Damiano Giardina

Ritratto di Salvatore Culotta

31 Luglio 2013, 12:40 - Salvatore Culotta   [suoi interventi e commenti]

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Mettendo in fila alcuni argomenti e accadimenti attuali :

  • 'Ntinna a mare
  • Turismo
  • Degrado  economico
  • Degrado sociale
  • Febbre da intitolazione di strade
  • Una vanagloriosa mostra sulle tradizioni marinare
  • Modi di amministrare

trovo compagnia, una volta persa ogni speranza in giorni migliori (promessi e poi persi per strada), nel rileggere la vita di un cefaludese , Damiano Giardina, che davvero segnò con il suo operato un periodo della città, un periodo in cui Cefalù “produceva” qualcosa senza  sbavare appresso ad un malinteso turismo, che malinteso sarà fin quando sarà guardato come mero fatto economico prevaricante rispetto alle esigenze di chi ancora “abita” qui. E, convinto di far cosa utile per una parte dei cefaludesi, ecco :

ELOGIO FUNEBRE
a
DAMIANO GIARDINA
PRONUNZIATO DAL
Sac. Dott. Leonardo Palacardo
Nella Chiesa dell’Orfanotrofio di Cefalù
Il 26 marzo 1924
TRIGESIMO DI SUA MORTE

La gloire n'est jamais où la vertu n'est pas.

Triste, penetrante, satura di intima mestizia, quest'ora grava sul nostro cuore.

Non importa se bella e redimita di rose e di viole la primavera spira vita nuova ; non importa se ne la traspa­renza verginale dell' aria aliti puri passano mollemente , come sommesso ventilare di nivali piume, tra le virenti cime e il ciclo rilucente ; non importa se attorno a noi pulsa e freme turgida la febbre de la vita che ove più abba­glia più si abbatte smarrita, il dolore fascia di tristezza la nostra anima pensosa, striata dall'amarezza.

A secondare un prepotente bisogno del nostro cuore, qui, nel tempio di Dio, supplici piangendo ci siamo as­sembrati per evocare dalla nebbia glaciale e scura del se­polcro e far rivivere per un'ora ancora la figura del pa­dre provvido e solerte, dell'amico affettuoso , dell'uomo grande nella sua semplicità intensa.

Dinanzi al nostro spirito attarda straziante la visione della inerte salma del compianto Damiano Giardina e la sua figura, balzante tra il verde cupo dei bruni cipressi, nel trigesimo di sua morte, addita la via da lui tracciata quando beveva per gli occhi la luce del sole.

A ben delineare la figura dell'uomo, che oggi piangia­mo, bisogna rifarsi alle sorgenti della sua famiglia e affac­ciarsi alle alterne vicende che gli furono compagne in vita ; allora in tutta la sua integra grandezza emergerà, come dallo sfondo vario per luci e per penombre evane­scenti di un affresco, l'uomo ammantato della gloria del dovere tenacemente e serenamente compiuto.

Non dal ramo di D. Luigi Arias Giardino, che il verde pino sorridente in campo argenteo fece incidere sulle mura e pingere sulle severe sale del castello turrito di S. Ninfa , da lui pel primo conquistata , ma da un Pro­spero Giardino, vissuto a Cefalù nel 1535, trassero origine gli antenati di Damiamo.

Da questo capostipite fluirono uomini che i loro nomi affidarono alle pagine della storia della nostra città non per la gloria di conquiste di feudi e castelli o di inve­stiture nobiliari, ma pel fecondo impulso e generoso svi­luppo dato al commercio marittimo e alla navigazione.

Coi famosi sciabecchi, tipo di velatura e scafo impor­tato dai Turchi immani che divenne specialità della marina di Cefalù , essi con le profondità marine di sotto e le profondità azzurre del cielo di sopra si slanciarono nell’ immensità glauca del mare , placido per indisturbata pace, o tremulo ai fuggevoli aneliti della brezza carez­zante, o minaccioso tra l'urlo dell'uragano ruggente e lo schianto delle folgori.

