Avvelenamento o indigestione di Ruggero II?

Ritratto di Angelo Sciortino

7 Luglio 2013, 11:23 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Di ritorno da Caronia, dove aveva scelto il luogo dove porre una statua di Ducezio, il siculo suo fondatore, Ruggero giunse di primo mattino a Cefalù. Decise di fermarvisi fino al pomeriggio e di approfittarne per vedere a che punto erano i lavori della Cattedrale e di rifocillarsi insieme ai suoi soldati di scorta.

Il Paese, dopo la concessione a coloro che lo avrebbero abitato del privilegio dell'esenzione dal servizio militare, si era notevolmente ripopolato e le sue campagne erano lussureggianti, tanto da sembrare uno scrigno, che custodiva le fatiche dei nuovi pacifici cittadini. Dovunque il Re vedeva, al suo passaggio, campi di grano e vigne; uliveti verdeggianti e orti geometricamente segnati con pomodori, fagioli eccetera; il mare, alla sua destra, solcato da decine di barche di pescatori e poi, di tanto in tanto, mulini ad acqua o a vento. Già questa visione, ininterrotta da Capo Raisigerbi a Cefalù, lo rinfrancò tanto, che quando giunse a Cefalù si sentiva già riposato.

Per giungere alla Cattedrale, attraversò una lunga strada, che poi da lui prese il nome. Nello spiazzo – perché ancora non poteva dirsi una piazza – antistante la Cattedrale gli vennero incontro il Vescovo, alcuni alti prelati e gli architetti, come si chiamavano allora i capomastri.

Trascorse un'ora buona con essi dentro la Cattedrale e alla fine si congedò, per riprendere il suo cammino verso Palermo. Sceso sullo spiazzo, dovette fermarsi in un'osteria, che da lui aveva preso il nome, e non poté sottrarsi alle insistenze della proprietaria, che gli offrì un cannolo con crema di ricotta e poi un ottimo vino abboccato della Ferla.

Convinto d'aver pagato il suo dazio, proseguì ancora lungo la strada per la quale era arrivato. Aveva fatto, però, pochi metri, quando gli si parò innanzi una giovane donna, che gli offrì una rotonda fetta di pane, condita sopra con pomodoro e formaggio. Disse che il suo nome era pizza e che in onore del Re avevano chiamato il punto vendita Pizzeria di Rugg(i)ero. Egli non poteva quindi rifiutare quell'offerta. Il Re la mangiò e si complimentò sorridente per la sua bontà. Poi proseguì, ma ad ancora cento metri un altro gli si parò dinanzi. Disse di essere titolare di un'osteria, che aveva chiamata in suo onore Il ristoro di re Ruggero. Egli doveva essere così generoso, da fermarsi e mangiarvi qualcosa. Il locale ne avrebbe tratto grande vanto per il futuro. Il Re, generoso, si fermò e mangiò tutto quello che gli portarono a tavola.

Fu poi la volta del ristorante il Normanno e poi di altri ancora. Quando finalmente riuscì a liberarsi da queste opprimenti offerte e quand'era ormai barcollante per il troppo bere ed eruttante come l'Etna in eruzione per il troppo mangiare, il Re giunse appena a Santa Lucia e qui prima si piegò sull'arcione per i lancinanti dolori allo stomaco e infine cadde a terra svenuto.

Subito corse accanto a lui il suo medico personale, che lo visitò accuratamente alla presenza dei soldati di scorta. Quando la visita fu finita, alzò gli occhi verso i soldati, che lo guardavano con sguardo interrogante, e disse appena: “forse...veleno!”.

Quei soldati non ebbero esitazione. Rimasti solo in cinque con il Re, gli altri galopparono verso Cefalù, dove sicuramente era stato compiuto il misfatto, e con l'aiuto della gendarmeria locale radunarono tutti nello spiazzo davanti alla Cattedrale e minacciarono tutti di morte, se non avessero consegnato il responsabile del veneficio e, soprattutto, l'antidoto, che avrebbe permesso di salvare il Re. Lo stesso vescovo era ritenuto uno dei sospettati, perché aveva offerto l'ostia della comunione al Re, e per questa ragione si trovava in mezzo a quella folla così disperata, da non sorridere neppure alla sua vista in mutandoni e pantofole di colore diverso l'una dall'altra.

Dopo un'ora nessuno si faceva avanti e l'ufficiale ordinò allora di distruggere tutti i locali, che portavano il nome del Re. Quando, dopo la distruzione degli altri, essi stavano per procedere a quella dell'osteria di fronte alla Cattedrale, si fece avanti la titolare, seguita da un piccolo ragazzo con una bottiglietta piena di liquido scuro e con una scritta incomprensibile – cocacola -, e disse: “Ho l'antidoto e voglio salvare il Re”.

L'ufficiale, sebbene incredulo, l'accompagnò subito dal Re, ancora svenuto. Qui, nonostante una prima opposizione del medico, la titolare fece bere lentamente quel liquido e poi si fermò dritta davanti a lui. Il Re cominciò a muovere la bocca come se stesse ruminando, poi gli uscì dalle labbra un rigolo di saliva, che fu seguito prima da un rumoroso gorgoglio del suo stomaco e infine da un potentissimo erutto. Pochi minuti dopo il Re aprì gli occhi e si alzò in ginocchio. In questa posizione vomitò tutto quel che aveva mangiato e stette subito bene.

Quando gli riferirono quel ch'era accaduto, il Re decretò che in segno di gratitudine l'osteria di fronte alla Cattedrale poteva fregiarsi del suo nome e poteva esporre all'esterno un ritratto del Re. Gli altri locali, dopo aver rispettato dieci anni di chiusura, non avrebbero più potuto fregiarsi del suo nome.