L’ospedale di Cefalù dall’interno della storia

Ritratto di Quale Cefalù

11 Settembre 2016, 19:32 - Quale Cefalù   [suoi interventi e commenti]

Versione stampabileInvia per email

 

L’OSPEDALE DI CEFALU’ DALL’INTERNO DELLA STORIA

 

L’articolo del Giornale di Sicilia del 10 settembre, a firma di M. Macaluso, in ordine alla problematica in atto della struttura ospedaliera di Cefalù, se è vero che ne mette in evidenza i punti critici più salienti, a nostro avviso, non coglie bene i dati essenziali e non trascurabili per una soluzione di essa che sia insieme efficace ed anche realisticamente ineludibile.

Il dato di fatto, messo in evidenza dall’Assessore Regionale del settore sanitario, il quale, nell’evidenziare che «l’Ospedale di Cefalù non è stato mai classificato», aggiunge: «per la prima volta lo abbiamo classificato solo ora come ospedale di zona», è si vero, ma solo parzialmente. Questo è avvenuto perché alla nuova struttura non si è voluto attribuire ab initio il riconoscimento della sua natura pubblica, ma si è preferita, col beneplacito regionale, una gestione privata con la creazione all’uopo della “Fondazione Istituto San Raffaele – G. Giglio” di Cefalù, di fatto amministrativamente gestita dal socio fondatore Centro San Raffaele del Monte Tabor, giusta quanto risulta all’art. 13 dello statuto. L’avallo regionale era dettato dalla riconosciuta utilità di avvalersi dell’anzidetto Centro, noto per l’alta qualificazione del personale e per i meriti nell’attività di ricerca, al fine di rendere efficiente e qualificata l’operatività della nuova struttura con l’uso della dotazione, ottenuta con finanziamento pubblico di diversi miliardi di lire, di apparecchiature e strumentazioni d’avanguardia.

C’è da dire intanto che la struttura stessa era cresciuta parecchio rispetto al progetto originario, nella stesura del 1972, che la voleva come un nuovo ospedale territoriale. A seguito di varianti in corso d’opera successive all’evoluzione della normativa nazionale, che prevedeva nuovi cospicui finanziamenti, tra cui quello della L. 67/88, essa aveva assunto le dimensioni di un moderno ospedale di 300 posti letto ben funzionale per attività territoriali e di alta specializzazione, tanto da essere classificata come OPA2.   Tutto bene, quindi, nelle intenzioni di chi ritenne il ricorso a una fondazione rinomata la migliore soluzione per un servizio di qualità corrispondente alla nuova dimensione operativa della struttura. Solo che queste vennero a cozzare nel seguito, dopo il rinnovo per altri 5 anni della sperimentazione iniziale, con la realtà della crisi dell’Istituto San Raffaele del Monte Tabor, dalla quale la fondazione ospedaliera costituita in Cefalù uscì proprio malconcia, essendosi defilato il socio fondatore più quotato e qualificato sul lato professionale. Quello che è successo poi è stato un affannarsi di politici e sindacalisti per salvare l’amministrazione privatistica sul lato amministrativo, senza tenere conto del fatto che il costo, di svariati miliardi di lire, tutto pubblico dell’opera esigeva che questa ritornasse, sotto il profilo teleologico e funzionale, alla sua natura originaria, conservando integralmente i servizi in cui si era distinta per efficienza ed efficacia, anche al fine di non rottamare apparecchiature e strumenti utili e ben rispondenti all’uso proprio, e senza rincorrere trasformazioni non ben supportabili sul piano logistico e funzionale.

Ne è venuta fuori, invece, una entità ibrida, che né il fine sociale che si propone, né la presenza di enti pubblici tra i soci, bastano a farla caratterizzare come ente pubblico, stante che – come si legge nella sentenza del 28 giugno 2012, n. 3820,  del Consiglio di Stato, sez. V - « … il nostro ordinamento prevede, in forza della disciplina dettata dalla legge 20 marzo 1975, n. 70, che la costituzione e il riconoscimento di enti pubblici possono avvenire esclusivamente in forza di legge» e che gli «indici sintomatici della caratterizzazione pubblicistica dell’ente sotto il profilo dell’interesse perseguito … non sono idonei a supplire alla mancanza di un fondamento legale della genesi dell’ente pubblico e a sovvertire l’espresso riconoscimento della natura privatistica dell’ente».

