Nozze Rosso & Misuraca

Ritratto di Giuseppe Maggiore

7 Luglio 2014, 16:49 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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NOZZE ROSSO & MISURACA
(cronaca di un matrimonio personalizzata)

 

Nella cornice della ruggeriana Basilica Cattedrale di Cefalù si sono, in data 2 Luglio u.sc., uniti in matrimonio Emanuele Misuraca e Giulia Rosso.

La funzione, officiata dal Rev. Mons. Liborio Asciutto ed assistita dai Testimoni, Sigg. Renzo Rosso, Salvatore Gugliuzza, Simone Micciché, per la sposa, e Salvatore di Majo, Giacomo Micciché e Giuseppe Misuraca, per lo sposo, iniziata verso le ore 17, si è conclusa un'ora dopo.

Elegante lo stile della cerimonia che, all'entrata in chiesa, è stata connotata, dato il caldo, dalla grazia di due gentili fanciulle che hanno offerto dei ventagli.

Accurata la scenografia floreale adottata per l'addobbo chiesastico, personalmente curata, a quanto mi è stato dato di sapere, dalla nubenda.

La sposa, in elegantissimo abito bianco senza velo, munito di strascico (non chiedetemi se il tessuto fosse di seta, di percalle o di qualcos'altro, perché la mia cultura in proposito non arriva a tanto! Comunque era bello a vedersi e impreziosiva il contenuto), con i capelli fermati sulla nuca da un lato e agghindati con un'aggraziata acconciatura che faceva risaltare le morbide linee del suo viso (scusatemi, ma la mia "nipote elettiva" non può che essere una bella ragazza!), al braccio del padre, Prof. Enzo Rosso, impettito e conscio del suo ruolo, dritto come una canna non smossa dal vento (d'altronde è abituato a tale postura che con fierezza esibisce quando nelle processioni locali porta il "torcione" nel seno della sua confraternita), che con successo tratteneva l'emozione sotto un velo di serietà e di compunzione, arrivò in chiesa con il solito ritardo che le nubende non mancano mai di osservare.

Ad attenderla, ai piedi dell'altare, lo sposo in impeccabile abito grigio, aitante e cortese nei modi (quasi quanto me).

Una coppia perfetta e ben assortita.

L'omelia di Mons. Asciutto è stata congrua e significativa. Si è conclusa col rituale augurio inviato dal Papa, che ha benedetto le nozze.

Presenti un apprezzabile numero di amici e parenti, che, all'uscita dal sacrario a funzione conclusa, hanno applaudito gli sposi inondandoli con i rituali lanci di riso.

Questi ultimi, alla sommità della scalinata di accesso, hanno liberato dei palloncini che sono rapidamente, sospinti da Zefiro, scomparsi nel cielo.

 

Foto di Master Photographers Cefalù

 

Successivamente, ai piedi della stessa scalinata, attori e convenuti hanno festosamente brindato ad un piccolo bancone-bar allestito insolitamente per l'occasione.

I festeggiati sono, quindi, entrati in macchina e si sono dileguati per le usuali foto da riprendersi in posti panoramici diversi.

Peccato che non sia stata letta in chiesa da qualcuno con timbro di voce suasivo, come proemio alla cerimonia, la coinvolgente lirica che forma l'incipit del libretto che riecheggia letterariamente lo svolgersi della funzione.

Parlo di una composizione del poeta "Gibran Kahlil Gibran", di fede musulmana, che è proprio intitolata "Il Matrimonio" e che vuole rappresentare un vademecum esortativo rivolto alla vita dei futuri coniugi. Molto pertinente il testo che comincia con la bellissima osservazione:"...Voi siete sbocciati insieme..."

Tale lirica è stata approntata dagli stessi interessati.

La giovinezza dei due "nubeti" (o è meglio dire "coniugati"? Manca, ahimé, il collaterale vocabolo che si contrappone a "nubendi" e così l'ho inventato io! Con buona grazia di tutti, mi si passi il termine) era così prorompente e il loro afflato così ben visibile che il pensiero "...poveracci, ci sono cascati anche loro...", che di solito alligna nella mente di quanti sono vessati dalle responsabilità familiari e vorrebbero sottrarsene, non è stato affatto da me focalizzato.

