Ricetta o Illusione?

Ritratto di Giuseppe Maggiore

17 Dicembre 2013, 11:50 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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                                                  “ RICETTA  o  ILLUSIONE ?” :

                                               

                                                         di Giuseppe Maggiore

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    Mi si consenta di esternare due massime, di atavica fattura, scrigni di armonica lungimiranza, che qui, credo, non disdicano:

-“potestas….et  si  supplicet cogit”

( “chi ha potere, anche se supplica, costringe” - Macrobio);

e

-“fures privatorum in nervo atque in compedibus aetatem agunt, fures publici in auro atque in porpora”

(“ i ladri dei beni privati conducono la vita in carcere e in catene, quelli dei pubblici nell’oro e nella porpora” - Catone).

                                                                  

    Prendendo le mosse da queste profonde considerazioni carche di vetusta sapienza, rispolvero un argomento per caso recepito qualche tempo fa al bar captando a tratti un dialogo alquanto animato fra due sconosciuti seduti ad un tavolinetto a qualche distanza alle mie spalle.

     Dialogo infarcito di un politicismo accanito non scevro di riferimenti sprezzanti e polemici nei riguardi del Governo, dal quale intuii chiaramente che i due interlocutori appartenevano a due partiti diversi, diametralmente all’opposto, sui cui dogmi si mantenevano in perfetto disaccordo.

    L’argomento allora, là per là, mi lasciò indifferente; ma poi, ripensandoci, lo ritenni alquanto interessante.

   Ora, però, lo voglio focalizzare in maniera critica come meglio posso, alla luce delle mie più radicate liberalistiche convinzioni, atteso che io, per indole e tradizione, sono sempre stato  “con la Legge, per la Legge e nella Legge”, sbagliata o giusta che sia e vorrei capire perché mai lo Stato possa, a volte, col suo intransigente modo di operare dare adito a determinati atteggiamenti di concitato dissenso.

   Preliminarmente, intanto, dichiaro (e ciò giustifica il mio disinteresse originario, al bar) che non sono un politico, ma soltanto un libero osservatore non condizionato da alcuna corrente di pensiero; e forse, a valutarmi bene, sono addirittura un “parvenu”, in fatto di politica, se vogliamo.

    Infatti non ho mai capito, né condiviso, né apprezzato i giuochi di potere, i maneggi politici messi in atto più per stornare il credito al proprio mulino che per favorire il cosiddetto “popolo sovrano”, di cui invece ci si dovrebbe fattivamente occupare.

    Non li giustifico e, fra l’altro, nemmeno mi interessano.

    Nè (diciamolo pure e a questo punto credo che già sia palese) amo la politica alla quale è demandato di essere un baluardo per la salute pubblica ma che, secondo il mio modestissimo parere, spesso non è altro che l’arte del dire e del non dire, del fare e del non fare, dell’ “apparire”, insomma, e non dell’ ”essere”: un trampolino per l’automagnificazione, per primeggiare, per comandare. In una parola: per farsi valere.

   Sono, poi, dell’avviso che nessuno ambisca ai posti di comando per puro altruismo. Se non tutti, una buona parte, almeno, ritengo ci vada  più per tornaconto personale che per altro.

   In tale ottica mi sovviene un noto adagio (come in altro luogo ebbi già a citare e che anche qui casca a fagiolo) di sapido effetto, espresso nel nostro più puro e immediato vernacolo, che testualmente recita che: “…u cumannari è miegghiu du futtiri!…” (sic!).

   Personalmente sono pienamente convinto del contrario.

   In ogni caso io non faccio testo, anche e soprattutto perché, essendo completamente estraneo al certame politico, come più volte ribadito, non mi sento affatto all’altezza della situazione.

    Tuttavia mi arrogo il diritto di dire la mia, dal momento che ho una voce, un cervello e anche altri specifici attributi.

    E’ vero, comunque, che Platone asseriva che “l’uomo è un animale politico”; ma ciò perché ognuno, vivendo in società ed essendo spettatore degli accadimenti che si manifestano, dovrebbe trarne delle opportune convinzioni, mercè le quali mettersi in gioco, dare una mano, fare la sua parte, insomma, agendo da attore e non da spettatore.

   Qui faccio teoria: sto parlando del cittadino perfetto, del “supercittadino”.

    Ma le perfezioni nell’iter umano, purtroppo, sono rare, per non dire rarissime; perché in pratica così come sopra ipotizzato non avviene e molti, come me, stanno a guardare e non si sprecano, sia per incapacità, per ideologìa o per indolenza.

    Seguo, comunque, i politici dibattiti televisivi condotti spartanamente, più per apprezzare la dialettica degli interventi e il modo di porsi degli intervenuti che per altro.

