“Ad impossibilia nemo tenetur”

Ritratto di Giuseppe Maggiore

7 Febbraio 2025, 10:48 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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“Ad  impossibilia nemo tenetur”

(nessuno è obbligato a fare ciò che non può - Chilone)

 

Ci troviamo in una situazione alquanto problematica.

Spinosa, addirittura, direi.

Mi riferisco alla sanità, agli ospedali e, per conseguenza, alle liste d’attesa ed a quant’altro di “pubblico” servizio messo a disposizione dei cittadini per soddisfare la domanda alla salute.

Cerco di sceverare i motivi delle riscontrate carenze.

Nel bailamme nazionale, infatti, in cui la inadeguatezza degli apporti regionali alle strutture sanitarie pubbliche fà sì che esse languino in tangibili ristrettezze operative e che per potersi sostentare e poter assicurare l’attività terapeutica ai cittadini nonché l’apertura dei reparti si vedono costrette a far pagare, col servizio intramoenia, le visite a quanti, pur muniti di regolare ricetta del medico di base, fanno ricorso ai nosocomi per usufruire delle prestazioni in assistenza, in tale ottundente confusione, e per certi versi, forse, anche umiliante, in tali discrepanze organizzative che finiscono col  ledere il comune diritto alla salute, mi chiedo perché mai lo Stato, data l’entità della domanda, non privilegi la Sanità mettendo la parola “fine” al disagio in cui ci si viene a trovare accudendo all’occorrenza ai pubblici servizi sanitari?

E ciò, l’intramoenia, a mio vedere risulta in perfetta disarmonia con la precisa destinazione degli organismi sanitari pubblici, in quanto, in siffatto modo, il cittadino che si rivolge all’ospedale viene a pagare due volte la prestazione che richiede: una prima volta con le tasse, dalle quali un’aliquota viene distratta per essere riferita al prefato dicastero, ed una seconda volta col ricorso, appunto, a questo particolare sportello d’ingresso.

Ci troviamo, dunque, ed è perfettamente inutile nasconderci dietro un dito, come si dice, in una drammatica situazione in cui chi ha, e può pagare le visite, si cura; e chi non ha, per aspirare alla guarigione deve, come una volta, rivolgersi ai Sacri Misteri sperando nella benevola Misericordia del Divino.

È vero che a volte avvenga, ma dopo aver assolto le multiple richieste già avanzate e prenotate, che l’Ente ospedaliero accetti in assistenza e metta in lista la ricetta redatta dal medico di base e identificata come “programmabile” (quelle a breve è difficile che riscontrino accoglimento), ma ne disloca la prestazione in tempi talmente dilatati (anche sei mesi, un anno o forse più) lasciando il paziente in un limbo di incertezza che non giova per niente alla sua salute; infatti, durante il lungo periodo di attesa il postulante potrebbe anche passare a miglior vita (ma poi, perché quell’altra vita dovrebbe essere migliore? Mah!) esalando l’ultimo respiro; ma se, invece, si trovasse in uno stato fisicamente precario in cui gli avesse a ricorrere l’urgenza, il bisogno, la necessità, l’impellenza, allora, dopo aver controllato la capienza delle proprie tasche e dalla loro ridondanza avutane licenza, non ha alternative: obtorto collo  deve chiedere la visita a pagamento e soggiacere alla ineluttabilità del sistema.

L’intramoenia è uno dei lampanti casi in cui il nosocomio da Ente pubblico diventa Azienda privata.

Tuttavia l’inghippo non sta solo lì, nella parsimonia, cioè, dei contributi regionali che non raggiungono il budget che possa consentire agli ospedali di poter funzionare senza problemi normalizzando la dovuta assistenza a tutte le richieste avanzate; l’inghippo sta anche nel fatto che, a causa della inadeguatezza degli stipendi erogati al personale sanitario, nonché nella incertezza di un consono sviluppo di carriera, i medici spesso si vedono costretti, loro malgrado e con rincrescimento forse, a preferire a quella pubblica la sanità privata ove guadagnano molto di più e con probabilità di carriera più tangibili.

Quindi se ne vanno, rassegnano le dimissioni, trasmigrano in altra dimensione lavorativa più consona alle proprie conclamate aspettative.

A ciò si aggiunga, inoltre, l’inevitabile assottigliamento numerico dell’organico ospedaliero determinato dalla endemica piaga dei professionisti che vanno in pensione e che solitamente è molto difficile sostituire per l’enunciata mancanza di possibilità.