Col loro   valido contributo   lo sviluppo   della nostra marina , decoro e vanto della patria, assurse al fastigio di una delle più fiorenti e gloriose di Sicilia.

Tra i Giardino, che ai posteri tramandarono esempi di valore e di eroismo si distinguono nella prossimità di tempo i fratelli Salvatore e Leonardo.

Salvatore, capitano sopra un brigantino di 150 tonnel­late, si rese celebre nei fasti della marina mercantile pa­lermitana. Le risorse feconde del suo amore per la na­vigazione e il suo intrepido coraggio ne unirono il nome per i secoli al soprannome di Citola, specie di pesce ma­rino.

Novello Colombo, con la sola bussola, fermo nel suo proposito , fiducioso nel suo indomito ardimento, navi­gando a vela, solcò l'infido oceano, dirigendosi verso le Americhe.

Leonardo, nato nel 1799, conseguì nel 1825 il foglio di Padron di cabotaggio e per il primo col suo scia­becco « la Caterina » si spinse fino a Napoli dove acqui­stò un altro legno, detto Mistico, specie di velatura nuova per la Sicilia e lo adibì con la Caterina al traffico allora fiorente del carbone. Durante una traversata la Caterina, al comando di Padron Leonardo, fu sorpresa sulle nostre coste da violento temporale. A stento poté guadagnare l'insenatura della Caldura gettando tutte le ancore , le quali sotto l’ irruenza del mare che ruggiva e infuriava urlando , cominciarono ad arare. Nell' imminenza del pe­ricolo Padron Leonardo fece scendere sulle imbarcazioni l'equipaggio atterrito ed egli rimase solo, disposto a sal­varsi o a sacrificarsi con la sua nave.

Mentre la tempesta si acuiva in un crescendo selvaggio, terrificante e passava su pei flutti acuto un rombo immane, Padron Leonardo alla Madonna del dolore ed a S. Francesco di Paola votò la sua sorte. La preghiera del suo cuore, ardente di fede, trionfò su la rabbia dei nembi, il flutto torbido si arrese ed egli con la Caterina scamparono al naufragio. Memore di tanto prodigio fece offerte votive alla Madonna e al Santo. Ma Padron Leonardo scese anzitempo nel sepolcro, in età di 55 anni, il 30 maggio 1855, seguito alla di­stanza di un anno e mezzo dalla sposa carissima la­sciando orfani i figli Antonino di 24 anni, Concetta di 21 , Cosimo di 19, Rosaria di 15, Damiano di 13 e Sal­vatore di 5.

Poco dopo Antonino, che attendeva agli studi presso i Gesuiti a Palermo, venne ordinato sacerdote e pigliò la direzione della casa mettendosene a capo. Curò l'educa­zione intellettuale di Salvatore e riuscì a farne un capitano di lungo corso. Non degenere dai suoi antenati, si distinse nella navigazione a vela e a vapore e dopo trenta anni, a premio e a corona delle sue benemerenze, gli venne conferita la medaglia al valore di lunga navigazione.

Cosimo alternò la sua vita navigando le sue navi e vigilando la cultura delle terre, riuscendo ad ottenere il foglio di padrone.

Damiano dapprima navigò sulle dette navi, ma, quando queste vennero demolite per vetustà, s'imbarcò col capi­tano Tommaso Messina, il quale, riconoscendo in lui i meriti d'un provetto marinaio e una singolare versatilità al commercio, l'amò, lo guidò e l'incoraggiò nelle prime speculazioni del traffico in accomandigia. Liberatosi dall' obbligo del servizio militare, Damiano cominciò a navigare coi bastimenti di lungo corso rag­giungendo le Americhe.

Durante uno di questi viaggi capitò a Buenos Aires e qui, sorpreso e attratto dall'attività febbrile dei traffici, propose di ritornare quanto prima per rimanervi. Sbar­cato a Cadice ed avviatosi a Genova per raggiungere la sua città natia dopo un lungo viaggio di nove mesi, s'in­contrò in questa città con un cefaludese e da lui con grande dolore apprese la triste notizia della morte del caro fratello Cosimo , giovane di fiorenti speranze, labo­rioso e stimato da tutti.

