Solet hora, quod multi anni abstulerunt, reddere!

Ritratto di Giuseppe Maggiore

6 Febbraio 2017, 19:55 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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Solet hora, quod multi anni abstulerunt, reddere!
"Di solito un momento restituisce ciò che molti anni hanno tolto"  (Publilio Sirio).

A Santuzza Valenziano,
(pittrice e fotografa)

 

Non so se la mia interpretazione del tuo modo di essere artista, ricavata attraverso l'osservazione dei tuoi testi pittorici e fotografici, coglie nel segno. Lavoro più sulle immagini memorizzate, visionate in un particolare momento mentr'ero coinvolto da molteplici altri impegni, più che sullo studio approfondito delle tele e dei ritratti; ma è sempre l'impressione di un istante, in fondo, la prima, se si vuole, che determina una convinzione ed il conseguente giudizio. Giusto o sbagliato che sia.

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Nel mare la quiete – olio su tela – cm. 120x80

 

Forme scarne. Abbozzate. Quasi astratte. Dilatate in una dimensione pseudoonirica. A tratti più pensate che espresse. Figure muliebri, soprattutto, quasi a piano intero, alcune, in alternanza a dettagli di visi, d'occhi, di capelli, di mani, di membra e d'altro.

Occhi i cui sguardi divergono e mai s'incontrano in un'altalena di espressioni stilizzate, come a voler ribadire il disagio prodotto dalla indifferenza esistenziale, dall'estrema solitudine in cui ogni spirito sensibile gravita nel limbo della propria coscienza; espressioni tracciate in punta di pennello, quasi tormentate dalla consapevolezza che il coraggio necessario per andare avanti, se esiste in forma oggettiva e non è dipendente da un nostro momentaneo stato euforico, è anch'esso un sentimento strumentalizzato dalla natura, volto a qualificare la nostra personale sopravvivenza; scorci di ambienti agresti, accennati, non definiti, pregni di figure nascoste, intraviste, mimetizzate nei grovigli della materia, nei meandri dei disegni, nei quali l'albero, con i suoi rami protettivi, protesi, che inneggiano al cielo come a ricercare una verità inconoscibile perfidamente non concessa agli umani e le cui radici  affondano nell'imo della madre terra per trarne linfa ed ogni altro esiziale nutrimento, rappresenta l' "Alma Mater", elegiaca fonte e matrice di ogni sapere, sinonimo di vita e di eletta energìa.

Simbolo gnostico insostituibile, questo albero della vita, manifestazione onirica del divino, metafora evanescente, immagine ricorrente nei dipinti dell'artista, ineludibile principio di ogni conoscenza, nemesi della nostra millenaria storia.

Le pennellate di colore (alcune tele sono esclusivamente in bianco e nero, quasi a voler imporre con più evidenza uno stato d'animo particolare ed una conseguente diversa emozione) promanano direttamente dagli "affetti" della pittrice; è la sensazione del momento a determinarle, più che uno studio calibrato dell'immagine.

Le venditrici di fiori – olio su tela – cm. 120x80

 

La composizione che ne viene fuori, estemporanea ed efficace, frutto di una pulsione veridica, è genuina espressione di uno stato di grazia, di un pensiero, di un sentimento, di un irrefrenabile moto dell'animo; il che determina nel mostrato un'atmosfera surreale d'estremo impatto che induce alla riflessione, alla maturazione di una intuizione, alla sublimazione di un pensiero, alla conclamazione di uno stile, vigoroso e d'effetto.

Quest'ultimo svela nell'artista un'anima candida, sensibile alle prove della vita, che non soggiace ad esse ma che le supera esteriorizzandole, in modo da obliterare il quotidiano da cui esse prendono l'abbrivo per manifestarsi. È un trasmigrare continuo dal soggettivo all'oggettivo, un'autoanalisi stringata che la Valenziano fà per poter meglio considerarle e, quindi, neutralizzarne gli effetti negativi.