Proprio in quest’ottica indulge Irma D’Aria, redattrice de “La Repubblica”, che dibatte apertamente il problema sul depotenziamento degli ospedali scrivendo, appunto, in un suo articolo del 2023 che “… bisogna assumere un numero consistente di medici e di infermieri per potenziare gli ospedali. Inoltre, va frenato l’esodo di neolaureati che per specializzarsi vanno all’estero e il prepensionamento di molti medici cui vanno garantiti stipendi migliori per evitare, per esempio, la fuga dai Pronto Soccorso…”

In simile preoccupante frangente in cui manca il personale medico e paramedico e quant’altro, in cui si assiste al deprecabile fenomeno dei medici gettonisti per cui le spese di un ente ospedaliero aumentano sensibilmente ed in cui, per conseguenza, il servizio sanitario, a causa di tutto ciò, diviene meno pubblico ed è costretto ad adeguarsi al privato dando chiara contezza della propria sofferta sussistenza, non si può che inneggiare allo stop del depotenziamento della sanità pubblica chiedendo a gran voce allo Stato che senza frapporre ulteriori indugi vengano emanate delle valide leggi che sostengano il settore sanità in maniera congrua e definitiva, in modo da consentire ai cittadini le condizioni più agevoli ed economicamente più accettabili per la migliore fruizione dei pubblici servizi sanitari  senza doversi trovare a dover sostenere, oltre alle tasse, ulteriori improbe spese come si accennava prima.

Ricordiamoci che negli ultimi 10 anni,  per i motivi suesposti, nel nostro paese sono stati chiusi circa 130 nosocomi e che, rispetto alle nazioni contigue i nostri medici ed infermieri sono numericamente di gran lunga inferiori e che, più di 1000  neolaureati in medicina specializzandi ogni anno varcano le frontiere e vanno all’estero perché là, come si è detto, gli stipendi e le condizioni di lavoro sono migliori.

A voler tener conto di alcune classifiche aggiornate pare che nel nostro paese, per coprire i vuoti creatisi, manchino circa 80 mila infermieri e circa 30.000 medici specialisti ospedalieri.

In ogni caso, comunque, i nostri organici risultano numericamente deficitari di quasi 60.000 unità rispetto alla Germania e 43.000 alla Francia.

Si spera che la volontà politica del Presidente del Consiglio dei Ministri valuti l’opportunità, così come lo Stesso ha fatto intendere d'altronde, di voler cambiare indirizzo e campi di applicazione nel PNRR, favorendo il settore sanitario che, come si è visto, langue.

Né è concepibile che possano convergere a sanare la situazione attuale le programmate “Case ed Ospedali di Comunità”, così come vengono previsti dal prefato PNRR, nei  quali complessi immettere personale prelevato dai nosocomi.

Prelevamento che, ove si realizzasse, aggraverebbe di gran lunga le condizioni ospedaliere sin qui lamentate.

E opinabile che questa voragine che si presenta ai nostri occhi sia causata da scelte sbagliate a livello direzionale centrale.

Sempre da “La Repubblica” e a firma di Francesco Cognetti, coordinatore del Forum delle Società Scentifiche dei Clinici Ospedalieri ed Universitari Italiani, rilevo e mutuo ancora un altro apporto dallo Stesso licenziato alle stampe qualche anno fa: “… Il diritto alla salute è in grave pericolo nel nostro paese. La situazione degli ospedali è davvero pesante, non più tollerabile e necessita di interventi adeguati e tempestivi. La crisi del sistema ospedaliero, a causa delle politiche deliberatamente anti-ospedaliere dei precedenti Governi, paradossalmente ignorata dal PNRR, è innegabile ed ha raggiunto livelli di tale criticità da creare per la prima volta in tutti noi un enorme problema deontologico…”

Nella confusione verificatasi, determinata da tutte queste criticità irrisolte, ma con una accurata ponderazione risolvibili da chi di competenza a livello centrale, molti ospedali riescono ancora a sopravvivere grazie anche alla oculata competenza gestionale di affidabili direttori e presidenti, solerti capitani d’industria nel settore.

In buona sostanza e per quanto io possa saperne, nella nostra Sicilia si trova ancora qualche isola felice che egregiamente si difende nel marasma generale delle carenze emerse alla ribalta.

Prova ne sia l’ospedale Fondazione Giglio di Cefalù, sodalizio di alta specializzazione oncologica ma non esclusiva, di riferimento regionale, con uno specifico triplice indirizzo: alla “clinica”, alla “ricerca” e alla “formazione”.

Tale Fondazione, universalmente conosciuta ed apprezzata, è abilmente diretta dall’attuale Presidente, il Dr. Giovanni Albano, che fà il massimo possibile ( e credo che più n on possa fare) per mantenere operativamente vitale una struttura che risente del non adeguato apporto economico erogato dai pubblici poteri e che è appesantita dalle carenze generali a cui si è accennato prima.

