Quadretto d'autore

Ritratto di Giuseppe Maggiore

14 Settembre 2017, 14:47 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

Versione stampabileInvia per email

QUADRETTO  D’AUTORE

(… così è… se vi pare…)

 

Qualche giorno fa…

Un sogno strano, inusitato, rocambolesco, ermetico, curioso ed inspiegabile, venuto fuori di getto senza che gli elementi che possano averlo preordinato abbiano avuto un qualsiasi riscontro con accadimenti precedentemente vissuti nella realtà del quotidiano, ha occupato stanotte il mio cervello.

Un sogno senza capo né coda, senza costrutto o quant’altro, che non ha mancato di farmi alzare, stamattina, col mal di testa.

Al fatto: ho sognato che in una giornata imprecisata, in una via di questo millenario centro, credo, sicuramente il Corso Ruggero, strada completamente deserta e con i lampioni accessi quantunque ci si trovasse in pieno giorno, vuota, quindi, di persone, di animali e di cose, tranne me che staziono, non so perché, in un angolo a ridosso di un fabbricato, vedo venire dal fondo di essa, correndo come un pazzo, il mio giovane sessantenne (a sessant’anni ci si può sentire ancora giovani dal momento che, oggi, anche ad ottanta, pare che si viva una terza primavera) amico Antonio (taccio volutamente il cognome perché sarebbe un di più, essendo egli universalmente conosciuto ed apprezzato), letterato di ultima generazione, vessillo vincente in una economia poetica che qui si espande a vista d’occhio.

È scalzo e porta calzoni corti che gli arrivano al ginocchio. Nella destra tiene per l’arcuato manico metallico un grosso secchio cilindrico che per effetto della corsa si dondola ad ogni passo del podista.

Antonio viene avanti di carriera, dunque, incessantemente gridando a perdifiato: “lasciatemi passare… lasciatemi passare!!!” pur non essendoci nessuno a contrastargli il passo, né, tantomeno, essendoci assembramento di gente; mi sorpassa a velocità sostenuta senza neanche accorgersi di me e si allontana verso il fondo della via senza rallentare, scomparendo, infine, alla vista sul fondo.

Addirittura la desolazione del luogo con la sua totale mancanza di vita (neppure le colombe svolazzano nell’aria), più un viale di cimitero che strada cittadina, stranamente mi porta alla memoria la scena iniziale del film “Il posto delle fragole” di Bergman, dove un carro funebre che procede stranamente senza cocchiere s’impiglia con una ruota in un lampione e con gli strattoni fatti per divincolarsi fà scivolar fuori una bara dalla quale, scardinandosi il coperchio, fuoriesce il braccio del defunto che, poi, guarda caso, appartiene ad un personaggio (Victor Sjostrom) identico a quello che lo sta ad osservare.

Ma qui, in questo mio sogno, non solo non compare nessun carro funebre, né ectoplasmi, ma nemmeno un gatto che di solito attraversa la strada da un marciapiedi all’altro. C’è solo Antonio, il cui scappare con foga può indurre a pensare che sia inseguito da una ipotetica turba di cani inferociti, dal momento che creditori pare  non ne abbia.

A questo punto, Giuda infame, sul più bello, senza poter assistere al finale della sequenza, mi sveglio di soprassalto infastidito da una zanzara (che poi non riesco a capacitarmi perché tale specie sia stata creata; a che serve, assieme a tante altre negatività, se non a molestare l’essere umano tanto amato dalla misericordia di una Entità Superiore che l’avrebbe voluto creare (o che l’abbia creato) “… a Sua immagine e simiglianza?…”) che ha eletto come piano di atterraggio la mia guancia sinistra e che, certamente, si appresta a pungermi. Ma io, svegliandomi ex abrupto, la precedo neutralizzando le sue malefiche intenzioni.

Con le membra ancora intorpidite dal sonno mi rigiro nel letto disfatto; mia moglie s’è già alzata per tempo ed un odore acuto di caffè pervade l’ambiente e mi dà contezza del suo lavoro in cucina. Svogliatamente guardo l’orologio: sono già le sette del mattino.

Mi stropiccio gli occhi ancora sonnacchiosi.

