egli grande amico di S. Ignazio di Loyola, ebbe però grande sentimento di responsabilità e giustizia nelle sue reazioni, spesso vivacissime, contro fenomeni di malcostume ecclesiastico.
Tra gli altri a piangerne le conseguenze ci fu per l’appunto, il vescovo D’Aragona a cui re Carlo V aveva graziosamente concesso la diocesi cefaludense nel lontano 1525 e che in un trentennio ne aveva fatto “un vescovato perso” .
Il vicerè con toni pesanti gli rinfacciò la vita sregolata e il mal governo della diocesi, costringendolo, con la minaccia di chiamarlo in giudizio,  ad accettare la nomina di due visitatori, il vicario di Jorgento e il priore Girolamo Seguera, i quali durante la quaresima del 1554 cercarono di rattoppare le lacerazioni più vistose. Il vicerè volle altresì che fosse esaminato tutto ciò che era rimasto di quella diocesi e tentò anche di dargli un coadiutore, ma le sue insistenze in curia e per interposta persona non ebbero alcun successo. Il vescovo D’Aragona cadeva “en el fondo de mil males y iniusticias” e la diocesi ne pativa le conseguenze. (5)
Padre Girolamo Domenech, provinciale di Sicilia della Compagnia di Gesù, confessore e padre spirituale del De Vega, relazionando le sue attività in terra di Sicilia a S. Ignazio Loyola, fondatore della Compagnia, descrisse anche le tragiche condizioni dell’episcopato cefaludense e la persona del vescovo D’Aragona “....quan stragata stava su diocesi, y los muchos concubinarios que avia....y el mal govierno.......puede ver què hombre es, quàn poca cuenta tiene con Dios.....no salia à la iglesia à oir missa, y esta me dizen era su costumbre, estando en su obispado, teniendo la casa junto à la iglesia.....teniendo la muger en una casa, me dizen por muy cierto que cada noche iva à dormir con ella......”. Il Domenech, su richiesta del De Vega, si interessò personalmente di tutta la vicenda ed ebbe anche un incontro privato con il vescovo Francesco esortandolo invano a lasciare la diocesi perché molto avanzato negli anni e pieno di acciacchi tanto da non poter più garantire un corretto servizio pastorale alla diocesi. (6)
Tanto si auguravano che il vescovo D’Aragona rinunciasse al suo episcopato, che il Vicerè duca d’Alba, presentò al re Filippo II una supplica dove si chiedeva di affidare l’episcopato di Cefalù a Pompeo Pignatelli “habilissimo à detta professione di buonissima vita e conditione, per essere in detto vescovado in Sicilia....” il sovrano, tuttavia, rispose semplicemente che avrebbe avuto memoria della segnalazione. (7)
Nel 1557 in seguito alla seconda ispezione del De Arnedo  tra i vari ordini (8) vi fu quello che intimò la demolizione di un locale, forse adibito a sacrestia realizzato in epoca imprecisata, alzando un muro e chiudendo parte del transetto sud e di costruirne uno nuovo all'esterno addossato al muro della navata meridionale, ove preesisteva una cappella dedicata a S. Caterina
Nacque così la sacrestia D'Aragona, la prima vera sacrestia della cattedrale, dotata di due manufatti marmorei: il portale d'ingresso aperto sul muro occidentale del transetto sud e un lavabo rettangolare. Ambedue i manufatti realizzati in marmo bianco, portano scolpite le insegne del vescovo D'Aragona. (9)
Del medesimo  vescovo si conserva anche una campana, oggi nei depositi della cattedrale, sulla quale si legge :

+ DON FRANCISCUS ARAGONA EPISCOPUS CEPHALUDENSIS  ME  FIERI  FECIT  ANNO  A  NATIVITATE  DOMINI  M  CCCCC  LX  I  D III M CATALDUS ZUMBO ME FECIT +

al di sotto di questa iscrizione vi è, in bassorilievo, un medaglione circolare con raffigurato il Cristo Pantocratore con attorno la seguente legenda:

+ SACTAM  UNIVERSITATIS  CIVITATIS  CEPHALUDI  +

Sotto detto medaglione ve ne è un altro di dimensione piu' piccole con le insegne del vescovo.
Quasi alla fine del suo episcopato il vescovo Francesco arricchì la chiesa di arredi sacri e suppellettili, fra cui due calici in argento dorato e tutta una serie di parati. (10)
Un destino crudele attendeva sfortunatamente l’anziano vescovo.  Di ritorno via mare da Roma, in compagnia dell’arcivescovo di Catania Nicolò Maria Caracciolo ed altri nobili siciliani, il 24 giugno 1561 mentre il convoglio navale formato da sette grandi galee spagnole si trovava al largo di Tropea e in vista di Messina, fu attaccato pesantemente da sette vascelli dei pirati barbareschi. Questi lo presero in ostaggio assieme all’arcivescovo Caracciolo ma il nostro vescovo per lo spavento, le sevizie, ma soprattutto per l’età avanzata, morì in mano di quei pirati. (11)
Nulla si conosce riguardo a come si siano svolti i fatti dopo la sua morte e quando i suoi resti mortali siano giunti a Cefalù, si sà solo che i funerali furono celebrati nel duomo l'11 luglio del 1561, fu sepolto in piena terra e, solamente nel maggio del 1577 in sede vacante per la sopraggiunta morte del vescovo Vadillo, il vicario Giovanni Filippo Ferraris e il priore del capitolo Silvio Ruffino ne fecero riesumare i resti, ponendoli in un sarcofago nuovo insieme a quelli del vescovo Vadillo morto qualche mese prima. (12)


Note:

(1)  Il vescovo Francesco è chiamato Franc. de Aragonia dal GAMS; Francesco d'Aragona dal GIARDINA, MISURACA; Franciscus Aragonius dal PASSAFIUME; Franciscus III dal PIRRI; Franciscus de Aragonia dall'EUBEL.

(2)   FERRAIOLO, Una cronaca napoletana figurata del Quattrocento, a cura di Riccardo Filangeri, Napoli 1556, pag. 20 e segg.

(3)  G. MISURACA,  Cefalu'….,  op. cit.,  pp. 181-182.     

(4)  C. VALENZIANO, La Basilica ruggeriana di Cefalu'…., op. cit., vol. IV,  pp. 59-60.

(5)  AA.VV., Rivista di storia della Chiesa in Italia, anno 28, n°2, luglio – dicembre 1974, pag. 566.

(6)  PIETRO TACCHI VENTURI, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, 1950, pag. 215, lett. 480.

        AA.VV., Epistolae mistae ex variis Europae locis ab anno 1537 ad 1556 scriptae, Tomo IV, (1554-1555), Madrid 1900, pag. 123 e 566.

(7)  AURELIO CERNIGLIARO, Sovranità e feudo nel Regno di Napoli, 1505 – 1557, vol. II, 1983, pag. 588, 990, 1018.

(8) Per maggiori notizie a riguardo vedi, C. VALENZIANO, La Basilica ruggeriana di Cefalu'……., op. cit.,  vol. IV,  pp. 35-37,  59-62.    

(9)   R. CALANDRA, Aggiunte, modifiche e restauri......., op, cit., vol. II, p. 44.

        C. VALENZIANO, La Basilica ruggeriana……., op. cit.,  vol. IV,  p. 61.     

(10) CLAUDIA GUASTELLA, La suppellettile e l'arredo mobile: argenterie e parati sacri, in La Basilica cattedrale di Cefalu', Palermo 1987,  vol. VII,  p. 129.

(11) AGOSTINO GERVASIO, Intorno alla vita ed agli scritti di Camillo Porzio napoletano, in, Atti dell’Accademia Pontaniana, vol. IV, Napoli 1851, pag. 41 nota 43.

(12) NICO MARINO, Artisti e maestranze nella Cattedrale di Cefalù, in Paleokastro, Anno I, n. 3, dic. 2000, nota 21.

Commenti

Capitolo III
MODIFICHE ESEGUITE DURANTE I SECOLI NELLA CATTEDRALE

[…]

8. Nel 1559 il vescovo Francesco d’Aragona fece alzare il tetto della navata centrale (e non se ne conosce il motivo): questa sopraelevazione, che appare all’esterno sovrastante la bella facciata del Panittera, provoca un evidente disappunto estetico. (7)

9 Il vescovo d’Aragona fece anche la prima stanza della sacrestia con volta reale e con il lavabo in marmo: sia nel portale che nel lavabo vi è scolpito il suo stemma. Anno 1561

[…]

(7) In una trave sopra l’ingresso si legge ancora: Hic R. Imp. Die Mensis Maii IDS 1559

Testo tratto da: Misuraca Mons. Giuseppe, Cefalù nella storia, Lorenzo Misuraca editore, Terza edizione, Cefalù, luglio 1984, pag 127

 

La facciata della Cattedrale
in una litografia di W. Walton – mm. 300 x 260

Il prospetto occidentale della Cattedrale (foto Alinari)

Nelle due soprastanti immagini si nota il tetto della navata centrale che appare al di sopra del velario della facciata completata nel 1240 da Giovanni Panittera.

Pianta della Cattedrale di Cefalù alla fine del secolo XIXFianco meridionale della Cattedrale prima dei restauri del 1970

Nella pianta e nella foto sono ancora presenti i locali della antica sacrestia che furono demoliti  nel 1970, liberando così il fianco meridionale del Duomo e lasciando due accessi secondari: la cosiddetta «porta fausa» e la porta nel lato destro del transetto da cui si accedeva alla sacrestia.