Le due ore d'intervallo successive, tra la fine della cerimonia e l'inizio del banchetto, le ho utilizzate per andare a chiudere il sacello dell'Ecce Homo e per andare a casa.

Poi, verso le 20, io e la mia famiglia siamo andati a prendere la macchina e, ingolfati nella caotica circolazione stradale (perché proprio il 2 Luglio cade la ricorrenza dell'annuale festa del "Salvatorello",  così chiamata per distinguerla da quella del Patrono della città, "Il Salvatore", che coincide con i primi di ogni mese di Agosto e si protrae, come è noto, per ben tre giorni), abbiamo sudato le fatidiche sette camicie per arrivare a destinazione per la conseguente cena: "Torre di Garbonogara", sita in quel di Buonfornello.

E chi la conosceva? Ero stato, comunque, edotto, proprio dal mio amico Enzo, padre della sposa, che il singolare nome proviene dall'arabo ed è composto da "garb", che significa "terra occidentale" e da "nuarah", che significa "luogo di floride coltivazioni"; e che  la Torre di Garbonogara lega la sua nascita alla memoria della lavorazione della canna da zucchero, allora fiorente in Sicilia.

Si tratta di un antico bastione risalente al XV secolo e completato nel '700, eretto a difesa dei luoghi e del commercio dalle scorrerie del brigantaggio.

All'ingresso del manufatto, risaltante per l'artistica illuminazione adottata che lo faceva apparire come un castello da fiaba (immagine tanto cara e utilizzata nei suoi dipinti da Anna Maria Micciché, la nota pittrice madre della sposa, che, in una accattivante e seducente mise verde si distinse nel gruppo degli assembrati), altre due avvenenti fanciulle in rigoroso corto abito nero, entrambe con due carnet in mano, ci hanno gentilmente chiesto il nome che poi hanno riscontrato sui loro fogli e, con apprezzabile sussiego, ci hanno indirizzato al "tavolo 21".

Oltrepassata l'atavica soglia sovrastata da un'alta volta, ci siamo addentrati in un ampio spazio, un tipico cortile seicentesco, contornato da bassi fabbricati, pertinenze che sicuramente nei tempi andati in parte ospitavano le macine e il torchio per l'anzidetta lavorazione  e in parte erano adibiti a stalle e fienili e ad alloggi della servitù del castello.

Il set era disseminato di convitati che si attardavano fra un mobilio costituito da molti tavoli addobbati con linde tovaglie sciabordanti sino a terra e ricoperti da ogni tipo di appetibili cibarie e da altri tavoli più piccoli, destinati agli ospiti, serviti da sedie infagottate in federe pure bianche (a distanza riecheggiavano le sagome di vetuste monache di clausura), mentre seriosi personaggi, ambosessi, addetti al servizio nuziale, per lo più tutti giovani, magri e vestiti rigorosamente di nero con una tunica sicuramente presa a modello dagli emirati arabi, controllavano con occhio inflessibile tutto e tutti.

Scenografia molto d'effetto e inusitata; almeno per me.

Di primo acchito ebbi l'impressione di trovarmi nel cortile di un reclusorio borbonico nell'ora di aria. Ebbi, poi, una qual certa conferma alla mia  iniziale supposizione quando, indirizzandomi al fatidico "tavolo 21", da uno di costoro mi venne notificato che per il momento non mi era possibile andarvi, ma che, anzi, dovevamo rimanere tutti nella prima parte dello spazio antistante al varcato ingresso.

Non ricordo il motivo che addusse, se lo addusse; ma, sicuramente, si era in presenza di un programma ben definito, predisposto per la migliore riuscita della serata.

In secondo luogo, ricordandomi delle incisioni del Doré a commento di una antica edizione della Divina Commedia, mi venne fatto di pensare che Caronte si potesse trovare ad un dipresso, pronto a traghettare le nostre anime nell'Ade.

Lo Stige rimaneva surrogato dall'ampia piscina che faceva sfoggio di sé a poca distanza.