Mi sento frastornato e comincio a lambiccarmi il cervello per cercare di spiegare, al lume della riconquistata ragione, questa digressione mentale occorsami.

Ma niente! Non riesco a venire a capo di nulla. Un enigma, un rompicapo, un rebus, l’allucinazione che ha occupato il mio cervello durante la notte.

Mai e poi mai m’è capitato di immaginare Antonio così, scalzo, con i calzoni corti, con un secchio in mano, correre gridando a gran voce “lasciatemi passare!” in una strada completamente deserta ed illuminata dai lampioni che fanno un originale contrasto con un una giornata ovattata da un diffuso chiarore lattescente.

Che significa tutto ciò?

La curiosità è troppo grande per tentare di arginarla. Si, ma che fare? Ripasso in maniera inconcludente nella mente l’avvenuto, considerandone attentamente tutti gli elementi e resto più confuso di prima.

Ad un certo momento mi arrendo e mi appiglio alla convinzione che è necessario chiedere aiuto a qualcuno ben introdotto nell’interpretazione del materiale onirico; a qualche sapiente, insomma, che sappia sceverarne il senso.

Si, ma a chi? Chi sarebbe in grado di interpretare i lati oscuri di un incoerente fantasìa notturna?

Non mi sovviene alcun nome di intellettuale capace di una simile impresa. Ci vorrebbe, certamente uno studioso della levatura di un Freud per riuscire a dipanare la matassa.

Già Freud! Ma Sigmund è trapassato da tempo a miglior vita (e poi, perché migliore? Che ne sappiamo se l’aldilà, che noi definiamo condizione migliore della presente, non risulti una sonora presa per i fondelli, un buio assoluto, un ritornare là dove eravamo prima, nel niente più ancestrale, non essendo mai tornato nessuno da quella landa oscura ad illuminarci sulla realtà delle cose?) e, pertanto, l’idea di poter usufruire della sua saggezza (saggezza che, come avvedutamente assume la valentissima Nella Viglianti, Maestra di vita al Liceo Classico “Ugdulena” in quel di Termini Imerese nonché moglie del mio carissimo amico Gianni Coco, si basa sulla sapienza che proviene ineludibilmente dalla cultura) si appalesa vacua e nessuno, purtroppo, è al pari di quel grande studioso e pensatore che ha impegnata tutta la sua vita in una continua infaticabile ricerca nel campo dell’inconoscibile.

Ma forse no. Eureka! Forse è possibile rivolgersi proprio a lui! Ma come?

Si potrebbe far ricorso al mezzo medianico per riuscire a contattarlo. La metempsicosi è una scienza attendibile, che io sappia, e al di là dell’utilizzo di un medium, che, fra l’altro, sarebbe difficilissimo trovare ed io non ne conosco alcuno o di affidami alla solita minestra scodellata dalle numerose fattucchiere che, retaggio di un passato nebuloso in un medioevo fatiscente (sono esistite sempre sin dalla notte dei tempi, queste esoteriche dispensatrici di vaticini, ma il loro ruolo si è sviluppato e consolidato proprio nel periodo indicato ed anche oggi, a volersi guardare intorno, se ne trovano), non mancano mai di operare soprattutto nell’ambito del terzo stato di ogni comunità, al di là di ciò, dicevo, ci sarebbe da considerare un sistema più alla buona, più domestico, più casalingo, un fai da te alla portata di tutti, insomma, che spesso ha dato ottimi risultati nello stabilire contatti con i defunti o con quello che di essi è rimasto sospeso nell’etere, o con quella loro impalpabile sostanza che noi crediamo ancora possa levitare: il sistema più conosciuto e praticato del cosiddetto “bicchiere”, cioè.

Questo metodo me l’aveva insegnato circa sessant’anni fa il mio amico Michele Gagliani, assieme al quale nel ′57 e nel ′58 ho rivestito la funzione di Istitutore al Convitto Nazionale V. E. di Palermo. 

Di che si tratta, per chi non ne avesse mai sentito parlare?

Il metodo consiste nel porre sul tavolo un’ampia carta su cui è stato disegnato un cerchio integrato marginalmente con tutte le lettere dell’alfabeto. Al centro di tale foglio, in un apposito cerchietto, vien posto un esile bicchiere da vermut col sottile gambo di vetro che digrada su una base rotonda.