    Posto ciò e disquisendo di politica, mettendovi il naso, io che (con buona pace di Platone e di quant’altri ne seguono le teorie) non la pratico né l’apprezzo, come ho esplicato, mi chiedo se sia ammissibile nell’attuale situazione socio-economica  nostrana, squinternata, col debito pubblico alle stelle (e chi ve l’ha portata a questo stadio non è chiaro; non, comunque, il “popolo sovrano”), con la corruzione che dilaga e che pare non debba arrestarsi mai, tutto ciò malgrado le buone intenzioni programmatiche di chi dirige la baracca (buoni propositi e strategìe che si risolvono immancabilmente nel modo più facile e più a portata di mano, quello dell’aumento delle tasse e chi è furbo se la svigna), se è ammissibile, dicevo, che non si ravvisino rimedi, credo semplici e opportuni, validi a far sì che tale precario stato di cose si risolva onorevolmente una volta per tutte ottenendo che si venga sgravati da tutti quei balzelli e da tutte quelle vessazioni  burocratiche  che ci condizionano la vita e la salute, in maniera tale da rendere possibile e non lontana anche la tanto declamata crescita?

    Che sia di sprone, a chi di competenza, il pensiero di quei poveri disgraziati che si sono, or non è gran tempo e tutt’ora,  suicidati per questioni economiche!

    Se una soluzione lampante, com’è quella di evitare gli sprechi e di ridimensionare e razionalizzare le spese del potere, viene scartata o comunque se se ne ritarda l’attuazione adducendo incomprensibili e ingiustificabili motivazioni eterogenee, ciò significa che a qualcuno non conviene farla. Ecco tutto.

   E allora, quale mai pensiero mi partorisce la mente, forse sprovveduta, ma sincera, non adusa, in realtà, ad individuare salvifiche ideologìe soprattutto nell’attuale clima economico a dir poco vessante?

   Ci vuol tanto, mi ripeto, per Chi è delegato a decidere e a legiferare, ci vuol tanto a valutare le possibili soluzioni che sono sotto gli occhi di tutti per evitare le astrusità di una situazione sociale soffocante che arriva sino all’assurdo e che fa sì che due non meglio identificati politicastri in un frequentatissimo bar di periferia possano inveire contro una ipotetica latitanza dello Stato offrendo un indecoroso spettacolo incivile e incostruttivo?

  Ritengo, forse a torto, che una certa ricetta probante potrebbe invenirsi facilmente per contribuire a dipanare il delicato presente frangente.

  E’ chiaro, intanto, che bisogna cuocersi nel proprio brodo, come si dice, senza essere condizionati da ingerenze esterofile.

   Il nostro Paese ha in sé le potenzialità necessarie per farcela, per risalire il baratro; è necessario soltanto che, con una presa di coscienza decisiva, forte (e forse anche impopolare per certi puritani interessati), si agisca con coraggio e determinazione procedendo a razionali riforme; anche andando controcorrente.               

   Ribadisco: il problema primario è sgravare il cittadino dalle enormi tasse che gli sono state appioppate col propalato lodevole intento di ripianare il debito pubblico e di salvare l’economia; perché è da tener ben presente (e questo lo capiscono tutti!) che non vi potrà mai essere  “ripresa” o “crescita” né “risorgimento” se l’esiguo reddito del cittadino non gli consente di spendere.

   In buona sostanza, e qui mi rivolgo ai Governanti, non si può salvare il Paese soffocandone gli abitanti!

   Credo opportuno a questo stadio riproporre l’ode dell’Alfieri:,“La Repubblica”, che recita testualmente:

 

“…è Repubblica il suolo, ove divine

leggi son base a umane leggi, e scudo;

ove null’uomo impunemente crudo

all’uom può farsi, e ognuno ha il suo confine;

ove non è chi mi sgomenti, o inchine;

ov’io il cuore e la mente appien dischiudo;

ov’io di ricco non son fatto ignudo;

ove a ciascun il ben di tutti è fine.

E’ Repubblica il suolo, ove illibati

costumi han forza e il giusto sol primeggia,

né i tristi van del pianto altrui beati…” (sic!)

 

   E’ possibile che nell’attuale momento storico tale monito calzi a pennello.

   Signori miei, quando uno è naufrago e si trova in alto mare senza soccorsi esterni di sorta deve necessariamente “nuotare”! Se è fortunato, può aggrapparsi alla prima trave o tavola che trova, anche se rabberciata o piena di chiodi, senza far tanto lo schizzinoso. E’ il momento di necessità che condiziona le scelte e che invita ad aiutarsi da sè.

