Lo slargo di Spinito, la Chiesa, la piazza e la nuova centralità urbana

Ritratto di Saro Di Paola

28 Gennaio 2014, 07:47 - Saro Di Paola   [suoi interventi e commenti]

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“Da consigliere comunale, ho votato favorevolmente al progetto per la realizzazione della Chiesa dello Spinito, pur rilevando come sarebbe stato più opportuno insediare l'opera nelle aree verdi, già destinate a servizi, piuttosto che sull'unica piazza del quartiere.
Gli abitanti avrebbero avuto, in uno, chiesa e piazza.”

Così il Sindaco Lapunzina per replicare alla Senatrice Vicari sulla Chiesa dello Spinito.

La realizzazione della Chiesa nelle “aree verdi dello Spinito già destinate a servizi” sarebbe stata “più opportuna”, come Lapunzina, da consigliere, aveva fatto “rilevare”, perché, essendo la Chiesa un servizio, sarebbe stata conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti.

Il rilievo dell’allora consigliere Lapunzina, nella sua ovvietà, sarebbe stato ineccepibile se, allorquando è stata scelta l’area per la realizzazione della Chiesa, nella contrada Spinito allargata a quella di Pacenzia, fosse esistita, una sola ”area a verde già destinata a servizi”, compatibile con la realizzazione di una Chiesa e di un centro parrocchiale.
Compatibile per ubicazione geografica e per dislocazione topografica.

Ed invece, nelle contrade Spinito-Pacenzia, di aree compatibili con la realizzazione di una Chiesa non ne esistevano altre.
A dirlo, senza tema di smentita, era la cartografia.
Per rendersene conto non erano necessarie le attitudini o le competenze del tecnico.
A dirlo, senza tema di smentita, erano i luoghi.
Per rendersene conto bastavano gli occhi.

Quegli occhi che, allora, consentivano di dire, senza tema di smentita, che il luogo nel quale sarebbe stata realizzata la Chiesa non era una piazza urbana ma, soltanto, uno slargo di periferia.

Quegli occhi che, oggi, consentono di dire, senza tema di smentita, che, con la realizzazione della Chiesa, quello stesso luogo è divenuto piazza per divenire nuova centralità urbana.

Fotografie di Armando Geraci tratte da Cefalusport.it

La prima che sia stata progettata e realizzata nella smisurata periferia nella quale si è espansa la città di Cefalù.

 

Foto dell'arch. Luigi Piazza tratta da facebook

Saro Di Paola, 28 gennaio 2014

Commenti

Caro Saro il tuo intervento mi ha ricordato di uno scambio epistolare tramite le pagine di Cefalunews di anni or sono, tra te e mio padre sul tema della centralità urbana.

Tema che risulta essere ancora attuale,che tu non dimentichi,  in una città svilita da un mercato edilizio moribondo e priva di progetti necessari  a un risveglio dell'attenzione amministrativa verso il progetto pubblico, inteso nella sua più sana accezione, quella  di costruire luoghi urbani deputati all'incontro e al riconoscimento di una comunità, che perde ogni giorno sempre di più la sua identità. 

La costruzione di una chiesa infatti deve essere il pretesto, anzi l'esercizio progettuale più alto affinchè l'edificio sia oltre che il contenitore delle eminenzialità liturgiche, il luogo deputato a costruire, senza risparmio e infigimenti, la centralità urbana di un quartiere, di un villaggio, di una città....

Con il rischio di sembrare ripetitiva, ma ripetita iuvant, riporto di seguito quello scritto con la speranza che possa in qualche modo risvegliare nelle coscienze pubbliche il bisogno di guardare oltre ... il presente, verso un futuro non troppo lontano!

"I luoghi del Progetto urbano

L’intervento di Rosario Di Paola in Consiglio comunale  e il suo argomentare IL PROGETTO DI UN LUOGO IN UN LUOGO SENZA PROGETTO,  che ho avuto modo di leggere su Cefalunews, efficacemente mette a fuoco la questione dell’attività progettuale pubblica per dare senso urbano a tanta edificazione di cui oggi vantiamo  sia l’accelerazione  delle realizzazioni e sia le ricadute di mercato residenziale nell’economia privata e pubblica.

Infatti, continuando il ragionamento di Di Paola, non essendo sufficiente costruire tante abitazioni private o in cooperativa e  non essendo automatico accostare tanti edifici più o meno  legati da strade e raccordi pedonali per assicurare la continuità e la qualità urbana  della nostra città, dobbiamo sollecitare più che mai Il Progetto Pubblico per rendere architettura della città il costruito a macchia d’olio di questi ultimi trent’anni.

Dobbiamo fissare lo sguardo critico su un  vasto insieme edificato, un patrimonio  insediativo senza progetto urbano realizzato e che continua a realizzarsi sul territorio urbano di Cefalù  con modalità urbanistiche riflesso anche della rinunzia politica e culturale del progetto della 167 di Gregotti. 