Per far l’esperimento necessitano tre o quattro persone (con un minimo di due, comunque) le quali appongono l’indice della destra sul cristallino piede del detto.

Dopo un po’ l’energìa individuale trasmessa dal dito fluisce nell’oggetto e questo comincia a muoversi. Si invoca, quindi, un trapassato qualsiasi ed a voce chiara e scandendo bene le parole si chiede la qualunque cosa. Il bicchiere allora si avvia e, caracollando, tocca varie lettere dell’alfabeto sillabando una risposta.

Naturalmente non son tutti che possono apporre fruttuosamente il dito sulla base del bicchiere e determinarne il movimento. Io, per esempio, non ci sono mai riuscito. Bisogna essere sensitivi, al contrario di me,  e versati nella disciplina.

Ad onor del vero, d’altronde, debbo pure dichiarare che io non ho mai creduto che il bicchiere si possa muovere da solo; ero convinto, e mantengo con fermezza tale mio pensiero anche adesso, che sono le persone officianti che consapevolmente od inconsapevolmente lo spingono. Ma tutti recalcitrano davanti a questi miei espressi dubbi ed asseriscono con pugnace convinzione la tesi dell’automovimento dell’oggetto.

Sta di fatto, comunque, che le risposte che provengono, composte, appunto, dalle lettere dell’alfabeto che il bicchiere va a toccare rispondendo alla domanda avanzata, per quanto un po’ incerte, sortiscono dei risultati sorprendenti: Paracelso, per esempio, una volte c’informò che lui aveva scritto un importante testo medico, basilare per quel tempo: la “Practica”; ci palesò, altresì, che si chiamava Aureolo, Filippo, Teofrasto, Bombasto e tante altre notizie che tutti sconoscevamo. Così pure Orazio Coclite (non lo speaker della TV vaticana) e Mussolini, che risposero su accadimenti della loro movimentata vita.

Notizie che poi erano state riscontrate vere nell’enciclopedìa.

Comunque, per intervistare Sigmund Freud e conoscere un parere sul significato intrinseco ed estrinseco del mio apparentemente banale sogno non c’é altro mezzo che quello di contattare col “bicchiere” l’autore de “La Interpretazione dei Sogni”.

E così, per venire a capo della faccenda diventata per me una vera e propria ossessione, interesso quattro volenterosi miei amici sensitivi (dirvene i nomi non mi sembra proprio il caso) e all’ora convenuta ci riuniamo a casa mia e diamo inizio all’esperimento, ponendo tutti tranne me, in una stanza con le imposte oscurate, il dito sul bicchiere.

Naturalmente sono io a porre le domande ed a leggere a voce alta le risposte. Pertanto, dopo la rituale invocazione a Freud, magnificando lui ed il suo operato, allo stesso espongo il sogno che ho fatto e ne chiedo una benevola analitica spiegazione.

Il bicchiere, seppure tentennando, comincia a muoversi.

Sarebbe una gran perdita di tempo (la seduta dura ben quattro ore) sillabare le risposte che ci vengono date seguendo l’iter dell’esperimento superiormente descritto; così, succintamente focalizzo le spiegazioni datemi.

Ed allora:
- la veloce corsa di Antonio stigmatizza l’incedere impetuoso ed inarrestabile di lui nella sua recente dimensione letteraria;
- il grido “lasciatemi passare” lanciato dal personaggio vuol significare un invito a sgombrargli il campo da possibili futili impedimenti che ognuno, comunque, è ben lontano dal porgli;
- i suoi calzoni corti danno il senso della giovinezza della sua linfa creativa;
- i piedi scalzi adombrano il concetto della sua palese umiltà;
- il secchio che tiene in mano gli serve per raccogliere i numerosi premi, conseguiti e da conseguire;
- la strada completamente deserta acclara l’astensione alla competizione da parte di tutti quanti gli altri che riconoscono nel corridore un vate vittorioso nel certame poetico nostrano; e le luci accese nella stessa servono a renderla più luminosa per inneggiare alla splendida carriera del podista.

Ditemi un po’ voi con che tranquillità ci si può addormentare sapendo che si possono sognare delle minchiate così sonore!

Cefalù, Settembre 2017.

                                                                                                        Giuseppe Maggiore.