Cefalù e l’Eroe dei due mondi

Ritratto di Carlo La Calce

21 Ottobre 2014, 09:11 - Carlo La Calce   [suoi interventi e commenti]

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LA STORIA E LA MEMORIA

CEFALU’ E L’EROE DEI DUE MONDI

Il Proclama della Delegazione, gli Atti della Dittatura di Sicilia, il discorso di Garibaldi

Un recente articolo del Giornale di Sicilia dal titolo “La storia e la memoria”, incentrato sul ritrovamento del relitto del “Lombardo”, uno dei due piroscafi – l’altro era il “Piemonte” – che trasportarono Garibaldi e i Mille da Quarto a Marsala, auspicando il recupero dei resti dell’imbarcazione, sottolineava la grande importanza di mantenere viva la memoria di una pagina così rilevante e significativa della nostra storia.
La lettura dell’articolo mi ha fornito un valido spunto per riaccendere una luce sulle “memorie garibaldine” di Cefalù, su personaggi, fatti e documenti, cioè, strettamente legati al Risorgimento, le cui profonde inquietudini e i cui straordinari fermenti di libertà furono con pieno coinvolgimento vissuti anche a Cefalù.

 

Il Proclama della Deputazione di Cefalù

Dopo la vittoria nell’epica battaglia di Calatafimi, uno degli episodi più decisivi della Spedizione dei Mille, combattuta il 15 maggio 1860, e dopo i combattimenti di Palermo e la capitolazione della città, una colonna di garibaldini, guidata dal Generale Medici (altre due colonne, una agli ordini di Turr e l’altra sotto il comando di Bixio, marciando rispettivamente verso Catania e verso Girgenti, si riuniranno con la prima a Messina), inizia - alla fine di giugno - la marcia, lungo la costa, per Cefalù, da dove poi muoverà alla volta di Milazzo, forte saldamente presidiato da consistenti truppe borboniche. L’Eroe dei due mondi non è alla testa dei suoi. Si è trattenuto a Palermo, da dove si imbarcherà successivamente alla volta di Patti, per ricongiungersi quindi con le truppe a Milazzo.
Ancor prima del passaggio delle Camicie rosse, il 2 giugno, la Deputazione di Cefalù (composta dal Barone di Mandralisca, Presidente del Consiglio Civico, dal Barone di Bordonaro e da Giuseppe Cirincione) ha emanato un Proclama direttamente rivolto al Generale.
Nel Proclama Garibaldi è accostato a Timoleonte (lo stratega greco che - animato da alti ideali di libertà e democrazia – nel IV sec. a.C. aveva posto fine alla tirannide di Dionisio a Siracusa), è salutato “Salvatore della libertà e della indipendenza” e acclamato “Dittatore di Sicilia a nome di S.M. il Re d’ Italia Vittorio Emanuele”.
La Deputazione non manca poi di rivendicare con orgoglio lo spirito di libertà e di indipendenza proprio dei Cefaludesi e il pesante tributo offerto da Cefalù alla causa della Unità nel ʹ49 e nel ʹ56 (il riferimento è naturalmente al “martire” Salvatore Spinuzza e ai suoi compagni, brutalmente torturati dalla polizia borbonica dopo la cattura, prima della loro condanna *).

* vedi Appendice

Il testo originale

 

Gli Atti della Dittatura di Sicilia riguardanti Cefalù
tratti dalla “Collezione delle Leggi, Decreti e Disposizioni Governative compilata dall’Avvocato Nicolò Porcelli, a cura del tipografo Franco Carini”, Palermo 1860

 

Decreto N. 1, dell’ 11 maggio 1860, con cui Garibaldi, in nome di Vittorio Emanuele Re d’ Italia, assume la Dittatura in Sicilia

 

Decreto N. 32, del 3 giugno 1860, con cui l’ Avvocato Giacinto Scelsi è nominato Governatore del Distretto di Cefalù

 

Decreto N. 153, del 3 luglio 1860, con cui il Sig. Carlo Botta è nominato Comandante dei Militi a cavallo del Distretto di Cefalù

 

Decreto N. 276, del 26 luglio 1860, con cui i Signori Giuseppe La Calce ed Ignazio Geraci
sono nominati Giudici della Commissioine Speciale
di Cefalù, invece dei Signori Giuseppe Cirincione e Salvatore Fava

 

Decreto N. 286, del 30 luglio 1860, con cui il Cav. Salvatore Ortolani è nominato Ricevitore Distrettuale di Cefalù,
invece del
Sig. Vincenzo Fratantoni

 

 