In accordo con la tesi di Di Paola auspico che la Civica Amministrazione, prima di ogni azione di riqualificazione urbana  (termine di moda), sostenuta dai cittadini e da un dibattito culturale, si faccia carico di mettere a fuoco  una strategia  complessiva su cui poter contare per dare architettura e senso urbano a quel vasto abitato che oggi si estende da oriente a occidente, ovvero da S. Ambrogio sino alla Piana, sulla costa ed anche sulle colline, lungo le penetrazioni di Fiume Carbone, di Ferla, di S.Cosimo, di Pisciotto, di Santa Lucia, di Campella, di Monte, sino a San Biagio a ovest e Guarneri a est.

Il tema della centralità urbana  interessa la comunità, aiuta a chiarire la necessità del Progetto Pubblico senza  fughe verso i desideri e la pianificazione generale del territorio, ma indirizza a procedere nei contenuti e negli obbiettivi,  fissando e circoscrivendo l’ambito operativo, scartando  possibili semplificazioni anche amministrative e progettuali.

Non si tratta, infatti, solo di ‘abbellire ciò che non è bello’ o di ‘arredare ciò che non è architettura, piuttosto, è ragionare collettivamente sulle opportunità di luoghi  urbani deputati alla socializzazione degli abitanti delle nuove zone abitate.

Sino agli anni della mia infanzia, gli anni cinquanta del novecento, le centralità urbane di Cefalù erano tre: ‘u chianu, a marina, a porta terra’. (Nell’identificazione dei luoghi adopero il lessico vernacolare per rendere figurativamente  il pensiero semplice della comunità cefaludese nel  legare  strutturalmente  ognuna di queste centralità ai principali e collettivi bisogni urbani.)

Piazza Duomo e Piazza Marina dentro le mura, e Piazza Garibaldi appena fuori le mura, organizzavano spazialmente e fisicamente le architetture e  le attività di quelle tre centralità urbane e la  socializzazione degli abitanti avveniva in un  luogo urbano che si identificava  con l’architettura delle tre piazze, quel complesso di costruzioni adeguato alle molteplici funzioni che la centralità del luogo  accoglieva  e a sua volta  potenziava.

Ancora oggi le architetture di queste tre piazze sono tre centralità della città, anche se con caratteri appena  diversi di quelli di cinquant’anni addietro, perché mutate sono le esigenze sociali espresse dagli abitanti. In Piazza Duomo e in Piazza Marina prevalgono le attività per accogliere la popolazione turistica, le altre si mescolano più o meno in tono minore.

Nei primi anni ‘sessanta la nostra città ha cominciato a registrare l’espansione urbana, ancora non conclusa dove tra l’indistinto edificato si cominciano a delineare nuove centralità.

Mi piacerebbe, a tal proposito, che venissero lette le pagine Riti di provincia scritte da Angelo Culotta nel suo libro “Il paese di dentro. Tessere di un piccolo mosaico cefaludese” per seguire la dinamica e il tempo di alcune generazioni di cefaludesi per affermare l’interesse collettivo verso un luogo urbano, nuovo alle consuetudini degli abitanti, in quello stare e andare fuori, oltre  porta terra. 

Alcune delle nuove centralità: ‘a villa, u villaggiu di piscatura, a pacienza, u spinitu, santa lucia’, oggi, cominciano a possedere alcuni requisiti essenziali, come la frequentazione e  la presenza di molteplici attività sociali, ma non l’architettura.

Sono  ancora, per dirla con Panzarella e Di Paola, luoghi urbani privi di un progetto (pubblico) urbano.

E’ evidente in questi  luoghi la necessità del Progetto; gli spazi  di “Largo Di Giorgio”; “tra la Chiesa di S.Maria della Luce, il plesso scolastico comunale e il bar-albergo ‘Al Pescatore, sulla SS 113  tra il distributore AGIP e il belvedere su Cefalù, dove sembrano evidenti i capisaldi morfologici  delle centralità urbane, non c’è la qualità architettonica necessaria  per identificarli e radicarli a quella qualità ambientale posseduta dalle centralità ‘storiche’ del paese.

Diversi sono luoghi urbani in cui affiorano presenze di attività sociali e nuclei di interessi collettivi  a cui dobbiamo rivolgere ogni attenzione urbana. Provo ad individuarne qualcuno e affrontare con il Progetto pubblico. Seguendo un certo ordine senza stabilire alcuna priorità: 1) lo Spinito-Pacenzia-via Gibilmanna-Santa Barbara, dove  strade, costruzioni, edifici pubblici (Ospedale, Istituto d’arte, Istituto tecnico), attività sociali non hanno ancora un ‘cuore’ urbano; 2) il lungomare Giardina;  3) Ogliastrillo  tra il Palasport e l’ingresso urbano dall’autostrada; 4) l’ex  parco della prossima ferrovia dimessa.