   Ricordiamoci, inoltre, che lo stesso Platone assumeva anche che lo Stato deve tendere alla felicità del cittadino e non viceversa, come usualmente avviene che è proprio il cittadino che concorre al benessere dello Stato!

   Perché, quando lo Stato è in difficoltà, prende, mentre il cittadino che ha bisogno può sperare solo nella bontà del Cielo.

   E allora, che si potrebbe fare?

   Ipotizzo, qui appresso, alcune possibili strategie da mettere in atto per rinsanguare le casse dello Stato,  senza pretendere che possano essere quelle giuste o risolutive.

   Non sarebbe il caso, per iniziare, di ridurre sensibilmente e senza indugi il numero dei Parlamentari ridimensionandone gli emolumenti?

  Gente che in un anno percepisce oltre 200.000,00 euro, pagati da noi contribuenti, quando c’è chi campa con soli 7 mila e anche con meno ed ha pure famiglia!

   E’ un dualismo inconcepibile che superstipendi o superpensioni vengano erogati a persone fisiche, per quanto occupino poltrone di rilievo, quando ci sono famiglie che letteralmente muoiono di fame!

    Non è una vergogna che alcuni possano essere pagati tanto in un clima di evidente disparità sociale avvilente?

    E’ intuitivo e umano che tali beneficati non siano d’accordo su una riduzione del proprio appannaggio; e chi lo sarebbe?  Ma bisogna essere decisi fattivi e rapidi nella modifica di questo stato di cose!

    Non sarebbe pure il caso di cassare certi ministeri o uffici che non servono a granchè e le cui incombenze potrebbero opportunamente essere accorpate a quelle di altri uffici, stante che, attese  le consolidate “pause caffè” i “permessi” personali o le “assenze” per pseudo malattie o per altro consimile,  l’operosità langue?

    Si snellisca al 90%, una volta per tutte, la burocrazia.

    E’ mai possibile che per realizzare qualcosa si debban fare cento domande scritte? Passare da un ufficio ad un altro per poi ritornare al primo?

   Il tutto fomenta la confusione che è il motivo primo di certe carenze.

   Si snellisca, altresì, anche  la burocrazia fiscale e, soprattutto, ripeto, se ne abbassi il gravame se si vuole parlare di “crescita”.

   Come mai (e qui ribatto il chiodo fisso) vi può essere “crescita” in una situazione precaria in cui gli emolumenti pro capite, per i balzelli imposti e per il continuo crescere dei prezzi, non consentono al cittadino neanche di comprare la quotidiana spesa?

   Praticamente quasi tutto il reddito percepito da ciascuno, oggi come oggi, deve essere accantonato per pagare le tasse! Almeno, a me capita così!

   Si lascino liberi i cittadini di intraprendere qualsiasi professione produttiva vogliano, non condizionandoli con farraginose e scoraggianti imposizioni normative che rallentino o blocchino le iniziative più volenterose.

   C’è, purtroppo, da osservare che il Legislatore, in tutti i campi, sforzandosi di far cose opportune e giuste, le arzigogola talmente che finisce invariabilmente col far cose sbagliate, o per lo meno, contrarie all’equità e, comunque, non favorevoli ai bisogni del contribuente.

   Si tolga sotto qualsiasi forma il finanziamento pubblico ai Partiti (finanziamento che, fra l’altro, mi pare sia stato abrogato, or non è guari, con un referendum, suffragato da una recente disposizione apposita).

  Che i Partiti si sostengano da sé, col tesseramento e con l’autofinanziamento o con qualsiasi altro mezzo lecito!

  Si annulli qualsiasi erogazione all’Editoria, ove vi sia.

  Si renda appetibile l’agricoltura con facilitazioni, sgravi fiscali, contributi e quant’altro, in maniera che tanti giovani, che oggi si indirizzano alla laurea e che poi “passeggiano” in attesa di un “posto” sempre ambito e che nella stragrande maggioranza dei casi non arriva mai, vi si indirizzino trovando una loro dimensione lavorativa e un avvenire.

  Ci si ricordi che il nostro sostentamento primario proviene proprio dall’agricoltura e dalle produzioni collaterali, il cui pieno sviluppo potrebbe riflettersi favorevolmente anche sulla bilancia dei pagamenti.

  Si liberalizzi l’edilizia che rappresenta l’elemento portante del benessere sociale e dell’occupazione.

   Ma cosa intendo, io, per liberalizzazione dell’edilizia?