Il discorso di Garibaldi a Cefalù

Poco più di un anno è trascorso dalla Proclamazione del Regno d’Italia ma al compimento dell’Unità mancano ancora Roma e Venezia.
Garibaldi (che dal 3 febbraio 1861 è Deputato al Parlamento del Regno), indignato per i “fatti di Sarnico” *, il 28 giugno 1862, lasciata Caprera senza mettere alcuno al corrente dello scopo del viaggio, sbarca a Palermo, accolto trionfalmente dalla città.
Inizia a ripercorrere i luoghi dell’Epopea del 1860 e la mattina del 5 luglio è a Cefalù.
Tra gli “applausi e le grida clamorose” della popolazione, dal balcone della Casa Comunale (nell’attuale Via Amendola), pronuncia un discorso appassionato, diretto e privo di orpelli.
E’ un discorso importante perché – anticipando il più noto discorso del Foro Italico di Palermo del 25 luglio – delinea chiaramente i motivi che hanno ricondotto in Sicilia il Generale: ravvivare lo spirito unitario e mettere in guardia contro le fazioni borboniche e autonomistiche che (forti del malcontento popolare nei confronti del Governo) tentano di riemergere; fare della Sicilia la base per la conquista di Roma, difesa dall’esercito di Napoleone III, additato quest’ ultimo, con dispregio, come “l’assoluto, l’uomo del due dicembre a Parigi, che inondò le strade di sangue cittadino” **.
Grande è anche la diffidenza manifestata nei confronti della Russia, che subordina il riconoscimento del neonato Regno d’Italia alla espulsione dei profughi polacchi rifugiati nella penisola, verso i quali il Generale sostiene, al contrario, il dovere dell’ accoglienza.
Nel finale del suo discorso Garibaldi non risparmia poi un “affondo” alla Chiesa e al Clero, ammonendo la popolazione a sapere distinguere tra “buoni Preti”, amici del popolo, e “cattivi Preti”, nemici del popolo, e attaccando duramente perfino il Vescovo della stessa Cefalù.
Con le parole “Vi ringrazio per la bella accoglienza fattami. Addio”, tra “applausi e grida clamorose”, l’Eroe dei due mondi infine si congeda.
Una lapide ricorda ancora oggi lo storico evento.

* Nella primavera del 1862, nella località bergamasca, era stato fermato militarmente dal governo Rattazzi un piano (appoggiato da Garibaldi) di sollevazione del Trentino ad opera di volontari capitanati dal patriota Francesco Nullo

** Luigi Napoleone Bonaparte il 2 dicembre 1851 pose fine con un colpo di Stato alla Seconda Repubblica, proclamandosi Imperatore dei Francesi con il nome di Napoleone III. La resistenza dei repubblicani e dei democratici al colpo di Stato fu repressa militarmente, provocando migliaia di morti.

Il testo originale

 

Combattimenti dei Mille a Calatafimi e Palermo

La battaglia di Calatafimi, combattuta il 15 maggio 1860, olio su tela di R. Legat

In un momento critico del combattimento, rivolto a Nino Bixio, Garibaldi avrebbe pronunciato la famosa frase: “Qui si fa l’Italia o si muore”

 

Tre momenti della presa di Palermo, nei dipinti di G. Nodari
- La battaglia del Ponte dell’Ammiraglio
- L’assalto alla Fiera Vecchia
- La preparazione delle barricate nel centro cittadino

 

Appendice

Salvatore Spinuzza
(Cefalù 1820 – 1857)

E’ stato uno dei maggiori protagonisti del Risorgimento cefaludese.
Per avere partecipato nel 1848 all’insurrezione antiborbonica a Palermo, aveva subito un primo arresto al quale era seguita nel 1853 la condanna a tre anni di carcere duro scontati a Favignana.
Il 25 novembre, dopo avere subito un terzo arresto ed essere stato liberato dai patrioti, guidava l’insurrezione contro la Monarchia borbonica a Cefalù, alla quale partecipavano anche Carlo e Nicola Botta, Alessandro Guarnera, Andrea Maggio e Cesare Civello (il solo non cefaludese).
Il moto veniva però represso dal governo borbonico e Salvatore Spinuzza, catturato con gli altri insorti a Pettineo dopo una caccia spietata da parte degli uomini di Maniscalco, veniva condannato alla pena capitale.
La fucilazione avveniva a Cefalù, a Porta Terra (l’attuale Piazza Garibaldi), il 14 marzo 1857 ed è famosa la frase dal patriota pronunciata prima dell’ esecuzione: “Possa il sangue mio e dell’ amico Francesco Bentivegna essere la salvezza della Patria”.
Nel luogo dell’esecuzione, all’eroe cefaludese fu eretto un monumento che ne ricorda ancora oggi il sacrificio.

 

Note

  • Nei confronti dei patrioti cefaludesi il Capo della Polizia borbonica, Salvatore Maniscalco, usò metodi repressivi efferati (dopo la cattura gli insorti subirono la tortura con la famigerata “cuffia del silenzio”, barbaro strumento che impediva ai prigionieri l’emissione delle urla di dolore)
  • I fratelli Carlo e Nicola Botta, Andrea Maggio e Alessandro Guarnera, condannati con lo Spinuzza a morte, ebbero commutata la pena nei lavori forzati a vita (nell’isola di Favignana) e vennero liberati nel 1860, dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia.
  • Dopo la loro liberazione, ricevuto l’abbraccio commosso e riconoscente del Generale, entrarono a far parte dell’ Esercito MeridionaleCesare Civello riuscì a fuggire prima del processo, riparando a Malta.
  • Francesco Bentivegna, patriota corleonese strettamente collegato a Spinuzza, il 22 novembre 1856 aveva guidato un tentativo di insurrezione in alcuni comuni dell’entroterra palermitano. Catturato e condannato a morte dal tribunale militare, fu fucilato a Mezzojuso il 20 dicembre 1856. Dopo l'esecuzione la condanna fu annullata poiché in appello fu ritenuto che la competenza spettasse al tribunale ordinario

 

Il monumento a Salvatore Spinuzza