Il Dr. Albano, insediatosi nel 2015, è stato nominato ufficialmente Presidente del nosocomio di Cefalù dal Presidente della Regione Siciliana nel 2018 e per le sue ottime qualità gestionali è stato riconfermato nella carica nel 2021.

Capace coraggioso manager di vaste e larghe vedute, dotato di profondo poliedrico spirito innovativo, ha saputo contemperare la fermezza del Dirigente d’impegno con competenze amministrative plurime all’accortezza del buon padre di famiglia.

Egli,  coadiuvato da un Consiglio di Amministrazione composto da cinque membri e supportato da collaboratori clinici di tutto rispetto dislocati nei vari reparti della Fondazione, eccellenze del calibro di un Sozzi, Curto, Gregoretti, Alaimo, Giannola, Farulla, Viola, Facella, Testai, D’Angelo, Tinaglia, Grimaldi, Spada, Pernice, Boniforti, Sesti, tanto per citarne solo alcuni, perché a voler fornire tutti i nomi non basterebbe lo spazio disponibile, oggi dirige un complesso sanitario in cui la valenza clinica a tutti i livelli opportunamente si sposa con l’umanità del tratto e la gentilezza nel rapporto con i pazienti, con le loro famiglie e con quant’altri accedono alla Struttura.

E se le cose a volte non vanno come dovrebbero andare, mi riferisco soprattutto alle liste d’attesa sempre colme e spesso inabbordabili, ciò è solamente da imputarsi a ragioni esogene e non certamente endogene.

In fondo, di fronte all’impossibile nessuno è tenuto a fare ciò che non può (lo ha detto a suo tempo anche il filosofo Chilone, di cui nel titolo).

La Fondazione gestita, se non vado errato, dispone di circa 280 posti letto e ogni anno effettua circa 460.000 prestazioni ambulatoriali, 7.200 ricoveri e circa 25.000 accessi al pronto soccorso; è supportata, inoltre, da quasi 800 dipendenti tra clinici e amministrativi.

Un polo sanitario da non sottovalutare che rappresenta un faro nella nostra Sicilia, oltre che nella nostra città, a cui fanno ricorso anche pazienti dell’intera penisola ed oltre.

Credo che gli insegnamenti di Ippocrate, uniti alla personalità dei Clinici abilmente supportati e diretti dalla lungimiranza, dalla competenza e dalla strategìa del Presidente Albano, rappresentino i migliori requisiti affinché la Fondazione Giglio di Cefalù, pur dibattendosi nelle traversìe che oggi assillano l’intero sistema sanitario nazionale, si situa nel settore come prestigiosa entità, come  preziosa invidiabile risorsa e come eminente polo indiscusso da guardare con fiducia e con rispetto.

Cefalù, 7 Febbraio 2025.

                                                                                       Giuseppe Maggiore

Commenti

Concordo in pieno con la disamina del Maestro Pippo Maggiore. La Sanità oggi sembra sotto attacco e la sorte dei pazienti dipende tutta dalla buona volontà e dallo spirito di abnegazione di tutto il personale di un ospedale, del Direttore, degli infermieri e degli impiegati.  Recentemente, in occasione del ricovero del mio carissimo cognato Nello, ho potuto constare l'efficienza, la pulizia e la grande professionalità di tutti i dipensenti dell'ospedale e, come giustamente osserva il Maestro Maggiore, il merito va a colui che a tutto sovrintende, cioè al Direttore Dr. Albano, che con mano sicura e grande competenza dirige il nosocomio, tanto da farlo diventare  un  punto di eccelleza e di riferimento . E quindi,  si può quasi dire del Direttore Albano: ad impossibilia tenetur...

Concordo in pieno con la disamina del Maestro Pippo Maggiore. La Sanità oggi sembra sotto attacco e la sorte dei pazienti dipende tutta dalla buona volontà e dallo spirito di abnegazione di tutto il personale di un ospedale, del Direttore, degli infermieri e degli impiegati. Recentemente, in occasione del ricovero del mio carissimo cognato Nello, ho potuto constatare l'efficienza, la pulizia e la grande professionalità di tutti i dipendenti dell'ospedale e, come giustamente osserva il Maestro Maggiore, il merito va a colui che a tutto sovrintende, cioè al Direttore Dr. Albano, che con mano sicura e grande competenza dirige il nosocomio, tanto da farlo diventare un punto di eccelleza e di riferimento . E quindi, si può quasi dire del Direttore Albano: ad impossibilia tenetur...