Nelle volute dei colori l'inconscio appare dipanato e reso palpabile, per quanto adombrato da una pudicizia costante dell'artista che non ama la ribalta e che si trova in bilico, per contenuta timidezza, tra lo svelarsi ed il rifiuto istintuale a farlo.

Ma l'arte di Santuzza sta proprio nel superamento di tale intimo certame, nel sapersi liberare da una ineludibile contraddizione interna che sicuramente la vessa, ma che, alla fine, opera in lei una benefica catarsi, che, attraverso l'informe materia, la riscatta e la fà librare nelle più alte volute dell'affinamento di una poetica sobria ed efficace.

Animo semplice e sincero, quello dell'artista, che scandaglia le proprie più private riflessioni nell'ottica di una più consapevole produttiva resa cromatica. Così, mediato dalla volontà espressiva, il suo "io" viene fuori, tracima gli argini impostigli dalla vigile coscienza e si rivela nella sua interezza ritrovando quella socialità affettiva che l'autrice, od ogni artista degno di tal nome, non smette mai di cercare.

E le opere sono una continua ricerca del "vello d'oro", un perseverante tentativo di liberazione dalle opprimenti pastoie dell'incertezza e della caducità esistenziale.

È vero: il pathos di certe configurazioni lascia un sapore d'amaro, di malinconìa, di disagio, se si vuole: certe figure contorte, infatti, sembrano non voler rivolgersi alla fruizione pubblica più superficiale e meno attenta; ma proprio tutto ciò, con la sua permanente schiettezza, con il suo modo spontaneo e sincero di proporsi, di esporsi, di infrangere la barriera che da sempre intercorre fra l'artista creatore e l'occhio fruitore, spinge ad una positiva riflessione attenta e giammai fugace.  

Le molteplici solitudini – olio su tela – cm. 120x80

 

E l'eterno dramma della coscienza che da sempre s'arrovella per dipanare gli astrusi quesiti: "Chi siamo?", "Perché siamo?" e "Dove andiamo?"; atavico dilemma costantemente indagato e mai soluto che si ripropone con irruenza nella sua più pura autenticità di labirinto imprescrutabile.

Lo stile di Santuzza è metafisico nella misura in cui disconosce la fedele rappresentazione della realtà contingente a favore di una concretezza trasfigurata, mediata da una personalità e da una sensibilità mature, testata dall'esperienza e dalla ponderatezza; il tutto corrispondente ad una visione esistenziale più intimistica e sagace. Il suo potrebbe definirsi uno stile improntato ad un "nichilismo ascetico"; termine che Sergio Givone coniò per Nietzesche e che intendeva esprimere concetti  come "prostrazione gioiosa nella polvere" o "calma felice nell'infelicità"

Oltre alla "filosofìa" pittorica Santuzza Valenziano nutre anche un'altra dimensione artistica (artisti si nasce, non ci si diventa!): quella fotografica. L'esternazione del suo interesse verso quest'altra forma espressiva si estrinseca in immagini (quasi tutte in "campo totale") riportate dai suoi frequenti viaggi in molte parti del pianeta.

Qui la sua vena rappresentativa mostra una predilezione documentaristica capillare ed incisiva: luoghi, persone, tradizioni, usanze, vengono considerati nel loro aspetto più naturale ed immediato, senza ricostruzioni od artifici di sorta. È il movimento interiore dei soggetti in particolari inquadrature dove l'angolazione, la luce e la prospettiva giocano un ruolo di primaria importanza per caratterizzare squarci di vita, ad interessare ed a determinare un certo stato d'animo.

Pennello e fotocamera, comunque, binomio vincente, rappresentano per Santuzza il mezzo più idoneo a far scaturire il suo intimo pensiero in una realtà sociale circostante dove il "sembrare" riveste più valore dell' "essere" e dove spesso la superficialità, il protagonismo ed il pressapochismo la fanno da padroni.

Cefalù. 6 Febbraio 2017

                                                                                     Giuseppe Maggiore