Intanto, mentre alitavamo in tale spazio, alcuni confratelli e consorelle di quei "Beati Paoli", portando dei vassoi cominciarono a intrufolarsi fra i gruppi offrendo degli spuntini di vario gusto.

Debbo tuttavia convenire che il servizio, disimpegnato all'insegna del patroon Natale Giunta (che, però, non si è visto), è stato molto chic e di altissima classe, dimostrandosi gli adepti validissimi amministratori del culto camerieristico portato al diapason dalla loro acclarata bravura.

Dopodiché e dopo che gli sposi, verso le 21.30, annunziati da uno strombettare clamoroso e beneaugurativo di clacson, fecero il loro trionfale ingresso nel sito, ci è stato possibile raggiungere il tavolo di nostra pertinenza (noi il "21", appunto) mentre il musicista di turno, accompagnandosi alla pianola elettrica, proponeva delle canzoni di successo.

 

Foto di Master Photographers Cefalù

 

Ma per gli antipasti, come venni informato da Alessandra Liuzzi e famiglia, nostri commensali, si doveva provvedere personalmente avvicinandoci ai numerosi ampi tavoli centrali già descritti,  connotati come "isole gastronomiche tematiche", ognuno dei quali offriva le proprie specialità.

Ne cito alcune di queste "isole" per la delizia dei palati di chi ne ha usufruito e per il rammarico di chi era assente: angolo del "pesce azzurro", dei "marinati e crudi di pesce", delle "verdure", della "paranza", dei "crostacei", dei "salumi nobili" (io ho consumato, purtroppo, sempre quelli plebei, per chiari motivi di indigenza).

C'era di tutto, insomma: dalla degustazione di "finger food" ai "calamari", alle "seppie", alle "ostriche", ai "gamberoni", ai "salamini di suino nero", ai "pistacchi", agli "scampi avvolti nel pane nero", ai "fiori di zucca ripieni fritti in pastella".

E poi, i primi piatti con "risotto con crostacei misti", i secondi  con "spiedo di pesce ripieno con gambero rosso cotto al forno servito su caponata al miele", "filetti di pesce marinati al timo" e chi ne ha più ne metta; per finire col gran buffet di dolci di ogni fatta e gusto: "semifreddi", "torte miste", "cannoli siciliani", "smeraldini", "gelato al limone vanigliato", "frutta fresca", bicchierini con "Mousse" e quant'altro.

Un ben di Dio che al solo nominarlo fà venire l'acquolina in bocca e che solo Renzi o gli altri Paperoni della Politica, della Finanza e dell'Alta Magistratura possono permettersi.

Che menù da Gattopardi!

A questo punto, fatta di necessità virtù, mi sono alzato assieme alla mia famiglia e tutti, disperdendoci, ci siamo indirizzati alle varie "isole" di preferenza.

A me, soprattutto, piacciono molto i "salumi", i "formaggi piccanti", i "gamberoni", le "ostriche", i "fritti"; tutta roba, ahimé, adatta ad incrementare il colesterolo, tacito ed insidioso nemico che serpeggia in agguato nel nostro sangue; gustosa roba, tuttavia, della quale, purtroppo, io non riesco a fare a meno.

Così, attirato dagli effluvi aromatici che stazionavano nell'aria e da un certo appetito, ho imbroccato il primo tavolo che mi venne a tiro, predisponendomi ad assaporarne le delizie.

Ma il Cielo non esaudì i miei casti proponimenti.

Infatti rimango pienamente convinto che il giorno in cui deciderò di abbandonare la cinematografia indipendente e di mettermi a commerciare vendendo parapioggia, sicuramente non pioverà più. La mia è una fortuna, come diceva Nino Taranto, di sana memoria, che passa quando io n on ci sono!

Infatti ai vari tavoli ai quali mi sono prudentemente avvicinato reggendo un piatto recuperato a fatica c'era una ressa tale da farmi capire che la schiera era formata da tutta gente che aveva proprio allora finito di pagare le tasse e che,  casa propria, era rimasta a secco di "munizioni da bocca" (come era solito definire gli alimentari Tommaso Grossi, scrittore di chiara fama dei bei tempi andati).

