Al mio Amico Cane “Gigetto”

Ritratto di Giuseppe Maggiore

22 Dicembre 2013, 10:18 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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AL MIO AMICO CANE  “Gigetto”
di Giuseppe Maggiore

 

Il cane s’è dissolto.
Nel buio è sprofondato;
or che io l’ho sepolto
mi par che sia beato.

Lontan da sofferenze
che tanto l’hanno afflitto,
placido dorme in terra
ormai del tutto invitto!.

Ieri già stava male,
non si poteva alzare;
sentendo la mia voce
provò a scodinzolare.

Fu tentativo estremo,
frutto d’estremo  affetto!
Compresi il tuo finire,
mio povero Gigetto!

Mentr’eri steso a terra
ti carezzai commosso;
silente m’osservasti
ma manco ti sei  mosso.

Guardandoti ne gli occhi,
afflitto da gran pena,
rimembro il tuo vigore
e la costante lena

quando un periglio incerto
turbava la tua pace.
Nella difesa nostra
mostraviti tenace!

Con me hai condiviso
le gioie e l’amarezze
di questa grama vita
ricolma d’incertezze;

e quando ti chiosavo
di mene a me usuali,
quasi da te comprese,
gl’indirizzavi strali

col tuo guair sommesso
fraterno e confortante,
pregno di confidenza
molto per me  importante. 

Poi strofinavi il capo
contro il mio pantalone
(qual fossi io il tuo dio)
con molta devozione.

Diec’ianni fa venisti
un tuo padron lasciando
e  noi tu preferisti
nuovo padron cercando.

T’accolsimo contenti
perché  bel cane eri,
col pelo vellutato,
coi guardi sempre fieri.

Quando pel caso tristo
ti colse qualche acciacco,
ci prodigammo tutti
per dare al male smacco!

Ma or, malgrado cure
e farmaci prescritti,
malgrado il nostro impegno
restammo derelitti!

Non sei riuscito, Gigi,
sia per l’età o pel male,
a contrastare il morbo
che ti colpì, letale.

Tu, col fraterno viso,
compreso hai il tristo danno
e col tuo guardo mite
molcevi il nostro affanno.

Anche per te la vita
ha tribolato eventi,
che niuno può scansare,
né scegliere altrimenti.

Il tuo abbaiar mi manca,
mi manca il tuo calore;
questa tua triste assenza
mi  rende afflitto il cuore.

Quanti ricordi, Amico,
m’affollano la mente,
dilaniano il mio petto,
ritornano sovente.

Or, per stornar le mosche,
che, attratte dal sentore
della vicina fine,
s’appressan con fervore,

sopra  ti  stesi un peplo
e ti portai da bere;
ma tu storcesti il muso.
Che triste era il vedere!

Tentai con la siringa
di irrorar la bocca;
ma tu non accettasti
la mia azione sciocca.

Infatti da due giorni
tu digiunavi, inerte,
e manco al  buon tritato
mostravi fauci aperte.

Nient’altro potea fare
per mitigare il fato;
afflitto me ne andai
ed oggi son tornato.

Giacevi fuor del peplo
col qual t’avea coperto,
vicino a quella buca
che io avea aperto.

Il tuo sopir sereno
senza respiro o moto
contezza m’ha fornito
d’un’indicibil  vuoto.

Ti presi con dolcezza
per non turbarti il sonno;
ti stesi nel giaciglio
qual fossi padre o nonno.

Ti ricopersi, quindi,
col plepo c’havea usato
per ricoprirti il dorso
da mosche disturbato,

vi posi sopra un fiore
raccolto nel giardino
e ricoprii la buca
con del terreno fino.

Gigetto  se n’è ito
ne le superne sfere;
ormai solo il ricordo
popolerà le sere.

Ma  là, ne la campagna
che gli fu patria avita
ei giace onnipresente
per tutta la mia vita!

 

Cefalù, 6 Giugno 2012                     Giuseppe Maggiore

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