Giunto in famiglia Damiano espose ai suoi la risolu­zione di recarsi in America e vincendo le riluttanze af­fettuose della famiglia partì pieno di entusiasmo tra i sor­risi avvenenti di un sogno fulgido di più ardite eleva­zioni.

L'emigrazione al nuovo mondo allora vagiva in fasce ed a Buenos Aires non trovò che tre cefaludesi , fra i quali il capitano Luigi d'Alfonso , decoro della marina e della colonia italiana e in lui Damiano trovò un amico affettuoso e sincero.

Egli lo presentò a varie case commerciali, fra le quali per importanza e serietà di negozi e per ricchezza di ri­sorse primeggiava la casa Roca , la quale affidò a Da­miano il comando de « la Marbina ». Con apprezzata competenza e con lusinghiero successo disimpegnò tutte le mansioni alle quali lo chiamava la fiducia dei Roca, che a malincuore lo lasciarono rimpatriare, quando, sollecitato anche dai pressanti inviti dei parenti dopo circa   cinque anni, sentì il bisogno di riabbracciarli.

Nel 1872 fondò a Cefalù la sua casa commerciale va­lidamente coadiuvato nella carriera dal fratello Sac. Anto­nino.

Nel 1874 Damiano sposò Arcangela Fatta, di Salvatore, tra le floride speranze d'un avvenire sempre più fulgido.

I primi atti del suo commercio furono esplicati nel traffico delle carrubbe e della manna , prodotti che non erano nuovi per la sua Casa ; dopo cominciò a trattare l'olio di oliva e le alici salate a cui aggiunse il tartaro e la feccia del vino. Imprese a disboscare e carbonizzare il feudo di Tardara, in quel di Tusa, somministrando lavoro a un buon numero di operai che per la carestia ogni giorno aumen­tava. Durante questi tempi di critiche strettezze non esitò a portarsi varie volte a Messina e nelle Puglie per acqui­sto di grano con cui abbondare la nostra scarsa piazza.

Quando poi i vapori di Florio vi fecero regolare scalo, pensò di importare il riso , Io zucchero, il caffè e le fa­rinette dai porti di Messina, Livorno e Genova.

Esportò a Marsiglia la liquirizia assieme alla manna e all'olio , ritirando da questa piazza lo zappino per la co­lorazione delle reti da pesca.

Nel commercio Damiano fu anche coadiuvato dalle sorelle, donne di cristiane e domestiche virtù, e con esse poté sviluppare l'industria della filatura della canape e della confezione delle reti da pesca. Da questo lavoro, in tempi di indigenza, ricavarono pane centinaia di famiglie povere. Quest' industria, specialità della piazza di Cefalù, fruttò i suoi utili specialmente con 1' esportazione delle reti alle pescherie di Sicilia , Calabria, isole e Toscana e in più larga scala ai mercati africani di Tunisi, Filippeville e Algeri.

Il Sac. Antonino non aveva però dimenticato che il mare pei suoi antenati era stato sorgente feconda di onori e prosperità , non ostante quindi le riluttanze del fratello, il quale già vedeva che la navigazione a vela co­minciava a cedere il passo alla marcia trionfale di quella a vapore , s'interessò in un veliero che da parenti era stato impostato su questa spiaggia. Appena allestita la nave, a cui venne imposto i! nome della figlia Titì , Damiano con industre alacrità cercò di secondare il desiderio del fratello pel quale nutriva amore e rispetto filiale. Nel disimpegnare questa nuova mansione i lavori , le ansie le cure, le sollecitudini, i dispiaceri si alternarono senza tregua. I noli erano diventati scarsi e poco rimunerativi , per far quindi navigare la goletta per conto proprio co­minciò a trattare per l'imbarco anche la pomice, la pietra calcarea, le sanse, il vino, le ossa di animali, il semelino e le radici di legno brusco (alencia), che fece estirpare sino all'esaurimento in tutto il nostro territorio e che de­stinò alle fabbriche di pipe di Livorno , Calabria e Cor­sica. In questo lavoro trovarono preziosi mezzi di sostentamento, per circa dieci anni, molti contadini e traffi­canti di Cefalù e paesi vicini.