Su come istruire il Progetto pubblico penso alla forma del Concorso. Abbiamo negli ultimi anni in Italia, in piccoli e grandi Comuni, rafforzato per la progettazione pubblica l’istituto del concorso, qualificando le azioni politiche, incentivando il confronto culturale e professionale, raggiungendo esiti di grande rilievo e significato per l’architettura delle città.

Cefalù deve aspirarci.

                                                                                                                                                                                              Pasquale Culotta"

Cara Tania,
lo scritto di Pasquale che tu hai riportato, integralmente, nel commento col quale hai fatto onore alle mie povere riflessioni sulla localizzazione della Chiesa allo Spinito, dovrebbe essere dell'agosto del 2006 e, se non ricordo male, dovrebbe essere l'ultimo nel quale, Papà tuo, scomparso nel novembre di quello stesso  anno, si è occupato di una delle questioni urbanistiche che, già allora, per l'Architetto e per l'Urbanista, sarebbero dovute essere nell'agenda della Politica : "dare architettura e senso urbano a quel vasto abitato che oggi si estende da oriente a occidente, ovvero da S. Ambrogio sino alla Piana, sulla costa ed anche sulle colline, lungo le penetrazioni di Fiume Carbone, di Ferla, di S. Cosimo, di Pisciotto, di Santa Lucia, di Campella, di Monte, sino a San Biagio a ovest e Guarneri a est".

Purtroppo, cara Tania, dal 2006 ad oggi, la politica non ha avuto orecchia e nella sua  agenda non v'è traccia di quella questione urbanistica e, neanche, di una sola delle altre, che sono veramente tante.
E se così è stato nonostante i contributi e le sollecitazioni culturali di Uomini della statura professionale e dello spessore culturale di Pasquale Culotta, mi chiedo cosa ne sarà delle questioni urbanistiche di Cefalù, ora che quei contributi e quelle sollecitazioni mancano.

"Cefalù da oggi è più povera" queste le prime parole che, su Cefalunews, ho scritto la mattina di quel 9 novembre del 2006, subito dopo avere appreso della improvvisa scomparsa di tuo Padre.

Cefalù è poverissima, sento di dovere scrivere, oggi, 28 gennaio del 2014, dopo oltre sette anni da quel 9 di novembre.

Caro Saro però dobbiamo continuare ad aspirare alla costruzione di una città migliore...con l'unico mezzo che ci rimane: la conoscenza e la consapevolezza che quei contributi possono essere ancora preziosi!

Negli ultimi anni mi sono formato la convinzione, e  pure ne ho scritto in in più occasioni, che uno dei caratteri fondamentali dell'"Unicum" Pasquale Culotta, dove mai l'Uomo si potè, si può e si potrà distinguere compiutamente dall'Architetto, risieda nell'eleganza della rappresentazione del mondo a noi tangibilmente cognito (detto "Territorio"), dell'Architettura e, quindi, di Sè stesso.

E mi ha sempre toccato questo suo modo di rivolgersi ad interlocutori che Egli qualifica migliori di quanto essi siano o potranno mai essere, come di chi ti offre il braccio per farti alzare ed, insieme, esalta la forza che tu usi per sollevarti.

Da qui mi sono convinto che esista una "Maieutica Culottiana"  sempre in grado di mettere al mondo paesaggi nuovi, non ancora esistenti nella realtà, ma intimamente connessi, al di là dello spazio e del tempo, alle ragioni stesse del nostro esistere e, quindi, del nostro convivere.

Due passaggi colgo dallo scritto di Pasquale, quello sulla mancata realizzazione della 167 di Gregotti che solo Egli poteva, con amarezza, attribuire ad una "rinuncia", quando, invece, si trattò di codardia politica e di insufficienza culturale, non dico a realizzarla, ma solo a discuterne su un livello adeguato, e quello dove scrive: "Non si tratta, infatti, solo di ‘abbellire ciò che non è bello’ o di ‘arredare ciò che non è architettura, piuttosto, è ragionare collettivamente sulle opportunità di luoghi  urbani deputati alla socializzazione degli abitanti delle nuove zone abitate"

Ragionare collettivamente, socializzare, ... abitare ... esistere, .... vivere ...convivere, ... forse anche sognare e dare consistenza materica ai sogni come Pasquale Culotta sapeva fare, perchè la constatazione dell'impossibilità di "abbellire ciò che bello non è" non è rassegnazione, ma la sfida a cercare, sempre, la bellezza, attraverso la ragione.

Se esiste la barbarie assoluta deve esistere pure Utopia, da qualche parte nello spazio e nel tempo, e noi, in quanto Uomini, non possiamo fare a meno di cercarla.

Per queste ragioni, anche di fronte a tanta barbarie, non siamo abilitati a rassegnarci.