Veleni nei tribunali, una consuetudine antica

Ritratto di Carlo La Calce

30 Gennaio 2015, 17:05 - Carlo La Calce   [suoi interventi e commenti]

Versione stampabileInvia per email

Veleni nei tribunali, una consuetudine antica
Un episodio nella Cefalù del XVIII secolo

 

Rivalità, contese, invidie tra magistrati, esposti e ricorsi alle autorità superiori sono elementi che spesso avvelenano il clima degli ambienti giudiziari nel nostro paese, occupando le cronache, destando scalpore ed attirando, con gradi di risonanza di volta in volta diversi, l’attenzione dell’opinione pubblica.

Le origini del fenomeno non sono certamente recenti dal momento che episodi di tal genere ricorrono puntualmente anche nella storia passata delle corti di giustizia.

Ed è proprio ad un’aspra contesa tra giudici avvenuta nei tribunali borbonici della Cefalù del 1700 che si riferisce il documento - un dispaccio del Vicerè di Sicilia Marcantonio Colonna, Principe di Stigliano - che ho ritrovato tra le carte dell’archivio di famiglia e che costituisce l’argomento di questa breve presentazione.

Giuseppe Pascaletti - Marcantonio Colonna di Stigliano (1724-1796) - Museo Correale di Sorrento

 

Nel dispaccio reale - del quale citerò testualmente solo alcuni passaggi - redatto il 4 febbraio 1779, in maniera minuziosa e dettagliata, in sei pagine manoscritte, viene ricostruita in tutte le sue tappe la lunga e articolata vicenda che, iniziata nel 1776, in un susseguirsi di ricorsi e controricorsi all’autorità viceregia, vide contrapposti il Dr. D. Paolo Giardina e il Dr. D. Gaetano Fratantoni, allora rispettivamente a Cefalù Giudice Criminale e Giudice Civile.

Al centro della lite (che ebbe anche momenti di grande tensione con scontri verbali violenti, con accesi scambi di accuse e perfino di insulti) la tracotanza e la prepotenza del Fratantoni che, seppure Giudice Civile, “esercitava nel medesimo tempo la carica d’Avvocato nelle accoglienze criminali” a Cefalù, violando apertamente le leggi del Regno che sancivano l’assoluta incompatibilità tra i due ruoli. Forte peraltro della sua posizione, il Fratantoni “volea imporre al Dr. D. Paulo Giardina tutto quel che gli piacea”, violandone la giurisdizione, prevaricandolo e costringendolo a “subire sempre soverchierie”, al punto che, “nella causa di Giovanna Di Miceli, vedova, assolutamente pretendea che la risolvesse contro la propria coscienza”.

La complicità offerta dall’astuto e spregiudicato Dr. D. Vincenzo Dini (membro del Senato di Cefalù nel 1778), “aderente del Fratantoni amico che li chiamavano compari”, rendeva difficile l’accertamento della verità da parte del Tribunale della Reale Gran Corte.

Le ragioni del Giardina, in un primo tempo addirittura condannato a risarcire il rivale delle“spese sofferte” (74 Once), riuscivano a prevalere solo dopo una serie di esposti all’autorità centrale e grazie all’intervento dello scrupoloso D. Diego Li Volsi (Senatore nel 1777) che, servendosi di testimoni, forniva le prove inequivocabili delle prevaricazioni subite dal Giardina.

Acclarata in maniera definitiva la verità dei fatti, il Tribunale, preoccupato della tutela del decoro delle istituzioni, pretendeva ora anche la riappacificazione tra le parti, affidandone l’incarico allo zelante Li Volsi. Gli sforzi dell’abile mediatore venivano però vanificati dalla già nota tracotanza del Fratantoni. Questi poneva infatti come condizione irrinunciabile per una riconciliazione il risarcimento delle spese affrontate.

A questa che gli appariva come un’intollerabile provocazione, il Giardina indignato reagiva ancora una volta con un esposto, irritando però il Tribunale che, con sentenza del gennaio 1779, dichiarava sì inammissibile la pretesa di indennizzo da parte del Fratantoni ma nello stesso tempo aggiungeva, spazientito, di “sentirsi troppo noiato dalla ristucchevole contesa tra il Dr. D. Paulo Giardina con il Dr. D. Gaetano Fratantoni per le reciproche parole malsonanti avute nell’atto di un contraddittorio giudiziario”.

La redazione del dispaccio reale in argomento poneva finalmente termine al lungo contenzioso.

Recependo le conclusioni dei Magistrati Regi, il Vicerè infatti - questa volta in maniera drastica e inappellabile - ai contendenti intimava formalmente “l’uno contro l’altro di non più ricorrere né portare avanti noioso affare rispetto la soddisfazione delle spese pretese dal Fratantoni per non incorrere ne già gravi risentimenti del Tribunale e che in appresso al comando si astenessero di esercitare in qualunque Corte l’Avvocatia nonostante qualsisia permesso, essendo ciò vietato dalle leggi del Regno”.

Siglato da Franciscus Maria Luisi Regius Magister Notarius, il Dispaccio del Vicerè Colonna è indirizzato, al fine della esecuzione, alla Corte Capitaniale di Cefalù, nelle persone del Capitano D. Francesco Martino e Calce e del Giudice Dr. D. Giuseppe Spinola.

 

Note

Marcantonio Colonna, Principe di Stigliano, fu Vicerè di Sicilia a partire dal 1775 (dopo il governo provvisorio dell’Arcivescovo di Palermo Serafino Filangieri). Nel 1781 gli succedette Domenico Caracciolo, Marchese di Villamaina.

Nel 1776, anno in cui ha inizio la vicenda di cui ci siamo occupati, alla Città di Cefalù veniva concessa la prerogativa di Senato.

I primi Senatori furono: D. Francesco di Martino e Calce, il Dr D. Agostino Musso, D. Liborio Piraino, il Dr D. Onofrio Petarra.

Negli anni che videro il successivo svolgimento della vicenda il Senato aveva la seguente composizione:
1777: B.ne D. Carlo Ortolani, D. Carlo di Martino, D. Giuseppe Piraino, D. Diego Li Volsi (nello stesso anno Sindaco era D. Emanuele La Calce; Baglio D. Camillo Piraino; Regio Proconservatore il B.ne D. Enrico Piraino)
1778: D. Mario Marsala, D. Pietro Manzi, Dr. D. Gian Vincenzo Dini, D. Salvatore Martino Glorioso
1779: D. Stefano di Bianca, D. Giovanni La Calce, Dr D. Onofrio Petarra, D. Carmelo Catalfamo

 

Commenti

Ad un’attenta lettura la vicenda giudiziaria cefaludese sintetizzata nel Dispaccio riflette il processo allora in corso nel Regno di Sicilia tendente ad affermare il principio della superiorità della giurisdizione regia rispetto alla moltitudine delle giurisdizioni locali. Il controllo dell’amministrazione della giustizia nelle periferie rappresenta infatti una costante di notevole importanza dell’azione di governo in quel periodo, a garanzia della legalità.

Il provvedimento che sanciva la incompatibilità tra i ruoli di Avvocato e di Giudice (questione centrale nello scontro Giardina - Fratantoni) era stato emanato nel 1772, sempre nel contesto dell’affermazione della supremazia della giurisdizione regia, a garanzia dell’imparzialità del giudizio.

Il Dispaccio del Vicerè di Sicilia Marcantonio Colonna del 4 febbraio 1779