Importò il carbone vegetale dalle Maremme toscane e dalla Corsica, ritirò dalla Sardegna i giunchi, i cereali, i formaggi, e i cavallini, da Napoli le patate e la pozzo­lana e da Trapani il sale e i conci. Ma ne l'ombra assiderante del sepolcro la morte tra­volse, inesorabile, il buon Sac. Antonino, assai lacrimato dalla famiglia e da tutta la città. Nell' irruenza però del­l'angoscia fra pianti amari e schianti dolorosi , Damiano non si smarrì di animo per la perdita del suo coadiutore e moltiplicò i suoi sforzi, come l'audace domatore della montagna che, inerpicandosi di masso in masso, per gio­ghi ripidi, ebbro di fragranze nuove e ritmi e assonanze di acque precipiti, non arresta il passo stanco quando difficoltà più ardue tentano barrargli il sogno altero di soggiogare il picco aereo.

Solo nell'aspro compito di assolvere le sue mansioni, Damiano trovò un appoggio nell'unico figlio Leonardo, che contava appena 14 anni. Questi, alternando i suoi studi classici con le incombenze del commercio , poté aiutare il padre che continuò a trattare con passione e predilezione la manna. I mercati italiani per la concorrenza che vi si cominciava a stabilire non suscitando più alcun fervido interesse , pensò che tanto prezioso prodotto, specialità di pochi paesi della nostra ferace terra di Sicilia, conveniva espor­tare direttamente all'estero, dove specialmente si ricercava. Con alacrità imprese ad attuare questo suo divisamento e fece conoscere in tutti i più importanti mercati d'Europa la sua accreditata marca “Damiano Giardina “. Ma non si fermò solo alla conquista di questi mercati ed estese la sua esportazione fino alle lontane Americhe perché ivi questo prodotto trovava un più largo consumo e là ri­chiamò la colonia italiana dalla madre patria un farmaco tanto apprezzato e preferito. L'attività di Damiano Giardina si esplicò anche con succes­so nella cura industre e solerte del far coltivare le sue terre. A quest'opera attese con particolare amore e diligenza e non lesinò mai sulla mercede dei contadini e degli operai che rimunerò sempre lautamente. Con un senso di gentile   e squisita   accondiscendenza quando   costoro si presentavano per il pagamento , tralasciando ogni affare, si affrettava a soddisfarli e con un sorriso di bontà indul­gente negli occhi sereni spesso esclamava : « l'unica sod­disfazione dell'operaio è di poter stringere nelle sue mani la ricompensa subito dopo il lavoro ». La fortezza del suo carattere rigido e inflessibile nel­l'adempimento del suo dovere, e la tenacia dinnanzi agli ostacoli che tentavano sbarrargli il passo nella via ascen­sionale di elevazione e miglioramento, si aprivano in una primavera di virtù delicate nelle pareti domestiche………Abborrì la vita pubblica perché il suo animo mite non voleva travolgere nell'acre dissidio dei partiti che frantu­mano i cuori, disperdono spesso nella vacuità della pet­tegola menzogna energie gagliarde e alienano la dolce serenità dagli animi. Nella notte del 25 febbraio l'anima sua, l'ala candida schiusa verso l'infinito, volò a Dio. Sentimmo allora che con lui moriva qualche cosa an­che in noi , sentimmo allora la vita che dal cuor quasi ci usciva e sulla pallida e immota salma, versando la la­crima del dolore, spargemmo i fiori della riconoscenza.

Immagino questo sia lo stemma ( o logo che dir si voglia) della famiglia

Cefalù, Tipografia Nuova - 1924

Commenti

E' da tempo che richiamo la figura di Damiano Giardina e sono contento che tu abbia riportato questa "biografia". Vorrei soltanto aggiungere, al lungo elenco dei mercati serviti da questo grande mercante, anche la Russia zarista, dove il Giardina esportò anche l'olio di Cefalù.

Ricordarlo è un dovere e, considerato l'attuale momento, una consolazione.