Né a sanare un tale vulnus può concorrere il favore accordato dal novellato (in seguito alla riforma del 2001) art. 118 alle iniziative dei cittadini “per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”, quali possono essere quelle promosse “dalle fondazioni di partecipazione, nelle quali la presenza di enti pubblici è frequente e il loro ruolo assai rilevante”, giacché tali fondazioni, di genere multiforme, non possono essere configurabili quali organismi di diritto pubblico se non “sono tenute ad osservare le procedure ad evidenza pubblica proprie delle pubbliche amministrazioni”. Il che non sembra sia stato il caso della Fondazione che ci riguarda. Né questa può rientrare nella categoria delle fondazioni di partecipazione “solo di facciata”.

Rebus sic stantibus, se si vuole salvare l’Ospedale di Cefalù come struttura operante a servizio qualificato ed efficiente aperto a tutti i cittadini, senza limiti di censo e di classe sociale, secondo i principi informatori del Servizio Sanitario Nazione, non c’è altra via se non quella di una legge ad hoc, volta a definire la fondazione come ente di diritto pubblico. Senza stravolgimenti riguardo alla destinazione dei servizi nella loro organizzazione strutturale originaria, specialmente di quelli che si  sono dimostrati all’altezza per attrezzature e qualificazione degli addetti. Così come non c’è altra via per ottenere l’inserimento del nosocomio in un piano sanitario regionale con qualifica adeguata secondo le potenzialità operative in esso presenti sia riguardo alle strutture tecniche sia riguardo alle risorse umane esistenti e rinnovabili secondo la logica tipica del pubblico impiego.           

                                                                       Agostino TERREGINO

P.S. La precedente nota, che è stata scritta con sofferenza stante le note condizioni di salute dello scrivente, vuole essere soltanto un significativo contributo alla salvaguardia, in modo definitivo e non aleatorio, di una struttura di pubblica utilità per la quale non furono risparmiati, nell’arco di tre lustri, impegno e sacrifici personali perché venisse alla luce e potesse bene operare nell’interesse della comunità cefaludese e dell’intero circondario madonita.

Commenti

Il contributo qualificatissimo di chi come Lei è stato determinante affinché l'Ospedale Giglio divenisse quello che oggi è, almeno dal punto di vista strutturale, può essere ILLUMINANTE nel buio, nel quale brancolano quanti, a tutti i livelli, hanno il potere di determinarne le sorti ed il futuro.

Caro Avvocato, non può mancare il mio sentito ringraziamento per questo suo intervento, soprattutto perché conosco le sue condizioni di salute e, quindi, la fatica che le è costato.

Il mio grazie non può mancare anche per altre ragioni. Il suo intervento finalmente informa con cognizione di causa i cittadini, frastornati da giorni dalle farneticazioni di tutti i politici; dice con chiarezza e con una logica stringente quello che le chiacchiere di questi giorni hanno mistificato; mi toglie il peso opprimente di aver tentato inutilmente di far capire queste cose, non riuscendoci per la mia pochezza o per la scarsa considerazione per le mie opinioni da parte di chi avrebbe dovuto servirsene per riflettere ed evitare gli errori commessi. Ricordo, per esempio, che al momento della firma notarile, lanciai inutilmente l'allarme, citando proprio la sentenza del Consiglio di Stato, citata in questa occasione anche da Lei. Personalmente invito me stesso a sopportare, ma non posso accettare che da questa noncuranza sia derivato un grave danno alla comunità.

Nel ringraziarLa ancora di cuore, mi auguro che almeno la politica locale faccia tesoro dei suoi suggerimenti.