Una rutilante calca, padrona del metodo e piena d'iniziative, mi spingeva, mi pestava i piedi, mi sorpassava e, in definitiva,  mi faceva restare costantemente indietro e allo stesso posto.

Mi sentivo, in sostanza (per dirla col Manzoni), un "vaso di terracotta in mezzo a tanti vasi di rame".

E ciò mi capitava, naturalmente per la mia dabbenaggine, ad ogni "isola" alla quale mi avvicinavo. Tanto che alla fine desistevo e ritornavo deluso al "tavolo 21" dove invariabilmente trovavo la mia famiglia e gli altri commensali che mangiavano a due palmenti le leccornie che sciabordavano dai loro piatti colmi.

E agli incitamenti che tutti mi facevano, specie gli altri amici compagni di cena, di andarmi a riempire il piatto a qualche tavolo dispensatore, così come avevano fatto loro, invariabilmente io rispondevo che ero a dieta e che non volevo romperla.

Ad un certo punto, un rappresentante in nero della location venne a proporci di spostarci nello spazio adiacente all'ingresso per una performance di danza offerta da due giovanissimi ballerini, bravi e alquanto ricercati (non certamente dalla polizia): Rosario Valenziano e Giusi Iarrera.

 

Foto di Master Photographers Cefalù

 

Valenziano nel Dicembre del  2012 ha vinto a Parigi il 1° premio mondiale di Danze Standard (W.DC - AL).

Entrambi diciottenni e provenienti da scuole di danza diverse e dimostrando competenza e versatilità, hanno eseguito due balli: una Tanghera ed un Valzer Inglese.

Nota curiosa: a me che non capisco quasi un'acca in fatto di danza il loro girare il capo in direzione opposta, di scatto e distaccandosi dall'amplesso, durante i passi volteggianti proposti dalla musica, mi dava l'impressione di due fidanzatini in apparente scambievole disarmonia. Comunque, a parte la battuta, sono stati veramente bravi ed eleganti allo stesso tempo; nonché molto applauditi.

Così abbiamo anche un nostro "etoile" cefaludese!

Dopo ciò ha avuto luogo anche una proiezione di foto, accuratamente selezionate e abilmente montate dalla Ditta Master Photographers di Cefalù, che ritraevano sposi e pubblico durante la cerimonia e dopo.

Continuando la serata non ho fatto onore ai dolci perché non ne mangio e così, verso le due del mattino, salutati gli anfitrioni e gli amici, ringraziati tutti per l'accoglienza e la compagnia, con la mia famiglia ho ripreso la strada del ritorno.

A questo punto è doveroso un chiarimento.

Carissimi Amici, una relazione sulle nozze di Giulia ed Emanuele si sarebbe benissimo potuta licenziare anche nel seguente modo:

"Nel pomeriggio dello scorso 2 Luglio nella Basilica Cattedrale di Cefalù si sono uniti in matrimonio Giulia Rosso ed Emanuele Misuraca.
Il rito è stato officiato dal Rev. Mons. Liborio Asciutto.
Gli sposi hanno ringraziato gli invitati presso la Torre di Garbonogara in quel di Buonfornello".

Comunicazione laconica, succinta ed esauriente.

Ma poiché fra chi scrive tutti non siamo gli stessi e ciò per fortuna (Plauto: "..tante teste, tanti pareri..."), ho preferito dilungarmi, dandone un resoconto più capillare ed alla mia conosciuta maniera.

Ove  a qualcuno non garbasse la prosopopea ed amasse, invece, la concisività, che legga soltanto la notizia succinta riportata per ultimo ed abroghi tutta la disanima precedente.

Comunque e bandendo gli scherzi e le facezie di facile conio, matrimonio dove stile e classe si sono contesa la palma della vittoria ottenendo alla fine un meritato splendido pareggio.

"Vale"!

 

Cefalù, 5 Luglio 2014                                                                                                                                      Giuseppe Maggiore

Commenti

Tanti auguri a Emanuele e Giulia
e complimenti a Pippo per questa "cronaca semiseria" di un matrimonio certamente indimenticabile!