Non certamente una libertà selvaggia che induca ad una irresponsabile cementificazione o a un irrazionale sfruttamento delle aree; ma, partendo dalla concezione che tutti i terreni dovrebbero essere mondati da ogni catalogazione di sorta (aree edificabili, di rispetto, agricoli ecc.) e che, invece, dovrebbero avere lo stesso valore e le stesse potenzialità costruttive, ogni progetto edile avanzato dovrebbe essere valutato caso per caso senza restrizioni di sorta e non “bocciato” a priori se lo stesso insiste su un terreno sul quale oggi viene vietata l’edificabilità.

   In buona sostanza, se esso progetto edile non ricade su un terreno sito in zone  archeologiche o idrologicamente dissestate e se si eseguono le opere progettate  nel rispetto delle norme costruttive previste lo si dovrebbe consentire senza impedimenti o ritardi.

   A questo proposito ci si vuol rendere conto una buona volta per tutte di quanto incasserebbero i Comuni se ad ognuno fosse consentito di costruire od ingrandire la propria casa secondo le proprie esigenze familiari, in campagna soprattutto, pagandone dovutamente gli oneri previsti in rapporto all’ampiezza del manufatto realizzato?

   E poi, sempre in tema di edilizia, è mai possibile che il settore debba essere appesantito da disposizioni vessanti che non riesco a giustificare (i miei accentuati limiti mentali mi vietano di pervenire alla comprensione dei dettami vigenti in materia!), quali, ad esempio: l’obbligo della planimetria dell’immobile e dell’attestato energetico, documenti da allegare nei trasferimenti di proprietà e financo negli affitti o quell’altro di chiedere la preventiva autorizzazione al Comune se si varia la divisione interna dei locali di un appartamento o si sposta, che so, l’angolo cottura, il gabinetto da un vano all’altro?  

    Che cosa può importare all’Ente Locale, ultima propaggine dello Stato, mi chiedo, se in casa propria e senza arrecare disturbo alcuno a terzi un cittadino dia corso a consimili modifiche pur rispettando le regole di stabilità dell’immobile, opere che potrebbero essere comprovate da una semplice autocertificazione giurata a lavori ultimati?

   Ammenochè lo Stato con tali normative non intenda incrementare il lavoro dei Tecnici, che, magari, si dibattono in frequenti periodi di magra.

   Le attuali generali direttive indurrebbero a pensare, di certo erroneamente, che si sia governati da una dittatura democratica o da una democrazia dittatoriale che abbia il perverso gusto di vessare e di difficoltare ogni iniziativa.

   E poi, ancora, non ci si accodi ciecamente a certe imposizioni europee che, non considerando affatto le diversità delle regioni interessate, emanano regole improprie ed economicamente opprimenti: mi riferisco preminentemente al fatto che, adesso, per esempio, è anche vietato bruciare la sterpaglia che viene raccolta in campagna per la pulizia dei terreni, ma che bisogna, invece, provvedere allo smaltimento della stessa in maniera alquanto onerosa soprattutto per chi ha le tasche vuote in un momento storico particolarmente delicato come l’attuale.

   Si smetta, inoltre, di operare interventi militari all’estero con esborsi non indifferenti e con deprecabile spreco di vite umane. Il contingente militare andrebbe impiegato, oltre che per la destinazione propria di difesa della Patria, anche come supporto alle Forze dell’Ordine.

   Si rivedano coscienziosamente sia il Codice Civile che quello Penale.

   E’ mai possibile, per quanto attiene al primo, che una causa possa durare trent’anni e per quanto attiene al secondo che sanzioni di natura esclusivamente amministrativa (quali il bruciare sterpi o il costruire abusivamente e altri consimili) entrino anche nel Codice Penale?

   Si operi una inversione di rotta, come dicevo prima, insomma: culturale, ideologica e pratica!

   Si abbiano il coraggio e la volontà di fare una riforma definitiva e razionale; se no, sic stantibus rebus, c’è da credere a qualche eminente oratore quando in periodo elettorale da un pubblico palco tuona (così come ha tuonato!) con evidente foga alla folla raccolta ad ascoltarlo che lo “..Stato è nemico del cittadino!…” (sic|).

   Come si può mai avere il senso dello Stato (avere il “senso dello Stato” è imprescindibile in una realtà sociale moderna, civile ed avveduta), come hanno chiosato valenti Uomini, in una siffatta intricata situazione legislativa dove primeggiano balzelli e sanzioni e dove i diritti sono soffocati  dalla complessità dei doveri?

   Ci si ricordi, infine, che, a detta di grandi filosofi, l’uomo è il re dell’universo.

   Ma è senza regno. E diamoglielo!

   Questa che son venuto tracciando, potrebbe essere una ricetta,  un sogno, o l’elucubrazione di un illuso?

 Mah!

 

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Dicembre 2013.

                                                                                                                                                     Giuseppe Maggiore