La Via Crucis

Ritratto di Quale Cefalù

16 Gennaio 2014, 17:02 - Quale Cefalù   [suoi interventi e commenti]

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In occasione dell’inaugurazione (avvenuta il 12 Gennaio 2014) della Sala Congressi intitolata al compianto Sac. Mons. Carmelo Serio, facente parte dei locali parrocchiali della Chiesa dello Spirito Santo di nuova costruzione nella contrada Pacenzia di questa città, il Maestro Giuseppe Forte ha donato alla Parrocchia 15 tavole pittoriche dallo Stesso realizzate su coperchi di botte e raffiguranti la Via Crucis.

La raccolta è stata già esposta alla pubblica fruizione dall’8 al 16 Aprile del 2006 nei locali dell’Ottagono di Santa Caterina in Cefalù con inclusione in catalogo.

Si riporta una recensione a firma di Giuseppe Maggiore del 9 Aprile dello stesso anno.

Personale “Legno di-vino” del pittore cefaludese Giuseppe Forte

Le 15 opere esposte al "Santa-Caterina" in Cefalù, realizzate su coperchi e fondi di vecchie botti con le sconnessure proprie del legno e del tempo, attributi che le rendono più veridiche e credibili, e che focalizzano lo storico tema della "Via Crucis", rivelano nell'autore: TALENTO, PASSIONE e MANIERA.

Ma, soprattutto, MOVIMENTO. Azione scenografica in progressione. "Tutto scorre".

 
Il talento è innegabile. E' standardizzato da una poliedrica professionalità pluriennale sempre sulla cresta dell'onda: intensità di sguardi, profondità di espressioni dei vari attori del dramma, dinamicità della composizione, espressività di colori.
La passione per la disciplina prescelta si riscontra nella meticolosità della definizione del particolare e nella laboriosità della costruzione scenica; la maniera, nello stile scarno ma efficace, non ampolloso ma incisivo, che si avvale della massima spontaneità nel tratteggio; prerogative che rappresentano una costante ineludibile in tutta la pittura di Pippo Forte.
 
 
Al di là del cennato particolare abusato argomento tanto prediletto dalla passata iconografia, le opere esposte evidenziano la metaforica trasposizione artistica e, direi anche, cinematografica della dimensione umana del dolore, della sofferenza, del sacrificio, dell'ingiustizia e della conseguente crudeltà. E’ una rappresentazione esaustiva, quella che ci viene porta, da cui emana un profondo leitmotiv escatologico che trasmette un impulso effossorio alle nostre anime.
E, inoltre: la luce profusa, prodotta dal colore, la sua convergenza verso il dettaglio clou della composizione, il dipanarsi dell'immagine nell'arco narrativo del cerchio, tutto cattura l’ attenzione di chi guarda e ne coinvolge lo spirito.
 
 
Il colore usato da Forte, soprattutto in questa sua composta "Via Crucis", è sempre "attivo", predominante, volto alla considerazione del pleroma.
La strategia della sua tecnica stigmatizza le figure modulando linee allungate in uno spazio concentrico; esse linee segnano i volti dei personaggi, scavano nelle figure per darne l'anima, fanno emergere il pathos racchiuso, espresso solo con l'intensità del lo sguardo, con la sua direzionalità e con la microfisionomia dei volti dei vari personaggi in campo. Lo stesso tondino nero della pupilla trasuda dramma, le palpebre chiuse covano dolore, angoscia, rassegnazione alla sofferenza, accettata più che combattuta, difesa più che osteggiata, assunta a sinonimo di linfa vitale e di fine ultimo della terrena esistenza.
 
 
La visione ci coinvolge nella tragedia.
Di contro, il contrasto con la radiosità del Volto Divino nella trasfigurazione della Resurrezione genera un'intima pace e inneggia al riposo dell'anima. La quiete dopo la tempesta.
"M'illumino d'immenso" avrebbe detto Ungaretti.
E qui è l'espediente, la "trovata", lo specifico creativo: i tondi delle botti. "..Felicissima gag di regia..." oserei definire, come annota Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo mirifico testo (II Gattopardo) "...paragonabile in efficacia addirittura alla carrozzella di bambini di Eisenstein...".
 

Pippo Forte in questa sua recente fatica pittorica ha espresso la summa della sua concezione del sacro. Secondo me, tenuto conto, del "movimento" visualizzato nelle immagini, egli non ha rivissuto dei momenti di vita fissandoli sul legno ma ha realizzato un film. Infatti "tutto scorre" nella loro dinamica: la successione, il "montaggio". Il ritmo della composizione è una scansione filmica, una metrica cinematografica ineludibile di efficace impatto nel presente quotidiano, dove, appunto, il "movimento" e lo specifico esistenziale. Mi vien da considerare questa sua personale sulla "Via Crucis" come la tesi di laurea di una personalità artistica che con molta umiltà e certosina abnegazione, ma con intensa sagacia, si è sempre proficuamente proposta alla pubblica fruizione.

Cefalù, 9 Aprile 2006                                                                                                                            Pippo Maggiore